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Filtri Anti-Inquinamento Luminoso

Perché gli astrofotografi sono costretti a macinare centinaia di chilometri per fotografare il cielo notturno? La risposta è semplice ed ha un nome ed un cognome: Inquinamento Luminoso. Ebbene sì, non solo abbiamo inquinato l’acqua che beviamo e l’aria che respiriamo ma ci stiamo privando anche della possibilità di osservare l’ambiente in cui viviamo: l’Universo. Con la parola inquinamento luminoso intendiamo la diffusione della luce artificiale da parte dell’atmosfera terrestre la quale produce un alone luminoso che, a seconda dell’intensità, è in grado di ridurre il numero di oggetti celesti visibili ad occhio nudo (fotografabili).

La luce artificiale è dovuta all’illuminazione pubblica di strade e parchi, dei cartelli pubblicitari, delle palazzine, delle automobili e molto altro ancora. Nella maggior parte dei casi però solo una piccola parte della luce illumina il soggetto mentre gran parte di essa è diretta verso il cielo.

Di conseguenza, l’inquinamento luminoso è maggiore in prossimità di grandi centri cittadini, dove spesso vivono gli astrofotografi. Quindi cosa fare? Una soluzione è quella descritta all’inizio di questo articolo ovvero allontanarsi il più possibile dai centri cittadini scegliendo luoghi secchi (montagne) dove la diffusione è ridotta al minimo. Una seconda soluzione è quella di cercare di schermarsi dall’inquinamento luminoso utilizzando opportuni filtri. Prima di descrivere in dettaglio il funzionamento di questi filtri è però necessario comprendere la natura della sorgente di luce che vogliamo andare a schermare ossia l’illuminazione artificiale.

Questa è prodotta dalle lampade/lampadine le quali possono utilizzare diversi tipi di tecnologie al fine di produrre luce. Andiamo quindi a studiarne in dettaglio le caratteristiche.

Lampade ad incandescenza

Il principio di funzionamento di queste lampade è semplice. La corrente elettrica passando attraverso un filo metallico (tungsteno) lo scalda aumentandone la temperatura. Superata una certa soglia questo produce luce il cui spettro è detto di corpo nero. Seppur “controintuitivo” emettere come un corpo nero significa emettere luce a tutte le frequenze (continuo) con uno spettro caratteristico come mostrato in figura 1.

Figura 1: spettro di emissione di una lampada ad incandescenza (rosso) confrontato con quello delle nebulose e galassie.

Le lampade ad incandescenza sono state proibite nella comunità europea a partire dal primo settembre 2012. Malgrado ciò molti sono ancora gli impianti di illuminazione privata che utilizzano questo tipo di lampade. In particolare le vediamo nelle case, nelle opere d’arte (se così possiamo definirle) e nelle insegne pubblicitarie. In questa categoria rientrano le lampade alogene ovvero lampade ad incandescenza più efficienti grazie all’utilizzo di gas alogeno capace di inibire la fusione del filamento e quindi aumentarne la temperatura e di conseguenza la luminosità. Questi tipi di lampade ad incandescenza sono utilizzate ad esempio per i fari delle automobili. A differenza delle normali lampade ad incandescenza le lampade alogene non sono soggette alla norma che ne vieta la vendita.

Analizzando in dettaglio lo spettro di emissione riportato in figura 1 possiamo osservare come le lampade ad incandescenza creano un disturbo a tutte le frequenze di interesse astrofisico. Inoltre il massimo contributo si ha intorno ai 640-650 nm, ovvero in prossimità della riga H-alfa (656 nm) dell’idrogeno responsabile della colorazione rossa delle nebulose. In questo senso, per astrofotografi e visualisti le lampade ad incandescenza sono il male assoluto. Fortunatamente, come ribadito in precedenza, questo tipo di lampade sono oggi poco diffuse per l’illuminazione pubblica e quindi danno un contributo minimo alla dose di inquinamento luminoso globale.

Lampade a scarica

Il principio fisico di funzionamento delle lampade a scarica è diverso da quello delle lampade ad incandescenza. Qui un gas inerte o del vapore viene ionizzato ad opera di una differenza di potenziale emettendo di conseguenza luce. Il gas presente può essere mantenuto ad alta o bassa pressione a seconda del tipo di lampada considerata. Esistono una varietà di lampade di questo tipo, dal tubo al neon alle lampade al sodio e mercurio a bassa o alta pressione. I primi vengono generalmente utilizzati per l’illuminazione di interni ed insegne pubblicitarie mentre le lampade al sodio (basa ed alta pressione) e mercurio (alta pressione) nell’illuminazione di strade e parchi pubblici.

