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Archiviazione delle informazioni

Abbiamo visto in ADC dal mondo analogico a quello digitale” come il risultato finale della nostra ripresa astrofotografica, effettuata con sensori CCD o CMOS, sia una sequenza di segnali digitali in grado di fornire informazioni sul numero di fotoni che hanno inciso durante l’esposizione su ogni singolo fotoelemento a semiconduttore. Questi segnali digitali dovranno quindi essere ora memorizzati in maniera opportuna su un supporto informatico come una scheda di memoria (ce ne sono di diversi tipi tra cui le più diffuse sono le SD e CF) o il disco fisso di un computer (nel caso di scatto remoto). Come sappiamo il risultato di questa memorizzazione sarà un file.

In astrofotografia digitale abbiamo molteplici formati in grado di memorizzare i file contenenti le informazioni della ripresa. In questo post analizzeremo i file più diffusi.

RAW

Con la parola RAW (grezzo) si indicano i file memorizzati dalle fotocamere digitali in grado di contenere tutte le informazioni in uscita dall’ADC. Dato che ogni casa produttrice ha un sistema diverso di acquisizione e conversione del segnale analogico in digitale, esistono molteplici file RAW, ciascuno con la sua estensione proprietaria. Ad esempio Canon utilizza il formato CRW (Canon RaW) con estensione CR2 mentre Nikon utilizza il formato NEF (Nikon Electronic Format) con estensione omonima.

I file RAW sono importantissimi per l’astrofotografia, dato che contengono le informazioni “originali” del sensore, prima che il processore della camera demosaicizzi l’immagine come descritto in “Costruire un’immagine a colori”. Il processo di demosaicizzazione include un peggioramento della qualità dell’immagine e dovrebbe venire applicato solo una volta che tutti i parametri di ripresa (bilanciamento del bianco, contrasto, …) sono stati opportunamente corretti. Questi parametri vengono corretti automaticamente dal processore. Ma se volessimo correggerli noi? In questo caso solo il file RAW ci permette di accedere alle informazioni necessari.

Ovviamente utilizzando i file RAW si rende necessario una “demosaicizzazione” a mano, oggi automatizzata da software di post produzione come Adobe Camera Raw (plug-in di Photoshop) o IRIS. Questi software sono in grado di leggere gran parte dei formati RAW proprietari oggi presenti sul mercato.

Data l’enorme mole di informazioni contenute nel file RAW, questi occupano molto spazio su disco, aumentando di conseguenza il tempo di salvataggio. Mentre quest’ultimo problema è risolubile solo aumentando la velocità dell’elettronica della camera e dei supporti di archiviazione, la riduzione dello spazio su disco è possibile utilizzando software di compressione.

Come si può ben capire il RAW non è un file immagine ma un file di dati. Una volta modificati opportunamente i parametri di ripresa il software di post produzione procede con la demosaicizzazione generando un’immagine a colore. Questa dovrà essere salvata in un file di tipo immagine. Quindi riassumendo, ad ogni file RAW corrisponde un file immagine. Nelle prossime sezioni vediamo quali sono i file immagini più diffusi in astrofotografia.

TIFF (8 o 16 bit/canale, compresso), PIC e BMP

L’immagine a colori fornita dal file RAW ha un gamma tonale dettata dal numero di bit dell’ADC come illustrato nel post “ADC: dal mondo analogico a quello digitale”. Questa non è ovviamente visualizzabile dato che molto spesso è superiore alla gamma tonale dell’occhio umano pari ad 8bit. Quello che succede è che la gamma tonale viene compressa dal numero di bit dell’ADC a 8bit. Questa “compressione” però è solo visuale, l’immagine che fuoriesce da un file RAW contiene infatti tutta la gamma tonale originale. In questo modo se tagliate parte dell’istogramma dell’immagine ottenuta a partire da un file RAW non perderete in quantità, dato che avrete un numero di toni sovrabbondante rispetto a quelli che può vedere l’occhio umano.

Il formato immagine in grado di memorizzare tutta la gamma tonale originale fornita dal file RAW sono il PIC ed il TIFF a 16 bit/canale. Al momento, dato che il numero di bit (per canale RGGB) fornito dagli ADC di DSLR e CCD è generalmente inferiore o uguale a 16bit, il TIFF a 16 bit/canale ed il PIC risultano essere formati appropriati.

È però possibile salvare l’immagine prodotta dal file RAW in un formato ad 8bit. In questo caso la visualizzazione compressa si trasforma in vera è propria riduzione del numero di bit e quindi della gamma tonale. Esempi sono i formati TIFF a 8bit/canale o BMP.

Perché salvare un’immagine in formato TIFF a 8bit/canale o BMP quando esistono formati come il TIFF a 16bit/canale o PIC? La ragione è ovviamente di natura pratica: diminuire lo spazio occupato dai file su disco.

In astrofotografia digitale, la pratica più utilizzata è quella di salvare l’immagine generata dal file RAW in TIFF a 16bit/canale o PIC ed effettuare la cosmetica su questi tipi di file. In questo modo sfrutteremo al meglio il segnale fornito dall’ADC della nostra fotocamera digitale. Una volta applicate tutte le modifiche sarà possibile salvare l’immagine in formato TIFF a 8bit/canale o BMP ottenendo un file di dimensioni inferiori e di facile trasportabilità. La riduzione della gamma tonale non comporterà perdite alla qualità dell’immagine. Ovviamente una volta convertita in immagine ad 8bit/canale non sarà possibile apportare altre modifiche di cosmetica all’immagine a meno di non voler perdere dettagli o introdurre artefatti (come la posterizzazione, vedi il post “Istogramma e stretching dinamico: come ottenere il massimo dalla dinamica del nostro sensore”).

È possibile inoltre comprimere i file TIFF in modo che questi occupino meno spazio su disco, senza perdere nessuna informazione. Tale formato si chiama, con molta fantasia, TIFF compresso.

JPEG

Il formato JPEG è sicuramente il formato immagine più diffuso, principalmente grazie alle ridotte dimensioni che questo occupa su disco. La gamma tonale che questo file riesce a memorizzare è di soli 8bit/canale, quindi del tutto simile ad un TIFF 8bit/canale o ad un BMP. Perché allora il formato JPEG occupa meno spazio addirittura di un TIFF compresso?

Anche le immagini JPEG sono compresse, ma utilizzano metodi lossy ovvero che durante la compressione perdono informazioni. Questo processo distruttivo per l’immagine permette al JPEG di occupare dimensioni anche molto ridotte. La perdita di qualità dell’immagine a seguito della compressione viene caratterizzata da una grandezza nota come fattore di compressione.

L’utilizzo di immagini JPEG è vivamente sconsigliato in astrofotografia. È comunque possibile salvare una compia dell’immagine finale ad 8bit o 16bit non compressa in JPEG al fine di una sua distribuzione sul web. In tal caso, per mantenerne la qualità si consiglia di utilizzare un fattore di compressione minimo.

Alcune DSLR permettono il salvataggio RAW + JPEG, utile per visualizzare velocemente le informazioni contenute nel file RAW

Ricordiamo infine che le fotocamere digitali, se non indicato diversamente, salvano le immagini su scheda (o disco nel caso di controllo remoto) in formato JPEG. Lo sviluppo RAW in JPEG ovvero la demosaicizzazione, bilanciamento del bianco e compressione, vengono effettuati dal microprocessore della DSLR (DIGIC per fotocamere Canon). Questo perché il tempo di processo sommato a quello di memorizzazione del formato JPEG su scheda è decisamente più veloce del solo salvataggio del file RAW. Ovviamente scattando in JPEG il file RAW (sempre prodotto) rimane in memoria e viene subito cancellato dopo il processo di “sviluppo” in JPEG.

FITS

Il formato FITS è molto diffusi in Astronomia e recentemente è divenuto uno standard per CCD astronomici amatoriali. Come il file RAW, questo formato contiene tutte le informazioni relative al sensore CCD precedenti al processo di demosaicizzazione.

Oltre all’immagine il file FITS può contenere molteplici informazioni e questo ne giustifica l’utilizzo in ambito scientifico professionale. Altro vantaggio che diventerà importante in futuro con le nuove generazioni di ADC, è che il formato FITS permette di salvare immagini a 32bit/canale.

File FITS possono essere interpretati da software come FITS Liberator (Plug-in di Photoshop) o IRIS.

Concludendo quindi abbiamo scoperto come ottenere il massimo dalle nostre immagini digitali ed in particolare è stata illustrata una procedura che a partire dal file RAW ci permette di costruire immagini corrette a 16bit o superiore. Queste possono essere a loro volta modificate grazie ai programmi di post produzione come Photoshop ed infine salvate in formati compressi come il “comodo” JPEG.

Il file RAW, così come l’immagine a 16bit (o superiore) devono venire archiviate, perché contengono tutte le informazioni sullo scatto. I file JPEG invece possono essere utili per un’eventuale pubblicazione sul web o per inviare le fotografie tramite mail.




Giove – 20/11/2012

Briosco (MB), 20/11/2012 – Giove

Telescopio di ripresa: Riflettore Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Montatura: Equatoriale alla tedesca, SkyWatcher NEQ6

Camera di ripresa: MagZero MZ-5m B/W, Celestron NexImage colori, Imaging Source DBK31.AU03 colori.

