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Formati dei sensori digitali

Negli scorsi articoli abbiamo studiato come, a partire dai fotoni cosmici, sia possibile ottenere sul monitor del nostro computer o in stampa bellissime immagini di corpi celesti. Alla luce di questo, possiamo concludere che il cuore dell’immagine fotografica moderna è il sensore. Questo è costituito da una griglia di elementi fotosensibili; quelli che poi saranno rappresentati (e spesso confusi) dai pixel nelle nostre immagini digitali. Esiste quindi una stretta relazione tra la forma del sensore e quella dell’immagine finale. E’ esperienza comune maneggiare stampe fotografiche dalle forme rettangolari e pertanto possiamo dedurre che questa corrisponda alla geometria del nostro sensore. Ma perché questa scelta? Il “rettangolo” fotografico ha delle proporzioni ben determinate? Quanti formati esistono? In questo articolo vedremo di dare una risposta a tutte queste domande.

QUESTIONE DI FORMA

La disposizione degli elementi fotosensibili non è dettata da nessun vincolo costruttivo e pertanto questi potrebbero essere disposti nelle forme più incredibili. Questo avviene in ambiti dedicati alla ricerca scientifica dove si usano spesso sensori dalle forme circolari, a bande o altro. In fotografia la forma più naturale dovrebbe essere il cerchio. Infatti il sensore deve raccogliere i fotoni che ci arrivano dal sistema ottico che ovviamente, essendo di forma cilindrica, produce sul piano focale un cerchio. Eppure avete mai visto stampe circolari? Ebbene in passato esistevano, come ad esempio la camera Kodak No.1 del 1888 produceva immagini circolari. Allora perché oggi utilizziamo pellicole rettangolari? La soluzione è di natura economica. La produzione di sensori circolari comporta un grosso spreco in termini di stampa dato che queste avvengono sempre su carta di formato quadrato o rettangolare.

Escludendo il cerchio, la forma più naturale per un sensore dovrebbe quindi essere il quadrato. Questa forma geometrica ha avuto ampio sviluppo in passato, mentre oggi sta diventando un formato sempre più di nicchia. Un esempio è il medio formato 6 x  6, di dimensioni 56 x 56 mm, utilizzato in passato dalla Yashica-D a partire dal 1958.

Oggi, la maggior parte dei sensori è rettangolare. L’utilizzo di questa forma geometrica ha origini storiche, psicologiche e pratiche. La fotografia ha seguito un’evoluzione parallela alla stampa che spesso utilizza carta rettangolare in rapporto DIN (ovvero rapporto tra i lati pari a 1.414). Questo fu il motivo storico per cui si preferì il formato rettangolare a quello quadrato. Tale fatto giustificherebbe il perché oggi i sensori rettangolari hanno rapporti spinti, simili a quelli presenti in schermi wide-screen o dei dispositivi mobili, oggetti tecnologici che hanno ormai sostituito la carta stampata. Un’altra giustificazione è di natura pratica e dovuta al fatto che un sensore rettangolare è meno sensibile ai difetti associati all’ottica dato che l’immagine finale è ottenuta da zone lontane dai bordi del campo dove si ha spesso la caduta di luminosità e della qualità dell’immagine (vignettatura e coma).  Quindi l’utilizzo di sensori rettangolari richiede una qualità ottica inferiore e quindi un risparmio per le ditte produttrici (Figura 1).

Figura 1: La forma più naturale per un sensore è il cerchio (A) che purtroppo risulta non ottimizzata per la stampa. Il quadrato (B) è migliore ma, rispetto al rettangolo (C) è più soggetto alla presenza di difetti ottici. Inoltre il rettangolo è più adatto alla stampa commerciale oltre ad essere più "gradevole" da un punto di vista estetico.

Infine, a queste due motivazioni tecnologiche bisogna aggiungerne una di natura psicologica. Il rettangolo, specie se di proporzioni auree (ovvero rapporto tra i lati pari a 1.618), risulta assai più gradevole agli occhi di un quadrato. A seguito di tutti questi fattori, storicamente si optò per l’utilizzo di sensori di forma rettangolare. Ma con quale rapporto? Di che dimensioni?

LO ZOO DEL FORMATO

Essendo frutto di spinte differenti, il rapporto tra i lati del rettangolo che costituiscono il sensore così come le sue dimensioni sono praticamente casuali. Ad oggi esistono infinite combinazioni di lati e rapporti. Alcuni di questi, riportati in Tabella 1, si sono diffusi più di altri.