Le lampade a scarica emettono luce solamente a determinati valori di lunghezza d’onda (discreto) come riportato in figura 2.

Figura 2: spettro di emissione di una lampada ai vapori di mercurio (blu), sodio ad alta pressione (arancione scuro), sodio a bassa pressione (arancione chiaro) confrontato con quello delle nebulose e galassie.

differenza delle lampade ad incandescenza saranno facilmente schermabili utilizzando appositi filtri. Nel caso delle lampade al sodio si può osservare come la massima intensità luminosa si trovi intorno ai 589 nm (doppietto di emissione del sodio) mentre per quelle al mercurio abbiamo più linee caratterizzate dall’avere frequenze inferiori ai 600 nm. Possiamo quindi dire che il contributo alla linea H-alfa in questo caso è praticamente trascurabile.

Lampade a LED

La tecnologia LED, sviluppata per la prima volta nel 1962, è il modo più moderno per produrre luce visibile. In questo caso la luce è prodotta per elettroluminescenza da alcuni materiali semiconduttori quando a questi viene applicata una differenza di potenziale. Grazie alla maggior durata e al minor consumo di energia, la tecnologia LED sta soppiantando di fatto tutte le altre per l’illuminazione sia pubblica che privata.

Le lampade LED possono emettere luce sia bianca che colorata. In questo secondo caso, la luce risulta essere quasi monocromatica con uno spettro piccato ad una frequenza caratteristica che dipende dal tipo di semiconduttore utilizzato. La maggior parte delle lampade LED brillano però di luce bianca. Il processo di produzione può avvenire sfruttando due tecniche differenti:

  • LED RGB: in questo caso la luce bianca è realizzata come sovrapposizione di led rossi, verdi e blu. Lo spettro è pertanto costituito dalle tre “linee” caratteristiche (vedi figura 3). I LED RGB hanno un utilizzo diffuso in architettura per l’illuminazione di locali e ristoranti.
  • LED blu + fosforo: questo è il caso più abituale in cui la luce bianca è ottenuta come luminescenza da parte della luce blu-UV emessa dal semiconduttore su uno strato di fosforo. In questo caso lo spettro presenterà un picco più o meno grande associato all’emissione originale del semiconduttore e un continuo di frequenze nello spettro del visibile (vedi figura 3). Sotto questo aspetto le lampade LED bianche simulano lo spettro elettromagnetico solare o delle vecchie lampade ad incandescenza. Questi tipi di lampade LED sono quelli più diffusi utilizzati per l’illuminazione delle strade.

Figura 3: spettro di emissione di una lampada LED bianca ottenuta come somma di tre LED (rosso, verde, blu) o come LED + fosforo (linea continua nera) confrontato con quello delle nebulose e galassie.

Analizzando in dettaglio lo spettro di emissione riportato in figura 3 possiamo osservare come i LED RGB siano il male assoluto per gli appassionati di nebulosi in quanto l’emissione è praticamente centrata sulla linea H-alfa. Fortunatamente il contributo all’inquinamento luminoso globale di queste lampade è minimo data la loro scarsa diffusione. I LED bianchi (blu + fosforo) sono invece del tutto simili come risposta spettrale a quelli delle lampade ad incandescenza portando quindi con sé tutti i problemi evidenziati in precedenza. Inoltre anche se la luce LED (blu + fosforo) è definita bianca, abbiamo comunque un residuo di luce blu piuttosto intenso.

I Filtri anti-inquinamento luminoso

Abbiamo visto come la tipologia di sorgente di luce artificiale è tanto variegata quanto dannosa in termini astrofotografici. Come possiamo quindi difenderci dall’inquinamento luminoso senza dover macinare chilometri in auto tra buie strade di montagna? L’unica soluzione è l’utilizzo di filtri anti-inquinamento luminoso. Questi sono filtri in vetro capaci di schermare parte della radiazione luminosa incidente.