Elaborazione e note: Immagine ripresa con MagZero MZ-5m – Somma di due immagini, ciascuna somma di 500 frame effettuata con Registax6. Elaborazione finale con Photoshop. Immagine ripresa con Celestron NexImage – Somma di 500 frame effettuata con Registax6. Elaborazione finale con Photoshop. Immagine ripresa con Imaging Source DBK31.AU03 – Somma di 1000 frame effettuata con Registax6. Elaborazione finale con Photoshop.

Giove - 20/11/2012 ripreso con camera MagZero MZ-5m

Giove - 20/11/2012 ripreso con camera Celestron NexImage

Giove - 20/11/2012 ripreso con camera Imaging Source DBK31.AU03




L’Universo a portata di mano

13.75 miliardi di anni fa, tutto lo spazio che oggi possiamo “osservare” con i nostri telescopi aveva dimensioni infinitesime, ben più piccole di un atomo. In questo microcosmo era concentrata tutta la materia (energia) che oggi ritroviamo nell’Universo sotto forma di pianeti, stelle e galassie.

Non ha senso quindi parlare di cosa ci fosse prima od oltre l’Universo dato che il tempo e lo spazio nacquero proprio in quell’istante, noto come Big Bang.

In realtà Big Bang è una parola fuorviante, dato che 13.75 miliardi di anni fa NON esplose proprio nulla. Semplicemente lo spazio (tempo) iniziò a dilatarsi; un processo tuttora in atto.

Molta materia in poco spazio si traduce in urti violenti e quindi altissime temperature. Sono proprio questi urti che nei primi istanti dopo il Big Bang hanno dato luogo alla produzione di tutte le particelle elementari che oggi vengono ricreate, dopo quasi 14 miliardi di anni, nei grandi acceleratori quali, ad esempio, LHC al CERN di Ginevra.

Dopo un minuto dal Big Bang la temperatura ha cominciato ad abbassarsi permettendo la fusione nucleare tra le particelle sopravvissute alle prime fasi turbolenti di vita dell’Universo: protoni e neutroni. In circa 20 minuti vennero sintetizzati i primi elementi chimici presenti nel cosmo: Idrogeno, Elio, Litio e Berillio. Dopo 20 minuti l’espansione fece si che gli spazi divennero sufficientemente grandi da abbassare la temperatura dell’Universo fino alla soglia necessaria per innescare la fusione nucleare. La grande fornace cosmica così si fermò e per 400 mila anni l’Universo cominciò a brillare di luce come un Ferro rovente appena uscito da un forno, senza però produrre nessun nuovo elemento chimico.

Questa fase di “Universo luminoso” finì dopo 379 mila anni quando lo spazio, sempre più grande, permise agli elettroni di legarsi ai nuclei sintetizzati nei primi 20 minuti di vita dell’Universo. Si passa così dal plasma all’atomo: il cosmo cade nell’oscurità; un’oscurità che durerà circa 400 milioni di anni, periodo in cui l’Universo rimase uno spazio buio, senza stelle, riempito da immense nube di Idrogeno ed Elio.

M42 - Nebulosa di Orione

Per motivi ancora non del tutto chiari, queste nubi ad un certo punto cominciarono ad addensarsi, così come fanno le nuvole in un cielo sereno. Al loro interno si formarono delle piccole “gocce”, ovvero dei punti dove i gas cominciarono ad addensarsi maggiormente. Compressi dalla forza di gravità, in poco tempo i gas si portarono a temperature di qualche milione di gradi innescando nuovamente la fusione nucleare. Dopo 400 milioni di anni, al centro di quegli ammassi condensati, l’Universo ricominciò a sintetizzare gli elementi chimici.

Il processo di fusione nucleare libera energia sotto forma di radiazione la quale, passando attraverso il gas compresso dalla gravità, diviene luce. Il gas così si “accende” mantenendosi in un fragile equilibrio: nascono le stelle.

Oggi possiamo vedere in diretta il processo di formazione stellare osservando in dettaglio il centro della nebulosa di Orione (M42) come mostrato recentemente dall’Hubble Space Telescope. Un processo iniziato circa 13 miliardi di anni fa e tuttora in atto.

Una volta nate, le stelle continueranno nel loro centro a dar luogo alla fusione sintetizzando, passo dopo passo, tutti gli elementi chimici presenti nella tavola periodica fino al Ferro.

Tutte le stelle che osserviamo nel cielo si trovano in questo stato. Una volta giunte alla fine della loro vita (ovvero sintetizzato l’elemento più pesante permesso), queste possono o spegnersi dolcemente rilasciando nello spazio il gas che le costituisce oppure esplodere violentemente dando luogo a quei fenomeni noti come esplosioni di supernova. Nel primo caso, l’oggetto che possiamo osservare con i nostri telescopi è un ammasso di gas sferico con al centro quel che rimane del nucleo stellare (nana bianca). Questo tipo di nebulosa è detta nebulosa planetaria.

M27 - Esempio di nebulosa planetaria

L’aggettivo “planetario” è fuorviante, dato che queste nebulose non hanno nulla a che fare con i pianeti. L’origine del nome è da ricercarsi nella difficoltà che i primi astronomi trovarono nel risolvere questi oggetti che apparivano, ai loro telescopi, come dei dischi luminosi immersi nell’oscurità del cielo; dischi del tutto simili a quelli planetari.

Le esplosioni di supernova generano invece nebulose più irregolari. Gran parte delle nebulose ad emissione e oscure hanno avuto origine da un’esplosione di supernova. La stessa nebulosa granchio o M1, nella costellazione del Toro, è il resto di una stella esplosa nel 1054.

Durante un’esplosione di supernova vengono rilasciati nello spazio interstellare tutti gli elementi sintetizzati all’interno della stella e quindi tutti gli elementi chimici dall’Idrogeno al Ferro. Gli altri elementi pesanti, come ad esempio l’Uranio, verranno invece prodotti durante l’esplosione stessa.

Questo gas “sporco” va così a contaminare l’Universo. Stelle che nasceranno dalla contrazione di questo gas partiranno con degli elementi pesanti al loro interno oltre ai sempre abbondanti Idrogeno ed Elio. Tali stelle prendono il nome di stelle di “seconda” generazione. Una stella di questo tipo è ad esempio il nostro Sole. Nel Sole infatti troviamo tracce di elementi pesanti, tra cui il Ferro, necessariamente sintetizzati in passato nel cuore di una stella (più massiva) poi esplosa.

M33 - Esempio di galassia a spirale


Tornando alla storia dell’Universo abbiamo visto come, dopo 400 milioni di anni, all’interno di enormi nubi di gas hanno cominciato ad accendersi le prime stelle. L’insieme di tutte le stelle di una “nube primordiale” è detto galassia. All’interno di ciascuna galassia le stelle possono poi nascere in piccoli aggruppamenti noti come ammassi aperti. Un esempio di ammasso aperto sono le Pleiadi o M45 nella costellazione del Toro, nate da un’unica nebulosa circa 100 milioni di anni fa.

Tra le tante “nubi primordiali” una ha cominciato a originare le prime stelle circa 1 miliardo di anni dopo il Big Bang: si tratta della Via Lattea, la galassia di cui il Sole è una delle 300 miliardi di stelle che oggi la compongono. Se guardate il cielo estivo (ma anche autunnale o invernale) vi accorgerete che questo è attraversato da una grande striscia bianca: la Via Lattea appunto. Se la ingrandite con un binocolo vi accorgerete che questa è composta da tantissime stelle.

La Via Lattea non è nient’altro che una galassia “vista dall’interno”.

M13 – Esempio di ammasso globulare

Intorno alle galassie abbiamo spesso anche la condensazione contemporanea di altre piccole nube di gas che danno luogo a quegli ammassi noti come ammassi globulari.

M45 - ammasso aperto delle Pleiadi

Malgrado è usanza parlare in generale di ammassi stellari, bisogna notare che mentre quelli aperti si trovano dentro le galassie quelli globulari sono di natura extra-galattica. Esempio di ammasso globulare è il grande ammasso dell’Ercole o M13 nella costellazione omonima.

Ma quante sono le galassie nell’Universo? Ad oggi conosciamo qualcosa come 100 miliardi di galassie che si muovono nello spazio (sempre più grande a seguito dell’espansione) obbedendo praticamente alla sola forza di gravità. Questa a volte spinge le galassie le une contro le altre dando luogo a veri e propri scontri galattici.

Per comprendere le distanze e le dimensioni di tutti questi oggetti cosmici che abbiamo fin qui descritto ne riportiamo alcuni esempi.