 
Nome Formato Base (mm) Altezza (mm) Rapporto
1/2.5” 5.76 4.29 1.343 (4:3)
1/1.7” 7.6 5.7 1.333 (4:3)
2/3” (Fuji, Nokia) 8.6 6.6 1.303 (4:3)
1” (Nikon, Sony) 13.2 8.8 1.5 (3:2)
Four Thirds System (Olympus, Panasonic) 17.3 13 1.331 (4:3)
Foveon (Sigma) 20.7 13.8 1.5 (3:2)
APS-C (Canon) 22.2 14.8 1.5 (3:2)
APS-C (Nikon, Sony, Pentax, Fuji) 23.6 15.7 1.503 (3:2)
APS-H (Canon) 28.7 19 1.510 (3:2)
Full Frame (35 mm) 36 24 1.5 (3:2)
ATIK 314L+ (Sony ICX-285AL) 8.98 6.71 1.338 (4:3)
ATIK 383L+ (Kodak KAF 8300) 17.6 13.52 1.302 (4:3)
ATIK 11000 (Kodak KAI 11002) 37.25 25.70 1.449 (3:2)
Imaging Source DMK41 (Sony ICX-205AL) 7.6 6.2 1.223 (5:4)
Celestron NexImage 5 5.7 4.28 1.332 (4:3)

Tabella 1: Esempi di formati più diffusi.

In particolare, in cinematografia si diffuse a partire dal 1909 il formato 35 mm. Questo aveva dei fori ai lati per il trascinamento della pellicola durante la proiezione video. Lo stesso formato venne convertito nel fotografico 135 che manteneva i fori ai lati ed una dimensione dei fotogrammi pari a 24 x 36 mm. Tale formato si diffuse e costituì lo standard per le pellicole fotografiche nelle fotocamere analogiche (vedi Figura 2). Con l’avvento della tecnologia digitale si cercò di ottenere fotocamere con sensori di dimensioni 24 x 36 mm, note come sensori full frame. Ad oggi, la maggior parte dei sensori digitali hanno dimensioni inferiori a 24 x 36 mm e pertanto si associa al termine full frame quello di pieno formato. Questa terminologia è interessante in quanto, nella fotografia analogica, il formato 24 x 36 mm era spesso ritenuto piccolo rispetto ai più grandi medio e grande formato.

Figura 2: il formato 135, il più diffuso nel mondo della fotografia analogica amatoriale e semi-professionale.

La stessa varietà di forme e rapporti presenti nell’ambito della fotografia tradizionale si riflette nella fotografia astronomica dove i formati più diffusi sono stati riportati in Tabella 1. Le dimensioni dei sensori così come quelle degli elementi fotosensibili che li costituiscono determinano anche il fattore crop e quindi il loro utilizzo. Ecco quindi che sensori molto piccoli e con un’elevata densità di pixel vengono utilizzati nelle riprese planetarie al fine di massimizzare l’ingrandimento ottenuto dall’ottica mentre grandi sensori con pixel molto grandi sono preferibili per la fotografia astronomica DeepSky dove invece è richiesta alta sensibilità alla debole luce proveniente da oggetti lontani oltre che ad un grande campo per riprenderli nella loro interezza. Per maggiori informazioni sull’effetto crop consigliamo la lettura dell’articolo il fattore di crop.




Il fattore di crop

L’avvento della tecnologia digitale ha sicuramente rivoluzionato il mondo dell’astrofotografia agevolando praticamente tutte le fasi di ripresa del cielo stellato. Non tutti però si sono abituati ai nuovi concetti introdotti da questo nuovo tipo di tecnologia. Tra questi quello che sicuramente ha generato maggior confusione nel mondo dell’astrofotografia e della fotografia in generale è sicuramente il fattore di crop. Infatti sovente si sente dire anche da “esperti” fotografi che il loro obiettivo è un 300 mm, ma essendo la loro fotocamera una Canon APS-C allora questo diventa un 480 mm. Questa frase ovviamente è sbagliata ed in questo post cercheremo di capire perché.

Partiamo iniziando con il dire che la lunghezza focale di un obiettivo (fisso o fissata ad un determinato valore nel caso degli zoom) non può cambiare e per un telescopio rifrattore coincide con la distanza tra la lente ed il piano focale, ovvero dove viene focalizzata l’immagine. Quindi un obiettivo 300 mm sarà e rimarrà sempre un 300 mm.

Figura 1: A sinistra il paese di Varenna (LC) ripreso con una full frame (equivalente). A destra lo stesso paesaggio con una APS-C

Se però osserviamo la Figura 1 ci rendiamo subito conto che utilizzando il medesimo obiettivo otterremo risultati diversi nel caso si usasse una Canon EOS con sensore full frame o APS-C. L’immagine ripresa con sensore APS-C appare più ingrandita, come se si fosse utilizzato un obiettivo di lunghezza focale superiore. Prima di comprendere come ciò sia possibile dobbiamo comprendere il significato delle parole full frame e APS-C. Questo si potrebbe facilmente riassumere in: “dimensione del sensore”. Infatti i sensori full frame sono quelli le cui dimensioni del CMOS sono equivalenti a quelli del tradizionale negativo a 35 mm ovvero 24 x 36 mm. I sensori APS-C sono invece più piccoli e nel caso di sensori Canon hanno dimensioni 14.8 x 22 mm.