Un filtro anti-inquinamento luminoso ideale è quello che riesce a bloccare completamente la luce artificiale facendo passare solo quella proveniente dal Cosmo. Ovviamente tale filtro non esiste. Bisogna quindi trovare un compromesso non sempre possibile. Infatti se per le lampade a scarica dove lo spettro di emissione è discreto è possibile fare un certosino lavoro di pulizia, per le lampade ad incandescenza e LED la situazione è davvero complicata ed una sottrazione efficiente è praticamente impossibile.

Per capire meglio la problematica iniziamo con il considerare le tre grandi categorie di filtri anti-inquinamento luminoso oggi diffuse maggiormente sul mercato: filtri UHC, LPR (Light Pollution Reduction) e ad ampio spettro.

Filtri UHC

UHC è una sigla che sta ad indicare Ultra High Contrast ovvero una famiglia di filtri in grado di fornire un maggior contrasto delle immagini astronomiche. Anche se il nome non ricorda direttamente l’inquinamento luminoso, ricordiamo che questo è il responsabile della diminuzione del contrasto tra i deboli oggetti celesti ed il cielo buio. I filtri UHC sono capaci di bloccare tutta la radiazione luminosa incidente con frequenza compresa tra circa le 530 e 630 nm ovvero rimuove dall’immagine gran parte della luce emessa dalle lampade al mercurio e al sodio che, fino a pochi anni fa, erano la sorgente principale di inquinamento luminoso (vedi figura 4).

Figura 4: Le curve di trasmissione dei filtri UHC sovrapposti allo spettro di emissione di lampade al Sodio, Mercurio ed oggetti astrofisici (nebulose e galassie).

 

Con UHC si va spesso ad indicare non solo un determinato filtro anti-inquinamento luminoso ma anche l’intera famiglia di filtri caratterizzati da risposte spettrali simili. In particolare esistono tre diversi filtri UHC:

  • UHC: è il filtro che da il nome alla famiglia. È il più efficiente nel taglio della luce artificiale e fa passare gran parte della radiazione rossa (linea H-alfa).
  • UHC-E: Questo filtro è analogo all’UHC ma è meno efficiente nel taglio della radiazione ad alta frequenza. In particolare questo filtro fa passare parte delle radiazioni provenienti dalle lampade ai vapori di mercurio.
  • UHC-S: Questo filtro è il meno efficiente della famiglia in quanto poco filtrante sia alle alte frequenze che nella regione spettrale di emissione delle lampade al sodio e nelle basse frequenze (luce rossa). In compenso blocca la radiazione del vicino-infrarosso senza però apportare particolari miglioramenti in termini di qualità delle immagini astronomiche.

Tutti questi filtri vengono venduti dalla ditta Astronomik anche se è possibile trovare filtri UHC di altre marche.

Filtri LPR

I filtri UHC l’hanno fatta da padrone negli anni 2000 in quanto gli unici in grado di ridurre in modo sostanziale l’inquinamento luminoso in astrofotografia. In particolare erano adatti sia per riprese da cieli cittadini (UHC) che da cieli mediamente inquinati (UHC-E). Infine, anche da cieli bui l’utilizzo di un filtro UHC-S può migliorare la qualità globale dell’immagine in termini soprattutto di contrasto. Il prezzo da pagare però non è poco. Tagliando lo spettro in modo così netto nelle frequenze 500-600 nm, si modifica la composizione spettrale e quindi il colore delle sorgenti luminose e pertanto le nostre immagini presentano con i filtri UHC forti dominanti verde-acqua e magenta. Questa dominante poteva essere eliminata con tecniche di “cosmetica” come il bilanciamento del bianco e l’utilizzo di filtri di correzioni quali HLVG (Adobe Photoshop). Malgrado gli sforzi però, le immagini riprese con filtri UHC posseggono sempre una dominante residua. Proprio per ovviare ciò, nell’ultimo ventennio sono stati prodotti una serie di filtri dal nome LPR (Light Pollution Reduction) ad opera dell’azienda IDAS. La risposta spettrale alle lampade al sodio e al mercurio di questi filtri è illustrata in figura 5.

Figura 5: Le curve di trasmissione dei filtri LPR-IDAS sovrapposti allo spettro di emissione di lampade al Sodio, Mercurio ed oggetti astrofisici (nebulose e galassie).