  • Diametro della Terra: 12’700 km
  • Diametro della Luna: 3’500 km
  • Diametro del Sole: 1’400’000 km
  • Dimensione delle stelle più grandi: 1’960’000’000 km
  • Distanza Sole – Plutone: 7’300’000’000 km
  • Distanza Sole – Proxima Centauri (stella più vicina): 39’700’000’000’000 km = 4.2 ly (anni luce)
  • Distanza Sole – M42: 1’344 ly
  • Diametro Via Lattea: 100’000 ly
  • Distanza Sole – M13: 22’000 ly
  • Distanza Sole – Galassia di Andromeda (galassia più vicina): 2’540’000 ly
  • Distanza Sole – galassia più distante: 13’200’000’000 ly

Vediamo ora cosa è successo 4.568 miliardi di anni fa, quando da una nebulosa della Via Lattea, nacque il Sole. Per 10 milioni di anni intorno al Sole è stata presente una nube di gas e polveri che piano piano hanno cominciato a condensare formando corpi minori molto simili a piccoli asteroidi. Questi hanno cominciato a collidere gli uni contro gli altri per 100 milioni di anni, formando a mano a mano corpi di dimensioni sempre maggiori. Al termine di questo processo vennero a costituirsi otto pianeti: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

Il pianeta Giove

Quelli più esterni riuscirono inoltre a raccogliere intorno a se il gas presente, andando ad aumentare sempre più il loro volume. Oggi Giove, Saturno, Urano e Nettuno sono infatti dotati di atmosfere molto estese tanto da dare loro il nome di pianeti gassosi.

Ancor oggi è rimasto qualcosa di quell’insieme di piccoli corpuscoli primordiali: sono gli Asteroidi e i corpi minori della fascia di Kuiper e della nube di Oort.

Dal 24 Agosto 2006 esiste infine una nuova classificazione dei corpi celesti del Sistema Solare. In particolare esistono corpi che sono dei “pianeti” mancati, ovvero oggetti troppo piccoli per essere chiamati pianeti ma troppo grandi e regolari per essere chiamati asteroidi o corpi minori. Tali pianeti mancati prendono il nome di pianeti nani. Ad oggi (2012) i pianeti nani del Sistema Solare sono cinque: Cerere, Plutone, Eris, Makemake e Haumea. Plutone che prima del 2006 era catalogato come pianeta è quindi stato “declassato” al titolo di pianeta nano.

Nella lontana nube di Oort si trovano invece le comete. Ovvero corpuscoli primordiali delle dimensioni variabili da 100 m a diverse decine di chilometri, costituiti prevalentemente da ghiaccio. Questi oggetti, perturbati dalle loro orbite possono cadere verso il Sole. In prossimità della nostra stella il ghiaccio comincia a sublimare lasciando dietro al corpo la nota coda. Sono le comete, che in modo più o meno prevedibile attraversano i nostri cieli notturni. La zona luminosa, costituita dal corpo in sublimazione, è nota come chioma.

La cometa Garradd

Il Sistema Solare è l’unico sistema planetario della Via Lattea? Se si ipotizza che il Sole è una delle tante stelle che costituiscono la nostra galassia, allora è ovvio che il Sistema Solare è solo uno dei tanti. Fino a pochi anni fa questa era però solo una speculazione filosofica. Oggi, grazie alle più recenti tecniche astronomiche è stato possibile “vedere” per la prima volta pianeti che ruotano intorno ad altre stelle. Ad oggi sono stati osservati più di 1000 pianeti detti esopianeti, di cui 8 di dimensioni (e posizioni) simili alla Terra ed altri 8 leggermente più grandi. Se questo fosse generalizzabile a tutta la Via Lattea, avremmo ben 48’000’000 di pianeti simili alla Terra solo nella nostra galassia!

In questo post sono stati riportati solo i concetti base utili al neofita per un’osservazione consapevole dell’Universo attraverso il proprio telescopio. Informazioni più dettagliate le trovate in rete o tra poco anche su ASTROtrezzi.it, sezione ASTROnomia. Non vi resta che augurarvi una buona osservazione e cieli sereni!




M33 (NGC 598) – 07/11/2012

Sormano (CO), 07/11/2012 – M33

Somma di 16 immagini da 195 secondi 800 ISO + 45 bias + 12 dark + 45 flat effettuata con IRIS + Photoshop

Telescopio di guida: Rifrattore ED 80 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Telescopio di ripresa: Newton 150 mm SkyWatcher Black Diamond f/5 + correttore di coma + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility.

M33 (NGC 598)

presentiamo anche una seconda elaborazione effettuata utilizzando la tecnica del Layered Contrast Stretching

M33 applicando il metodo Layered Contrast Stretching




IC 1396 – 05/11/2012

Briosco (MB), 05/11/2012 – IC1396
Composizione LRGB [HαHαSIIOIII] effettuata con IRIS + Photoshop dove:

  • L: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 1 x 1 effettuata con IRIS.
  • R: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 1 x 1 effettuata con IRIS.
  • G: Filtro Astronomik SII 13nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 2 x 2 effettuata con IRIS.
  • B: Filtro Astronomik OIII 12nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 2 x 2 effettuata con IRIS.

Telescopio di guida: Rifrattore ED 80 mm f/7 Tecnosky Carbon Fiber + Camera Magzero MZ-5m.
Obiettivo di ripresa: Newton 150 mm f/5 SkyWatcher Black Diamond + Correttore di Coma Baader + filtro Astronomik +  CCD Atik 314L+ B/W.

L’immagine è stata pensata come un primo test del nuovo Newton 150 mm f/5 Black Diamond. Purtroppo l’umidità si è depositata sulle ottiche durante la notte rovinando completamente la posa.

IC 1396 - 05/11/2012




Realizzare un Mosaico Lunare/Solare con una webcam

Su internet spesso si trovano immagini del disco lunare riprese con reflex digitali e obiettivi costosissimi. In questo articolo vedremo come con un telescopio economico (anche inferiore alle 500 euro) ed una webcam astronomica (da 150 euro circa) sia possibile fare delle riprese lunari con dettagli superficiali impressionanti, ben superiori a quelli ottenibili con una qualsiasi reflex digitale.
Partiamo dallo scoprire quali sono i due concetti che stanno alla base di questa tecnica che d’ora in poi chiameremo del “mosaico lunare/solare”.

RUMORE
Se puntate un 600 mm da 10’000 euro con rispettiva Canon EOS 1D Mark III DS da 6’200 euro (solo corpo) sul disco lunare e scattate, quello che otterrete è un singolo scatto del disco lunare da 21 Mpixel.
Non spaventatevi dei costi o dei fantastici 21 Mpixel, ma focalizzatevi sulla parola singolo scatto. Pensateci bene! Malgrado siamo di fronte ad una Canon EOS 1D Mark III DS, questa presenterà del rumore elettronico che andrà a disturbare la qualità della nostra immagine. La tecnica di riduzione del rumore può essere effettuata riprendendo multipli scatti e calibrando come descritto per l’astrofotografia deep sky nell’articolo “Guida all’astrofotografia digitale”. Ma quanti scatti possiamo effettuare… tanti: 10, 50, 100 … dipende dalla vostra pazienza.
Immaginate però ora di avere un piccolo sensore CCD, molto più sensibile alla luce e con rumore elettronico inferiore ai CMOS presenti nelle reflex digitali. Supponete anche che questo sensore sia in grado di riprendere dei video (AVI, RAW, …) con un numero di frame per secondo (frame rate) molto elevato, tipo 30 fps.

Esempio di webcam astronomica (una Philips SPC900NC modificata) applicata ad un telescopio.

Un video non è che una successione di immagini (frame) montati sequenzialmente uno dopo l’altro. Il programma Registax6, di cui in seguito riportiamo una guida all’utilizzo, permette di “smontare” i video AVI in singoli frame.
Con un frame rate di 30 fps, avrete 300 immagini in soli 10 secondi di video. A questo punto potrete utilizzare questi frame per effettuare somme e calibrazioni riducendo così ulteriormente il rumore elettronico.
Secondo voi quanto ci mettereste a scattare 1800 immagini in RAW con la vostra Canon EOS 1D Mark III DS? Con una webcam astronomica (dotata di CCD) vi basterà un solo minuto! Inoltre l’immagine finale sarà meno rumorosa data l’elevata qualità dei sensori CCD.

DIMENSIONE DELL’IMMAGINE
A questo punto però il fotografo malizioso potrebbe dire: “Ma io ho 24 Mpixel”, mentre tu con la tua CCD astronomica hai una risoluzione 640 x 480 pari a 0.3 Mpixel. Per rispondere alla provocazione possiamo sfruttare la tecnica del mosaico. Infatti il nostro fotografo ha un teleobiettivo da 600 mm. Se noi utilizziamo un sensore piccolo (quindi con fattore di amplificazione dell’immagine grande) con una lente moltiplicatrice e un telescopio di media focale, come quelli economici che trovate in un qualsiasi negozio di ottica, allora potrete riprendere la Luna a “pezzi” con una focale lunghissima e poi unire il tutto con la tecnica del mosaico (vedi guida). Con una webcam, alcuni astrofili sono riusciti ad ottenere un’immagine del disco lunare da 87.4 Mpixel!!! Ricordiamo inoltre che un qualsiasi telescopio, anche i più economici, hanno qualità ottica e diametro ben superiore a qualsiasi teleobiettivo in commercio.
Ovvio che per fare un buon mosaico è necessaria una buona dose di pazienza.

SEEING
Ed ecco infine uno dei problemi che solo una webcam può risolvere: il seeing. La luce che ci arriva dalla Luna, prima di arrivare nella nostra reflex, passa attraverso l’atmosfera terrestre. Oltre ad alterarne i colori, le differenze di temperatura tra gli strati più o meno densi dell’atmosfera terrestre, generano dei moti che si traducono in un effetto tipo “sfocatura” dell’immagine. Questo effetto prende il nome di “turbolenza atmosferica” o “seeing”. Effettuando un singolo scatto al disco lunare, quello che otterrete è un “surgelamento” del seeing, ovvero registrerete l’immagine così come in quello scatto è stata deformata / sfocata dal seeing. Se invece sommate molti frame estratti da un video, come avviene nelle webcam, allora il seeing risulterà “mediato”, ed essendo un fenomeno prevalentemente casuale, diminuirà come per magia all’aumentare del numero di frame utilizzati.