L’apparente ingrandimento mostrato in Figura 1 è quindi unicamente dovuto alle dimensioni del sensore utilizzato. Perché? Cerchiamo di capirlo insieme. Per fare ciò partiamo da un semplice esempio. Vogliamo riprendere la nebulosa proboscide d’elefante utilizzando due fotocamere, una con sensore full frame ed una con sensore di dimensioni ridotte (non necessariamente APS-C). La luce emessa dalla nebulosa e quindi la sua immagine, dopo aver viaggiato per anni nello spazio interstellare, raggiunge il nostro telescopio o obiettivo fotografico e viene “ricostruita” su quello che abbiamo detto essere il piano focale. Ora se potessimo mettere un foglio di carta all’altezza del piano focale vedremmo l’immagine della nebulosa rappresentata perfettamente all’interno di un riquadro circolare. Perché circolare? Perché le lenti del telescopio sono di forma circolare. A questo punto sostituiamo il nostro foglio di carta con il sensore della fotocamera digitale. Ovviamente questo deve essere più piccolo dell’immagine circolare, altrimenti vedremmo la cornice nella nostra immagine (Figura 2). Tutti i telescopi e gli obiettivi fotografici sono pensati per avere un’immagine al piano focale più grande di un sensore APS-C o full frame.

Figura 2: A sinistra le dimensioni dei due sensori rapportati all'immagine generata dal telescopio / obiettivo sul piano focale. In alto a destra l'immagine ripresa dal sensore full frame, in basso a destra quella ripresa da un sensore APS-C o comunque da un sensore di dimensioni più piccole del full frame.

A questo punto non ci resta che scattare la nostra foto. Il risultato dello scatto è mostrato in Figura 2 a destra. A parità di dimensioni del pixel avremo nel caso di una full frame (sensore grande) un’immagine grande, mentre con un sensore APS-C (sensore piccolo) un’immagine piccola. Se immaginiamo di avere una fotocamera con sensore full frame (dimensioni 24 x 36 mm) da 3186 x 4779 pixel, allora l’immagine ripresa con il sensore APS-C (dimensioni 14.8 x 22 mm) avrà dimensioni in pixel  1965 x 2920. Questo ipotizzando che le dimensioni dei pixel siano uguali nelle due fotocamere (nel nostro esempio 24 mm / 3186 pixel = 7.5 micron). Cosa succede però se ora le due fotocamere hanno dimensioni dei pixel differenti? Ovvero ad esempio il sensore full frame ha dimensione dei pixel pari al doppio della APS-C? In questo caso le due immagini riprese precedentemente avranno la stessa dimensione in pixel come mostrato in Figura 3.

Figura 3: A sinistra l'immagine della nebulosa proboscide d'elefante ripresa con una camera full frame con pixel da 7.5 micron mentre a destra con una APS-C con pixel da 3.75 micron.

Quindi possiamo riassumere il nostro discorso dicendo che utilizzando un sensore APS-C con pixel piccoli otterremmo un’immagine di dimensioni analoghe a quella realizzata con una full frame dotata di pixel grandi. Figura 3 mostra che, come conclusione delle nostre argomentazioni, l’immagine della nebulosa proboscide d’elefante risulta più ingrandita nel caso di sensori APS-C rispetto a full frame. Questo fattore di ingrandimento si chiama fattore di crop. In realtà però è sbagliato definirlo ingrandimento. La terminologia corretta sarebbe: sensori di piccole dimensioni riprendono un campo più piccolo di sensori full-frame, dove per campo intendiamo la frazione di immagine sul piano focale coperta dal sensore. Un sensore APS-C Canon copre ad esempio un campo (24mm/14.8mm = 1.6 e 36mm/22mm = 1.6)  1.6 volte più piccolo di un sensore full frame e pertanto è come se l’immagine fosse 1.6 volte più grande.

Siamo quindi giunti al punto del grande fraintendimento: avere un’immagine che apparentemente è 1.6 volte più grande non significa aver ingrandito l’immagine sul piano focale di 1.6 volte ovvero aver aumentato la focale del telescopio. Quindi è vero che un’immagine ripresa da un sensore full frame con un obiettivo da 480 mm di focale offre lo stesso ingrandimento di una camera APS-C con un obiettivo da 300 mm ma le due ottiche danno immagini differenti sul piano focale e quindi sono differenti. E come si manifesta questa differenza? Ovviamente nella qualità dell’immagine. Un’immagine ripresa con una full frame e obiettivo 480mm è sicuramente di qualità superiore rispetto ad un’immagine ripresa con sensore APS-C e obiettivo 300mm. Questo perché se la full frame riprende un’immagine effettivamente grande, la APS-C riprende un’immagine solo apparentemente grande.

Riassumendo: l’ingrandimento ottenuto in una ripresa astrofotografica dipende da due fattori, lunghezza focale del telescopio e dimensione del sensore. Quindi uno stesso telescopio può fornire immagini con ingrandimenti differenti!!! Nei vostri scatti ricordatevi pertanto di indicare sempre la lunghezza focale di ripresa e il tipo di sensore utilizzato (dimensione del pixel in micron e del sensore in mm).