 Anche i filtri LPR vivono in famiglia e ne esistono di tre modelli di cui due praticamente identici:

  • IDAS D1 / IDAS P2: è sotto tutti gli effetti un filtro UHC con l’unica differenza che l’IDAS lascia passare parte della radiazione nella regione tra 500 e 600 nm ad esclusione del picco del sodio. In questo modo la “perturbazione” dei colori ad opera del filtro risulta ridotta così come le dominanti residue che, dopo un opportuno bilanciamento del bianco, sono praticamente nulle. Non esistono sostanziali differenze tra i filtri D1 e P2 di cui il primo non è nient’altro che l’evoluzione tecnologica del secondo.
  • IDAS V4: questo è un filtro molto particolare. Praticamente è un filtro UHC molto stretto centrato sulle linee di emissione delle nebulose (idrogeno, ossigeno). L’efficienza nel taglio dell’inquinamento luminoso è pertanto molto elevata.

Filtri CLS e SkyGlow

Terminiamo la nostra carrellata sui filtri anti-inquinamento luminoso analizzando gli ultimi due diffusi sul mercato: CLS (City Light Suppression) e SkyGlow (“alone luminoso” in italiano). La risposta spettrale dei due filtri è riportata in figura 6.

Figura 6: Le curve di trasmissione dei filtri CLS e SkyGlow sovrapposti allo spettro di emissione di lampade al Sodio, Mercurio ed oggetti astrofisici (nebulose e galassie).

Come si vede dall’immagine i filtri CLS e SkyGlow sono nuovamente dei filtri UHC ma capaci di far passare molta più radiazione incidente a scapito ovviamente della loro capacità di ridurre l’inquinamento-luminoso. Proprio per questo l’utilizzo di questi filtri è spesso limitato all’osservazione visuale del cielo o a riprese da cieli poco inquinati.

I filtri anti-inquinamento luminoso all’epoca dei LED

Se dopo decenni di sofferenza a causa dell’inquinamento indotto dalle lampade a mercurio e sodio si era trovata una soluzione grazie ai filtri UHC, LPS, CLS e SkyGlow, il nuovo millennio ha dato i natali ad una nuova tecnologia di illuminazione: le lampade LED. Molto abbiamo detto di queste lampade nei paragrafi precedente ma molto ancora rimane da argomentare sugli effetti di questa lampade in termini di inquinamento luminoso. La prima caratteristica già analizzata è che i LED hanno uno spettro di emissione continuo il che vuol dire che la loro luce disturba tutte le frequenze della radiazione luminosa. Se quindi con un filtro è possibile rimuovere la parte dello spettro elettromagnetico dove una certa lampada emette in modo discreto, nel caso dei LED l’efficacia di un filtro è notevolmente ridotta.

Inoltre abbiamo sempre parlato di spettro delle lampade, dimenticando che parte del contributo dell’inquinamento luminoso totale è dovuto alla diffusione dei raggi luminosi artificiali da parte dell’atmosfera terrestre. La diffusione è tanto maggiore quanto minore è la lunghezza d’onda della radiazione incidente. Una luce calda come quella delle lampade al sodio diffonde molto meno di una luce bianca (LED) la cui componente blu viene diffusa in modo molto efficiente. Inoltre ricordiamo che i LED hanno un picco residuo molto luminoso nel blu. A parità di potenza quindi le lampade LED diffondono maggiormente la loro luce aumentando l’inquinamento luminoso. Dimentichiamoci quindi i vecchi aloni arancioni che circondavano le città per passare a dei cieli azzurri, simili a quelli diurni.

Purtroppo il problema dell’utilizzo di lampade LED non ha un’immediata soluzione. In figura 7-8-9 vediamo la risposta spettrale dei filtri anti-inquinamento luminoso alle lampade LED.

Figura 7: Le curve di trasmissione dei filtri UHC sovrapposti allo spettro di emissione di lampade LED ed oggetti astrofisici (nebulose e galassie).

Figura 8: Le curve di trasmissione dei filtri LPR-IDAS sovrapposti allo spettro di emissione di lampade LED ed oggetti astrofisici (nebulose e galassie).

Figura 9: Le curve di trasmissione dei filtri CLS e SkyGlow sovrapposti allo spettro di emissione di lampade LED ed oggetti astrofisici (nebulose e galassie).