Concludendo, la ripresa del disco lunare e dei suoi particolari con DSLR e teleobiettivi costosi non ha passato, presente e probabilmente neppure futuro. Oggi abbiamo reflex in grado di effettuare video AVI in formato HD ma purtroppo non esiste ancora nessun software in grado di elaborare una mole così eccessiva di dati. Infine l’utilizzo di telescopi è sicuramente consigliato rispetto anche ai più costosi obiettivi dato che sono sistemi otticamente più semplici e spesso di qualità superiore. Una guida su come elaborare un video AVI al fine di ottenere l’immagine media e su come effettuare un mosaico lunare è riportata qui. Il software utilizzato è Registax6. Per scaricarlo basta seguire il link riportato in ASTROlink.




Tecniche di ripresa del cielo notturno

Il neofita spesso crede che l’unico modo per riprendere gli oggetti celesti sia collegare la propria reflex digitale al telescopio tramite “qualche” anello adattatore. In realtà questo è vero solo in parte. Esistono numerose configurazioni del proprio setup astronomico a seconda del campo visivo che l’astrofotografo vuole inquadrare. I metodi che affronteremo in questo post sono: ripresa a fuoco diretto, ripresa in parallelo, ripresa in proiezione di oculare e metodo afocale. Prima di affrontare però una descrizione dettagliata di questi, è corretto ricordare che è possibile riprendere il cielo anche senza l’ausilio di montature, fissando la propria camera ad un normale cavalletto fotografico. Per maggiori informazioni sulle possibilità che questo metodo offre si legga l’articolo “L’Astrofotografia di tutti i giorni”.

Ripresa a fuoco diretto e in proiezione d’oculare

Configurazione per riprese a fuoco diretto

La ripresa a fuoco diretto è la tecnica più “intuitiva” in cui, tramite un anello adattatore noto come anello T2, si collega al fuoco diretto del telescopio la propria fotocamera digitale. Ma cos’è il fuoco diretto?
Tutti i raggi di luce che incidono sul sistema ottico che costituisce il nostro telescopio (lenti e/o specchi) vengono focalizzati in un punto (piano) detto fuoco diretto del telescopio. Se però in prossimità del fuoco mettiamo un ulteriore sistema ottico, come un oculare, in grado di modificare l’ingrandimento fornito dal telescopio, allora questo modificherà il punto (piano) di fuoco che andrà a trovarsi in una posizione differente detta fuoco indiretto.
Se si pone la fotocamera digitale in concomitanza del fuoco indiretto è possibile riprendere l’oggetto celeste sfruttando l’ingrandimento fornito dall’oculare. Questa tecnica è detta ripresa a fuoco indiretto o in proiezione d’oculare.

Configurazione per riprese in proiezione d'oculare

Quando una reflex è collegata al fuoco diretto del telescopio la focale del sistema, così come il suo rapporto, è quella del telescopio. Nel caso invece di ripresa in proiezione d’oculare invece la focale equivalente sarà:
dove F è la focale del telescopio, Dp è la distanza tra l’oculare ed il sensore CMOS/CCD e Fo è la focale dell’oculare utilizzato per la proiezione. Da questa si evince il rapporto focale:
La ripresa a fuoco diretto è quella utilizzata per la ripresa di oggetti deep-sky mentre quella in proiezione d’oculare risulta adatta per la ripresa di stelle doppie e pianeti.

Ripresa in parallelo
Ma è strettamente necessario utilizzare un telescopio per riprendere il cielo notturno? In realtà no. È infatti possibile montare una fotocamera digitale equipaggiata di zoom, teleobiettivo o grandangolo in parallelo al telescopio, come mostrato in figura. Questo permette di aumentare il campo fornendo un ingrandimento adatto per la ripresa di grandi complessi nebulari, ammassi stellari o la Via Lattea stessa.

Configurazione per riprese in parallelo

Questo metodo è il più semplice, spesso alla portata del neofita. Il telescopio su cui è montato l’obiettivo può essere inoltre utilizzato come telescopio di guida, ovvero un sistema in grado di controllare che la montatura insegua bene il cielo mentre la camera è in ripresa.
In questa configurazione la lunghezza focale così come il rapporto, è quella dell’obiettivo montato in parallelo.

Metodo afocale
Questo metodo è quello più intuitivo e consiste nell’appoggiare una fotocamera digitale dotata di zoom direttamente all’oculare del proprio telescopio. In questo caso lo zoom rifocalizza sul sensore quanto verrebbe focalizzato normalmente sulla retina appoggiando l’occhio all’oculare, applicando inoltre un ulteriore fattore di ingrandimento. Dati i lunghi tempi di esposizione è spesso consigliato l’utilizzo di un supporto per la camera come quello mostrato in figura.

Configurazione per riprese con il metodo afocale

Questa tecnica è particolarmente adatta per la ripresa di stelle doppie e pianeti. Inoltre, data la configurazione del setup permette di utilizzare per riprese astrofotografiche anche telescopi dotati di fuoco interno come alcuni Newton o i telescopi solari LUNT PST.
In questo caso la focale equivalente del sistema è data da:dove Fm è la focale dell’obiettivo utilizzato, F la focale del telescopio e Fo la focale dell’obiettivo utilizzato. Il rapporto focale è invece definito come:

N.B.: tutte le focali indicate fanno riferimento ad un sensore FULL FRAME. Per calcolare la focale nel caso di sensori APS-C è necessario moltiplicare per il fattore di correzione (ad esempio 1.6 nel caso di Canon EOS 500D).




Corso di Astronomia alla Riserva Lago di Piano

ASTROtrezzi terrà un corso di Astronomia alla Riserva Lago di Piano. Questo si articolerà in tre lezioni di cui una pratica:

10 Novembre – ASTROfisica [SERATA CONFERMATA]
20.30 – Conferenza dal titolo “l’Universo a portata di mano”
In questa serata sarà possibile viaggiare nel tempo e nello spazio alla scoperta dell’Universo così come lo conosciamo oggi. Scopo della prima lezione è preparare il pubblico all’osservazione “pratica” del cielo notturno, oggetto della seconda serata.

DISPENSA DELLA CONFERENZA

Aurora Boreale da Sormano (CO) - Immagine GRUPPO AMICI DEL CIELO, tutti i diritti sono riservati

24 Novembre – ASTROfotografia [SERATA IN SOSTITUZIONE AD ASTRONOMIA]

20.30 – Conferenza dal titolo “Astrofotografia”
Ora che avete imparato ad orientarvi nell’immensità della volta celeste non volete scattare una foto ricordo? In questa conferenza vedremo come sia possibile riprendere il cielo utilizzando strumenti di vario genere: dal cellulare ai moderni CCD astronomici.

UNA SEMPLICE GUIDA ALL’ASTROFOTOGRAFIA DIGITALE LA TROVATE QUI, OPPURE LEGGETE IL LIBRO DI L. COMOLLI LA CUI RECENSIONE E’ RIPORTATA QUI. Ai neofiti suggeriamo anche gli articoli  L’Astrofotografia di tutti i giorni” e “Scegliere la propria strumentazione astrofotografica”.

08 Dicembre – ASTROnomia [SERATA CONFERMATA (EX 01 DICEMBRE 2012)]
20.30 – Osservazione del cielo stellato (vestirsi adeguatamente)
Vi siete mai chiesti come fanno gli astrofili a trovare galassie e nebulose nella vastità del cielo notturno? Con questo corso di Astronomia pratica all’aperto scoprirete come sia semplice orientarsi tra stelle e pianeti. Portate pure le vostre mappe del cielo e ottiche di vario genere (binocoli, cannocchiali o telescopi). Insieme scopriremo come sia semplice utilizzarle!

RIPORTIAMO DI SEGUITO LE FANTASTICHE IMMAGINI ASTRONOMICHE RIPRESE DA MOIRA CAPELLI AL TERMINE DEL CORSO DI ASTRONOMIA (fotocamera Canon EOS 60D a fuoco diretto di un telescopio Newton 150mm f/5)

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LA SERATA ASTRONOMIA SI TERRÀ IL GIORNO SABATO 08 DICEMBRE 2012 INDIPENDENTEMENTE DALLE CONDIZIONI METEO

PER ISCRIVERSI AL CORSO O MAGGIORI INFORMAZIONI: Quota di partecipazione 10.00 € per tutto il corso. Casa della riserva 0344/74961 oppure riservalagopiano@cmalpilepontine.itwww.facebook.com/riservalagodipianowww.facebook.com/volontarilagodipiano .




Scegliere la propria strumentazione astrofotografica

Muoversi nel mercato dell’astronomia ed in particolare in quello dell’astrofotografia può risultare difficile, specialmente per chi si affaccia per la prima volta a queste discipline. In questo post cercheremo di chiarirci le idee e “costruire” insieme la nostra prima strumentazione astronomica.
Il principiante si avvicina al mondo dell’astrofotografia sfogliando riviste e siti internet specializzati oppure come diretta conseguenza dei primi successi ottenuti con reflex digitale e cavalletto fisso utilizzando una di quelle tecniche descritte nell’articolo “L’astrofotografia di tutti i giorni”.
Recandosi nel primo negozio di ottica (e spesso anche di astronomia) quello che verrà proposto è un telescopio super-tecnologico in grado di puntare migliaia di oggetti celesti automaticamente. Il neofita, felice di non dover “studiare” il cielo delegando tutto al software del telescopio, lo acquista entusiasta pensando di aver speso molto per avere una strumentazione astronomica professionale. Inoltre le specifiche tecniche garantiscono ingrandimenti elevati e prestazioni di altissimo livello.
L’entusiasmo si trasforma regolarmente in delusione appena il giovane astrofilo cercherà di puntare il primo oggetto celeste. Questo non si troverà nel campo e richiederà una ricerca manuale, spesso complicata, da effettuare con uno strumento otticamente buio e montato su un cavalletto (in astronomia si parla di montatura) traballino. A questo punto c’è chi si rassegna, rimettendo il tutto nello scatolone e per sempre in cantina, chi insiste spinto dalla passione impazzendo definitivamente e chi vende tutto al fine di comprare un nuovo telescopio. Quanto state leggendo è pensato proprio per queste persone: astrofotografi potenziali uccisi dal mercato. Prima di pensare all’acquisto dello strumento bisogna però comprendere quali sono le parti più importanti di un setup astrofotografico:

M31 – 23/11/2009 ore 23.55 U.T., Canon 40D + Tamron CF 80-210 mm f/4.0 utilizzato a 210 mm, 90 secondi a 3200 ISO su EQ3.2. Filtro Tamron 58 mm Skylight A1.

Digital Single Lens Reflex (DSLR) – Reflex Digitale
Non è vero che per cominciare a riprendere il cielo è strettamente necessario avere una DSLR professionale o una camera CCD da migliaia di euro. È possibile infatti appoggiare una semplice fotocamera compatta all’oculare del telescopio riprendendo così le prime immagini di oggetti deep sky come ammassi stellari e nebulose nonché Luna e pianeti. Questo metodo, noto come metodo afocale, richiede l’acquisto di un apposito sostegno in grado di collegare la compatta al telescopio.
Ovviamente il metodo afocale con fotocamere compatte è solo un primo passo nel mondo dell’astrofotografia ma permette di ottenere velocemente risultati spesso gratificanti, soprattutto nella ripresa del nostro satellite naturale.
Se invece siete convinti di voler intraprendere la strada della fotografia astronomica allora l’acquisto di una reflex diviene necessaria. Quale? Qualsiasi, purché sia dotata di sistema LiveView, fondamentale per la messa a fuoco dello strumento (nel mirino della reflex, di notte, è praticamente impossibile vedere qualcosa).
Le moderne ed economiche Canon EOS 1000D e 1100D soddisfano già tutti i criteri astrofotografici.
Comprare una DSLR professionale per utilizzo prettamente astronomico ha un senso? La risposta è no. Con la stessa spesa è infatti possibile acquistare una camera CCD economica in grado di fornire immagini migliori.
Una volta che avrete cominciato a riprendere il cielo notturno vi accorgerete che le nebulose appariranno sempre di un rosa pallido. Questo è dovuto alla presenza di un filtro montato di fronte al sensore delle DSLR che, se per la fotografia diurna è importante al fine di ottenere immagini nitide, di notte diminuisce la sensibilità della camera alle lunghezze d’onda del rosso e quindi, di conseguenza, alla lunghezza d’onda di emissione delle nebulose (linea Hα). L’unico modo per aumentare la sensibilità della DSLR al rosso è quello di rimuovere il filtro originale e montare un filtro “astronomico”. Questa modifica prende il nome di “modifica Baader” in onore della principale ditta produttrice di filtri astronomici per DSLR.

Montatura
Una volta acquistata una camera digitale, il secondo e più importante step è la scelta della montatura. Il mercato offre molti modelli i cui prezzi variano da poche centinaia di euro a qualche decina di migliaia. Come orientarsi in questo zoo? Dato che questo post è pensato per neofiti, supponiamo che il budget a vostra disposizione sia comunque inferiore ai 1’500 €. In questo range non sono molte le montature a disposizione e ASTROtrezzi vi consiglia quelle prodotte dall’azienda SkyWatcher. Queste sono classificate utilizzando il nome EQ che sta per montatura equatoriale (si veda l’articolo “Le montature astronomiche”) associato ad un numero che cresce all’aumentare delle prestazioni. Queste ultime si possono riassumere nella qualità dell’inseguimento degli astri e nella capacità di sostenere una strumentazione pesante. Il modello più economico presente sul mercato è la EQ2. Questa, a mio avviso, NON è adatta per sostenere telescopi se non di piccole dimensioni, risultando infatti molto ballerina. Se proprio si vuole montare un telescopio si consiglia o un corto rifrattore o un Newton con diametro massimo pari a 130 mm.
Malgrado tutto, la EQ2 può comunque essere utilizzata per l’astrofotografia a patto che sia motorizzata (almeno in A.R.). Una montatura motorizzata non punta gli oggetti automaticamente ma si limita ad inseguire gli astri. Questa è l’unica funzione richiesta in astrofotografia, dato che gli oggetti si possono individuare nel cielo utilizzando le coordinate o, come si è sempre fatto con le mappe celesti.
Ma che immagini si possono ottenere con la EQ2? Purtroppo data l’esile struttura della montatura, l’unica cosa che possiamo utilizzare per riprendere il cielo sono obiettivi grandangolari montati direttamente sulla montatura costruendosi adattatori come quello riportato in “Collegare una fotocamera ad una montatura con attacco Vixen”. A differenza del cavalletto tradizionale, con una EQ2 è possibile riprendere in modo corretto la Via Lattea oltre ad ampie zone di cielo. Soggetti interessanti sono la costellazione di Orione o il Cigno che, in condizioni di cielo buio, possono offrire uno spettacolo unico.
Lo step successivo è l’acquisto di una montatura di tipo EQ3.2. Questa è più robusta della precedente e permette di montare obiettivi anche piuttosto pesanti. In visuale può sorreggere rifrattori e Newton con diametro massimo pari a 150 mm. Se motorizzata in entrambe gli assi e dotata di mirino polare è possibile riprendere immagini utilizzando obiettivi o zoom fino a circa 70 mm di focale.
Perché malgrado la montatura EQ3.2 sorregga obiettivi con focali superiori ai 70 mm bisogna comunque limitarsi a questo valore? Una montatura stazionata correttamente purtroppo non riesce ad inseguire adeguatamente gli astri. Questo perché è impossibile allinearla perfettamente con il polo celeste nord e anche se così fosse non è detto che i motori di inseguimento non commettano errori durante la posa.
Per risolvere questo problema è possibile montare il nostro teleobiettivo in parallelo ad un piccolo telescopio (si veda l’articolo “Tecniche di ripresa del cielo notturno” e “Collegare un fotocamera in parallelo con Geoptik GK2”) e, utilizzando un reticolo illuminato ed una stella, correggere gli eventuali errori di inseguimento della montatura.
Questa tecnica è nota come guida e con una montatura EQ3.2 garantisce un inseguimento discreto fino a focali pari a 100-300 mm. Oltre i 300 mm la risposta dei motorini alla guida risulta troppo imprecisa e le riprese presenteranno stelle non puntiformi. Non pensiamo però che con un teleobiettivo da 200-300 mm non sia possibile riprendere il cielo. Molte nebulose nonché la galassia di Andromeda sono ben inquadrate solo con focali inferiori ai 500 mm, quindi già con un piccolo teleobiettivo ce n’è di lavoro!
Ma se le nebulose più grandi non vi bastano più o volete una ripresa delle stesse in alta definizione effettuata con obiettivi corretti fino ai bordi, allora non vi bastano più gli zoom e i teleobiettivi ma dovrete comprare un piccolo rifrattore apocromatico. A questo punto i telescopi diventano due: uno di ripresa costoso e di ottima qualità ed uno di guida. Il peso della coppia sicuramente supera la massima portata della EQ3.2 e quindi dovrete passare al prossimo modello sul mercato, la HEQ5. Questa supporta in visuale rifrattori di tutte le dimensioni e Newton fino a 200 mm di diametro. In fotografico è possibile invece montare un rifrattore o un piccolo newton con affiancato un leggero telescopio di guida. A differenza della EQ3.2, la HEQ5 possiede la porta autoguida. Questa permette di sostituire all’oculare con reticolo illuminato una camera (di solito con sensore CMOS) dando la possibilità, tramite l’utilizzo di un PC, di controllare automaticamente la montatura in modo da correggere l’errore di inseguimento. Questa tecnica prende il nome di autoguida, da cui il nome della porta che permette di controllare la montatura. Grazie all’autoguida, una volta stazionato correttamente lo strumento, funzionerà automaticamente lasciando a voi il tempo per prendere un buon caffè.
La massima focale consigliata rimane comunque 500 mm, oltre la quale si ottengono inseguimenti non precisi.
Siete ancora insoddisfatti? Volete riprendere le galassie che con un 500 mm di focale appaiono come piccoli batuffoli di cotone? Allora non vi resta che acquistare una NEQ6, ultima montatura della casa SkyWatcher che vi permette di montare telescopi di grandi dimensioni affiancate da leggeri rifrattori di guida. La massima focale utilizzabile rimane comunque inferiore ai 1500 mm oltre i quali il mosso può cominciare a farsi evidente. Ovviamente anche la NEQ6 è dotata di porta autoguida. Ricordiamo che tutte le montature, tranne la NEQ6 funzionano con batterie a torcia mentre a quest’ultima dovete affiancare una batteria da almeno 7Amph.