Quale filtro utilizzare

Concludiamo questo articolo cercando di riassumere con una tabella (tabella 1) gli utilizzi dei vari filtri analizzati e la loro efficacia nei confronti delle lampade a scarica e LED. Abbiamo trascurato le lampade ad incandescenza dato il loro basso contributo all’inquinamento luminoso totale.

Tabella 1: caratteristiche principale dei filtri anti-inquinamento luminoso. Per ogni filtro è indicato l’utilizzo ottimale ovvero un impiego limitato alla ripresa di nebulose ad emissione o planetarie o un impiego più generico. Inoltre si riporta la capacità di filtraggio dell’inquinamento luminoso generato da lampade a scarica e LED.

Concludendo, tra i filtri maggiormente presenti sul mercato nell’ottica di un aumento dell’utilizzo di tecnologia LED per l’illuminazione pubblica e privata, i più efficaci in termini di riduzione dell’inquinamento luminoso rimangono gli UHC, UHC-E e LPR-IDAS V4. Efficacia comunque ridotta dall’impossibilità di schermare lo spettro continuo e l’elevata diffusione della luce prodotta dalle lampade LED.




NGC 7000 – 16/07/2015

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Rifrattore Tripletto APO FPL53 (APO reftactor triplet FPL53) Tecnosky 80mm f/6

Camera di acquisizione (Imaging camera): Canon EOS 500D (Rebel T1i) con filtro Baader (with Baader Filter) [4.7 μm]

Montatura (Mount): iOptron CEM60

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore acromatico SkyWatcher 102mm f/5

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): riduttore/spianatore 0.8x a quattro elementi (four elements 0.8x reducer/field flattener)

Software (Software): PixInsight 1.8 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter):  2” IDAS LPS-V4

Risoluzione (Resolution): 4752 x 3168 (originale/original), 4770 x 3178 (finale/final)

Data (Date): 16/07/2015

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 6 x 780 sec at/a 800 ISO.

Calibrazione (Calibration): 5 dark, 35 bias, 41 flat

Fase lunare media (Average Moon phase): 0.8%

Campionamento (Pixel scale): 2.1758 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 384 mm

NGC 7000 - 16/07/2015




I filtri astronomici

L’utilizzo dei filtri in astrofotografia è fondamentale, specialmente se si utilizzano CCD astronomiche e/o si riprende da zone soggette ad elevato inquinamento luminoso. Lo scopo dei filtri ottici è quello di selezionare regioni più o meno ristrette dello spettro elettromagnetico di un determinato tipo di polarizzazione oppure semplicemente diminuire l’intensità della sorgente luminosa. Nel primo caso si possono utilizzare materiali in grado di assorbire (filtri ad assorbimento) o riflettere (filtri a riflessione tra cui i filtri interferenziali o dicroici) determinate lunghezze d’onda. Nel secondo caso invece vengono sfruttate le proprietà di determinati materiali in grado di selezionare una determinata polarizzazione della luce (polarizzatori) ed infine nel terzo caso si utilizzano materiali in grado di riflettere parzialmente tutte le lunghezze d’onda del visibile (filtri neutri). I filtri ad assorbimento e riflessione sono caratterizzati da una quantità detta curva di trasmissione che rappresenta la capacità del filtro di far passare una determinata lunghezza d’onda della radiazione luminosa. Queste curve possono o non possono essere normalizzate ad uno (o 100%). I filtri neutri invece sono identificati dalla capacità o meno del filtro di far passare la luce visibile noto come coefficiente di trasmissione. Coefficiente di trasmissione e curva di trasmissione sono concetti differenti anche se ovviamente legati tra loro. Il primo dice quanta luce passa dal filtro, la seconda invece indica quale è la probabilità per tale luce di possedere una determinata lunghezza d’onda una volta passata attraverso filtro. Il valore assoluto del logaritmo in base dieci del coefficiente di trasmissione è detta densità ottica, grandezza fondamentale per la scelta dei filtri neutri. I polarizzatori invece hanno densità ottica variabile a seconda dell’angolo tra la polarizzazione della luce incidente e quella del polarizzatore, detta legge di Malus.

In questo post e nei seguenti analizzeremo in dettaglio quasi tutti i filtri utilizzati in astrofotografia, ed in particolare:

Purtroppo non verranno presi in esame i filtri Hα per osservazioni solari a  cui sarà dedicata una sezione apposita.