Esempio di setup astrofotografico

Ottica
Alcune delucidazioni sulle ottiche da utilizzare per l’astrofotografia sono state date nel paragrafo montatura. Vediamo ora di dare maggiori informazioni a riguardo. Se avete una compatta e volete riprendere immagini con il metodo afocale allora il problema non si pone. Se siete invece in possesso di una DSLR allora dovete cominciare a sfruttare al massimo le ottiche già a vostra disposizione. Purtroppo per riprendere le stelle servono ottiche corrette e quindi gli zoom sarebbero da evitare. Anche gli obiettivi puri (persino quelli Canon o Nikon!) non sono corretti dal punto di vista ottico e danno aberrazioni visibili, specialmente ai bordi. Consigliamo quindi di chiudere leggermente il diaframma in modo di aumentare la qualità ottica dell’obiettivo.
Per quanto riguarda i telescopi la scelta si rivolge principalmente ai tradizionali rifrattori (apocromatici) e Newton. Oggi sul mercato appaiono i primi Ritchey-Chrétien anche se i prezzi si mantengono ancora leggermente superiori al migliaio di euro. Esiste il modello Ritchey-Chrétien  da 6 pollici che costa solo 500 € ma come tutte le cose economiche è uno strumento di bassa qualità e quindi se possibile da evitare.
Rifrattore o Newton? È una domanda che l’astrofilo e l’astrofotografo si pone da decenni. Oggi possiamo affermare la seguente cosa: se volete un telescopio otticamente perfetto e leggero (ma buio) allora comprate un rifrattore altrimenti andate su un Newton. Ricordatevi che se dovete fare astrofotografia si rende necessario l’acquisto di un correttore di coma per Newton o di uno spianatore di campo per i rifrattori.
Per il telescopio guida consigliamo un rifrattore acromatico o apocromatico del diametro di 70 mm o superiore (f/7). Telescopio di ripresa e telescopio guida dovranno essere montati solidamente alla montatura e tra loro al fine di non presentare flessioni le quali possono dare del mosso durante le riprese, anche se guidate correttamente. Il collegamento con la montatura deve essere effettuato preferibilmente tramite barra tipo Vixen o Losmandy.

Accessori
In questo paragrafo riportiamo tutti gli accessori non descritti precedentemente e necessari per iniziare una sessione astrofotografica. Prima di tutto è necessario un anello T2 per collegare la DSLR ad un qualsiasi telescopio. Se si fanno riprese in parallelo con obiettivi fotografici allora questo anello non si renderà necessario.
Secondo oggetto è o un reticolo illuminato, dal costo contenuto, oppure una più costosa camera di guida.
Purtroppo la DSLR può subire vibrazioni durante lo scatto e in particolare si raccomanda di non toccare mai la camera durante l’intera sessione astrofotografica. Per fare questo è necessario utilizzare la DSLR in modalità scatto remoto. Questo può avvenire o con l’ausilio di un telecomandino oppure attraverso il cavo USB in dotazione. In questo ultimo caso si rende però necessario l’utilizzo di un PC. Consigliamo un netbook ed in ogni caso un PC con schermo non a cristalli liquidi. Questi infatti tendono a congelare durante le sessioni invernali. Inoltre il PC deve consumare pochissimo e quindi sono da evitare CPU molto potenti o schermi particolarmente grandi. Un tavolino da pic nic, una sedia portatile ed una torcia dotata di luce rossa completano infine il setup di un giovane astrofotografo.

Con questa guida speriamo di aver risposto a tutti i vostri dubbi su quale strumentazione acquistare per riprendere le vostre “prime” immagini astronomiche. A titolo di esempio riportiamo alcuni setup di ripresa oltre alla portata delle varie montature SkyWatcher:

ESEMPI DI SETUP FOTOGRAFICI
Configurazione low cost
Montatura EQ2
Motori per montatura EQ2
Reflex Canon EOS 1100D + obiettivo zoom 18-55 mm
Modifica Baader
Collegamento Montatura – Reflex
Telecomando remoto

Fotografia a grande campo < 100 mm
Montatura EQ3.2
Motori per montatura EQ3.2 (due assi)
Reflex Canon EOS 500D + obiettivo zoom 18-55 mm
Modifica Baader
obiettivo zoom Canon 75 – 300 mm non stabilizzato
Telescopio di guida
Collegamento Reflex – Telescopio di guida
Oculare a reticolo illuminato
Netbook + incremento memoria RAM

Fotografia a medio campo < 500 mm
Montatura HEQ5
Motori per montatura HEQ5 (due assi) + modifica porta autoguida
Reflex Canon EOS 500D
Modifica Baader
Telescopio di guida
Telescopio di ripresa Rifrattore Tecnosky ED carbon fiber 80mm f/7
Spianatore di campo
Collegamento Telescopio di ripresa – Telescopio di guida
Camera di guida
Netbook + incremento memoria RAM
Flat box

Fotografia a campo stretto < 1500 mm
Montatura NEQ6
Reflex Canon EOS 550D
Modifica Baader
Telescopio di guida
Telescopio di ripresa Rifrattore Tecnosky Tripletto 130mm f/7
Spianatore di campo
Collegamento Telescopio di ripresa – Telescopio di guida
Camera di guida
Netbook + incremento memoria RAM
Flat box

PORTATA DELLE MONTATURE SKYWATCHER
EQ2: 2.8 kg
EQ3.2: 5.1 kg
HEQ5: 10.2 kg
NEQ6: 15.3 kg




Guida pratica all’astrofotografia digitale

GUIDA PRATICA ALL’ASTROFOTOGRAFIA DIGITALE (*****)
Lorenzo Comolli – Daniele Cipollina
Gruppo B Editore, ISBN 978-88-95650-33-3, 2011, prezzo 26.00 €

“Guida pratica all’astrofotografia digitale” è oggi il miglior libro di astrofotografia presente sul mercato italiano. Le prima due parole del titolo riassumono le caratteristiche peculiari di questo libro. Prima di tutto infatti questo è una guida per tutti gli astrofotografi. Qui infatti troverete informazioni dettagliate sul funzionamento delle reflex digitali (DSLR) e dei CCD astronomici nonché tutto quello che bisogna conoscere al fine di effettuare degli scatti astronomici.

A mio avviso è una guida realmente adatta a tutti. Prova ne è il fatto che al neofita questo libro apparirà complicato al punto giusto mentre l’esperto ritroverà tra le pagine i concetti a lui noti ma spiegati con estrema semplicità e chiarezza.

Ma “Guida pratica all’astrofotografia digitale” non è una banale guida ma è una guida pratica. Questa è una caratteristica difficile da trovare in un libro di astrofotografia!

In particolare gli autori conducono il lettore mano nella mano (o meglio mano sul mouse) tra i labirinti di programmi quale Maxim DL o Photoshop. A differenza di quanto si trova spesso nei forum di astrofotografia L. Comolli e D. Cipollina non si limitano a dare consigli ma indicano parametri e valori da attribuire alle varie funzionalità presenti nei più comuni software astronomici nonché schemi per la costruzione artigianale di alcune utility quali flat box, alimentatori 12V per Canon e molto altro ancora.

Questa guida è quanto di più utile e completo si possa trovare sul mercato, tuttavia qualche piccola critica si rende necessaria. Prima di tutto è l’utilizzo di software proprietario come Maxim DL e Photoshop il cui costo è veramente elevato, spesso fuori dalla portata economica di un neofita. Sarebbe stato meglio l’utilizzo di programmi opensource, multi-piattaforma e gratuiti come IRIS e Gimp ma, come dicono in un passo del libro gli stessi autori: “il miglior programma per l’astrofotografia è, a parità di prestazioni, quello che si sa usare meglio” e quindi giustamente si sono limitati a trattare il software che loro abitualmente utilizzano per l’elaborazione delle immagini astronomiche. Anche i plug-in per Photoshop riportati nel libro sono spesso a pagamento, ma in questo caso il loro costo è contenuto.

Seconda nota negativa potrebbe essere l’invecchiamento del testo. Infatti tra qualche anno i software cambieranno e la parte pratica di questa guida rischia di diventare obsoleta. In ogni caso il tempo di invecchiamento rimane comunque lungo dato che, ad esempio, le funzionalità di Photoshop sono più o meno le stesse da ormai più di 10 anni.

A chi consigliare quindi questo libro? A tutti, dall’astrofotografo neofita all’esperto. Si tratta di uno di quei testi che un astrofotografo (ed un gruppo di astrofili) non può non avere nella propria libreria.

Cosa aspettarsi dal futuro? Potrebbero nascere due libri satelliti di questa ottima guida pratica: uno dedicato al neofita, più semplice e capace di guidare il principiante all’acquisto e all’utilizzo della “prima” strumentazione astrofotografica. Un secondo dedicato all’esperto con descrizioni dettagliate e test più specifici di quelli riportati nel libro di L. Comolli e D. Cipollina. Questa trilogia potrebbe coprire completamente tutto quanto si può conoscere dell’Astrofotografia Digitale.

Riportiamo di seguito l’indice e la copertina del libro:

Guida pratica all’astrofotografia digitale di L. Comolli e D. Cipollina
  • Prefazione
  • Introduzione
  • Capitolo 1. La strumentazione
    • Le camere digitali
    • I sensori digitali
    • Telescopi e ottiche
    • Le montature
    • I sistemi di guida automatica
    • Gli accessori
    • I filtri fotografici
  • Capitolo 2. Prima di cominciare
    • Il sito osservativo
    • Allineamento polare della montatura
    • I settaggi delle DSLR
  • Capitolo 3. Iniziare a fotografare
    • L’acquisizione delle immagini
    • La messa a fuoco
    • Riprendere i frame di calibrazione: dark frame e flat field
    • Il bilanciamento del bianco
    • Il raffreddamento dei sensori
    • I tipi di astrofotografia
    • La scelta degli oggetti da riprendere
    • Inquadrare il soggetto
    • Lo scatto
  • Capitolo 4. Il pretrattamento delle immagini
    • La necessità del pretrattamento
    • I programmi per la gestione tecnica delle immagini
    • La calibrazione delle riprese con dark e flat
    • Convertire i file RAW
    • L’allineamento e la compositazione
  • Capitolo 5. L’elaborazione cosmetica
    • Perché elaborare?
    • La scelta del programma: Photoshop
    • I preliminari: la regolazione dei livelli e delle curve
    • La maschera sfuocata e la DDP
    • La correzione di colore selettiva sul cielo e sugli oggetti
    • Le tecniche RGB, LRGB, HaLRGB, HaOIII ed altre
    • L’elaborazione degli oggetti con elevata differenza di luminosità
    • La rimozione della vignettatura e dei gradienti
    • La riduzione del rumore di fondo
    • La riduzione dei diametri stellari
    • L’esaltazione del colore delle stelle
    • Aumentare la nitidezza con il filtro “Accentua paesaggio”
    • L’uso dei plug-in
    • Creare le “Azioni” con Photoshop
    • Il salvataggio dei file
  • Conclusione
    • Gestire le immagini
    • Diffusione su internet e sulle riviste
    • Stampare i migliori risultati
    • Consigli generali
  • Appendice
    • Riferimenti bibliografici
    • Accessori da autocostruire
    • Formule utili



M39 (NGC 7092) – 02/10/2012

Briosco (MB), 02/10/2012 – M39

Somma di 22 immagini da 70 secondi 400 ISO + 40 bias + 17 dark + 40 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Rifrattore ED 80 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Telescopio di ripresa: Newton 150 mm f/5 + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility.

Ripresa effettuata con Luna quasi piena.

M39 (NGC 7092) - 02/10/2012




Telescopio riflettore Newton SkyWatcher 150 mm f/5

Riportiamo di seguito l’analisi dettagliata di questa ottica acquistata il 31/10/2008 da Miotti Ottica (Milano).

Specchio primario
Lo specchio primario si presenta circolare, del diametro pari a 15 cm con disegnato nel centro un anello utile ai fini della collimazione. Questo è stato sottoposto dal 2008 al 2012 ad ogni tipo di condizione atmosferica. La pulizia dello specchio è stata effettuata il giorno 25 Settembre 2012. Questa ha rimosso ogni tipo di sporco tranne un granello nero di vernice (quella che riveste il supporto dello specchio secondario, vedi figura 1), che si è ancorato alla superficie dello specchio. Per rimuoverlo sarebbe stato necessario applicare un mezzo abrasivo (o contundente) che avrebbe rovinato la superficie dello specchio. Pertanto, date le piccolissime dimensioni del grano si è deciso di non procedere accettando una perdita di luce stimata inferiore allo 0.001%.

Figura 1 : Il piccolo granello di vernice nera depositata sullo specchio primario

La cella dello specchio primario è ben fatta con tre viti di regolazione dotate di buona mobilità (si consiglia di allentarle leggermente prima di procedere con la collimazione dello strumento). Lo specchio è appoggiato su tre spessori di sughero come mostrato in Figura 2.

Figura 2 : cella di sostegno dello specchio primario. Ben visibili sono i tre spessori di sughero.

Una volta collimato lo strumento una piastra in metallo ricopre le viti di collimazioni proteggendo lo specchio da possibili urti accidentali.

Specchio secondario
Lo specchio secondario, del diametro di 35 mm, è ancorato a quattro razze di colore nero. Come il primario anche questo è stato sottoposto a diverse condizioni atmosferiche richiedendone pertanto la pulizia, effettuata il giorno 27 settembre 2012. Il sostegno del secondario non è mai stato smontato; si presenta stabile con le tre viti di fissaggio dotati di buona mobilità (Figura 3).

Figura 3 : Il sostegno dello specchio secondario

Se le razze di soli 0.5 mm di spessore, riducono (insieme alle dimensioni del secondario) l’ostruzione dello strumento fissato a 0.23, di contro rendono la collimazione  piuttosto difficile a seguito della possibile torsione del sistema. Si consiglia pertanto di non stringere mai energicamente le viti di regolazione dello specchio.

Fuocheggiatore
Il fuocheggiatore è molto economico e diversifica questo modello da quello identico più costoso (SkyWatcher Black Diamond). Ospita oculari da 31.8 mm e svitandone il sostegno è possibile avvitare un anello T  per il raccordo con fotocamere digitali (vedi figura 4).

Figura 4 : il barilotto porta oculari

Data la scarsa qualità della cremagliera è consigliabile fuocheggiare lasciando allentata la vita di fissaggio e bloccare il tutto solo quando lo strumento si trova nella posizione definitiva. Quando collimate il telescopio ricordatevi quindi di serrare la vita di fissaggio del fuocheggiatore riproducendo così la condizione di ripresa fotografica.

Intubazione
Il cammino ottico è completamente protetto da un tubo metallico di lunghezza 67 cm e diametro 18 cm.  Questo presenta esternamente un graffio lungo un lato, appena visibile tra gli anelli di supporto del telescopio, mentre internamente è verniciato uniformemente di color nero opaco. Il materiale che costituisce il tubo è economico ma leggero (un banale lamierino piegato). La struttura è praticamente identica alla versione più costosa con la differenza che invece di essere verniciata con del nero metallizzato in questo caso è stato utilizzato un blu. Il lamierino si incastra con precisione nella cella del primario e nel supporto del secondario il quale purtroppo perde dei pezzetti di vernice nera in prossimità del tappo di copertura (gli stessi che poi nel corso degli anni sono caduti sugli specchi).
Il telescopio è sostenuto da una coppia di anelli in metallo uno dei quali presenta una vite con passo fotografico per collegare una eventuale camera digitale in parallelo. Questi sono collegati tra loro da una barra a coda di rondine tipo Vixen.

Cercatore
Il cercatore è un 6 x 30 originale dello stesso colore del telescopio. Il sostegno invece è stato sostituito con quello di un rifrattore acromatico Antares Venere del 1998. Questo presenta tre viti di regolazione ed al suo interno il cercatore è fissato con un elastico invece della guarnizione originale (OR) andata distrutta a seguito di un forte sbalzo termico. L’immagine del cercatore è riportata in figura 6.

Figura 6 : Immagine del cercatore 6 x 30 SkyWatcher.

Collimazione
La collimazione del telescopio è piuttosto semplice anche se bisogna serrare completamente la vita di fissaggio del fuocheggiatore. Questa viene poi mantenuta a lungo nel tempo anche a seguito di lunghi spostamenti in auto. Le dimensioni ridotte dello specchio fanno si che la messa a fuoco e la collimazione non cambino molto riducendo a pochi minuti il tempo di climatizzazione delle ottiche. L’ultima collimazione effettuata con oculare di Cheshire e collimatore laser è stata effettuata il giorno 27 settembre 2012.

Osservazione visuale
Il basso rapporto focale di questo strumento lo rende molto luminoso e quindi adatto per osservazioni del profondo cielo. Allo stesso tempo il diametro modesto ma non grandissimo dell’ottica (e quindi del tubo) non degradano eccessivamente le immagini planetarie che si presentano comunque nitide e ricche di dettagli. Per confronto, la quantità e qualità di dettagli di questo Newton 150 mm f/5 è di gran lunga superiore a quella che si ottiene con un rifrattore acromatico da 10 cm f/10. Il piccolo diaframma presente sul tappo del telescopio aumenta il rapporto focale, utile durante le osservazioni lunari.
Il barilotto da 31.8 mm permette di utilizzare tutti gli accessori di questo diametro, meno costosi dei parenti da 50.8 mm (due pollici). Il cercatore 6 x 30 fornisce invece il giusto ingrandimento per il neofita che si avvicina per la prima volta ad un telescopio. La sostituzione con un cercatore 8 x 50 o superiore può essere utile per gli astrofili visualisti più esigenti.

Ripresa con fotocamere digitale
Pensato probabilmente come un ripiego dalla ditta costruttrice, l’utilizzo di questo strumento per riprese astronomiche è tutt’altro che sconsigliato. Il rapporto f/5 garantisce infatti alta luminosità e allo stesso tempo permette di contenere il coma. Persino la collimazione degli spechi non si presenta drammatica rispetto ai suoi parenti con rapporti focali f/4 o inferiori. Unico punto debole, come detto precedentemente, è il fuocheggiatore. Questo limita l’utilizzo di accessori da 31.8 mm, escludendo di fatto il possibile utilizzo di un correttore di coma. Pertanto l’astrofotografo più esigente dovrà accontentarsi di un leggero coma ai bordi (comunque inferiore di quello presente in un Newton SkyWatcher 200 mm f/4 + correttore di coma Baader MPCC). È sempre il fuocheggiatore ad aumentare la difficoltà di messa a fuoco dello strumento dato che la cremagliera introduce un movimento alto – basso alla camera. Però sino ad ora abbiamo parlato di DSLR. Il problema non si pone se si utilizza una camera CCD a sensore piccolo dotata di connessione 31.8 mm (tipo la CCD ATIK 314L+). Il perno per la fotografia in parallelo è invece una buona soluzione per fotocamere leggere e dotate di obiettivi a corta focale.
Infine, malgrado la relativa corta focale (750 mm), questo strumento è risultato buono anche per riprese lunari e dei maggiori pianeti del Sistema Solare. In questo caso è comunque consigliabile una buona lente di Barlow (come le Powermate della TeleVue).
Di seguito portiamo alcuni esempi di immagini astronomiche riprese con questo strumento: Giove, Saturno, Luna, Sole, Galassia M101 e persino Plutone!




La tecnica LRGB

Abbiamo visto in “Costruire un’immagine a colori” come il processo di debayerizzazione produca immagini di dimensioni pari a quelle del sensore ma di qualità inferiore. Algoritmi sempre più sofisticati cercano di interpolare sempre meglio i pixel di diverso colore al fine di ottenere immagini nitide. Se invece di una DSLR utilizziamo un CCD monocromatico (quindi senza filtri applicati al sensore) il processo di debayerizzazione viene bypassato ottenendo immagini a colori di ottima qualità. Questo comporta la ripresa di 3 immagini in bianco e nero con filtri rispettivamente R, G e B. Ottenere un’immagine a colori a partire da un CCD monocromatico è quindi possibile ma molto dispendioso in termini di tempi di ripresa che vengono triplicati. Nel 1996 è però stata sviluppata una tecnica, detta LRGB, in grado di combinare un’immagine a colori ad alta risoluzione cromatica e bassa risoluzione spaziale con un’immagine in bianco e nero ad alta risoluzione spaziale nota come immagine di luminanza. Dal punto di vista patico, questo significa che è possibile riprendere le tre immagini in bianco e nero con filtri R,G e B a alta risoluzione cromatica e bassa risoluzione spaziale. La prima condizione si ottiene aumentando il rapporto segnale/rumore e quindi il tempo di esposizione (o utilizzando ottiche più luminose) o utilizzando un bin 2 x 2. In quest’ultimo caso si ha una riduzione della risoluzione spaziale che però, per quanto detto prima, non è importante.
L’immagine di luminanza L invece deve contenere il maggior numero di informazioni sulla distribuzione spaziale degli oggetti e quindi è consigliabile utilizzare un’immagine in B/W senza applicazione di nessun filtro. Solitamente, per evitare di sporcare il sensore si utilizza un filtro taglia IR-UV. In questo caso ovviamente è richiesto l’utilizzo di un bin 1 x 1 in modo da minimizzare la perdita di particolari. Le quattro immagini LRGB verranno poi composte formando l’immagine a colori finali. Nulla vieta di utilizzare differenti combinazioni di filtri per costruire l’immagine a colori che comunque deve soddisfare le condizioni precedentemente illustrate. Non si è neppure vincolati ad utilizzare lo stesso tipo di telescopio per le riprese a colori ed in luminanza.

La composizione LRGB

La tecnica LRGB può ad esempio essere applicata utilizzando come filtro di luminanza un filtro a banda stretta al fine di enfatizzare le zone di una determinata nebulosa che emettono in una riga specifica dello spettro elettromagnetico (si parla ad esempio di HαRGB) oppure si possono usare tricromie differenti come “l’Hubble Palette” SII Hα OIII che utilizza invece dei filtri RGB quelli a banda stretta dello Zolfo, dell’Idrogeno e dell’Ossigeno.




Come pulire lo specchio primario del nostro telescopio

I telescopi Newton consistono in due specchi: uno primario di grosse dimensioni ed uno secondario più piccolo. Il primo (parabolico) convoglia tutta la luce sul secondo (piano) che a sua volta lo riflette nella direzione dell’oculare o della nostra DSLR/CCD. Un tubo protegge il cammino ottico da luci parassite e polvere. L’astrofilo si sente così immune dall’eventualità di pulire le proprie ottiche, ma non sempre è così. Infatti l’umidità sotto forma di acqua o ghiaccio può comunque depositarsi sullo specchio primario lasciando tracce calcaree. Inoltre polvere di vario tipo, ad esempio sollevata dal manto stradale, o piccoli detriti di vernice utilizzata per ricoprire internamente il tubo possono depositarsi sul nostro specchio.
Più un telescopio è utilizzato e più la degradazione dell’ottica diventa importante. Dopo anni si rischia che l’intera superficie del primario risulti offuscata diminuendo così le prestazioni del proprio telescopio. Come fare a riportare il tutto alle condizioni originali?
Tra gli astrofili si è sempre detto: quando un newton è sporco è giunto il momento di venderlo, buttarlo o rialluminargli gli specchi. Questo perché, fino a pochi anni fa, gli specchi erano molto delicati e le tecniche di produzione non prevedevano la presenza di uno strato protettivo posto sopra la superficie riflettente dello stesso così come avviene oggi.
Quindi niente paura! Prima di tutto è necessario rimuovere con cura il tubo dalla culatta e quindi lo specchio dalla cella. Queste operazioni vanno realizzate con i guanti registrando bene la posizione delle viti e perni di fissaggio.

Immersione dello specchio in un catino di plastica

Dopodiché, sempre con i guanti, si procede inserendo lo specchio in un catino di plastica. Con un getto d’acqua si lava bene la superficie dello specchio senza mai toccarla. Questo procedimento dovrebbe rimuovere la polvere meno insistente e tutto il calcare presente sulla superficie.
Dopodiché si riempie il catino d’acqua in modo che lo specchio risulti completamente immerso. Si aggiunge all’acqua qualche goccia di sapone neutro. Si agita un po’ finché non si vede un po’ di schiuma. Attendere qualche minuto tenendo le mani in acqua in modo che si ammorbidiscano. Successivamente si versa qualche goccia di sapone sul pollice e con un movimento leggero lo si fa passare sullo specchio lasciandolo sempre immerso in acqua. Questo dovrebbe permettere la rimozione di quasi tutta la polvere rimasta. Continuare ad immergere/emergere lo specchio dall’acqua mentre con il pollice si rimuovono gli ultimi granelli di polvere.
Quando lo specchio risulta pulito si facciano parecchi sciacqui al fine di rimuovere tutto il sapone residuo. Fatto questo si svuoti il catino e si lavi per un’ultima volta lo specchio con acqua distillata.
Lo specchio così pulito andrà posto in posizione verticale su un asciugamano e, alternando asciugacapelli (minima temperatura, massima distanza) a panno in microfibra per occhiali, si asciuga lo specchio. Se il risultato non è soddisfacente si ripetano le operazioni precedenti a partire dal lavaggio con acqua distillata.

Risultato dell'operazione di pulizia dello specchio primario di un riflettore Newton 150 mm f/5




Costruire un’immagine a colori

Alla luce di quanto riportato nei post precedenti, DSLR e CCD producono  una matrice di pixel. Ciascun pixel è un numero intero proporzionale al numero di fotoni che si sono depositati in quel determinato elemento fotosensibile. A questo punto, come descritto in “ADC: dal mondo analogico a quello digitale” ad ogni valore di luminosità del pixel è possibile associare un tono di grigio. Questo può essere poi visualizzato a monitor o stampato su pellicola fotografica. L’insieme di tutti i pixel costituisce così l’immagine digitale. Questa risulta però essere un’immagine in bianco e nero. Come è possibile? Abbiamo analizzato solo il caso di sensori in bianco e nero? Ed i sensori a colori?
Cominciamo subito con il dire che i sensori a colori non esistono. Tutti i sensori, siano essi CCD o CMOS sono in grado di generare immagini in bianco e nero. Allora come è possibile costruire un’immagine a colore?
Si sfrutta un particolare modello di colori di tipo additivo noto come RGB. Questo dice che “ogni” colore è descrivibile come la somma adattiva di tre colori primari. Per motivi fisiologici legati alle frequenze cui sono più sensibili i fotorecettori dell’occhio umano (coni) si è deciso di utilizzare il rosso 700 nm (R), verde 546.1 nm (G) e il blu 455.8 nm (B) da cui il nome del modello RGB.
Ma cosa comporta questo dal punto di vista pratico? Ogni colore è visto come la somma, pesata dal livello di luminosità, dei tre colori primari RGB. Se ora ho tre immagini in bianco e nero, ciascuna delle quali rappresenta la componente R, G e B dell’oggetto reale, allora posso costruire l’immagine a colori a partire da queste.
Come avrete capito il gioco è fatto. Basta riprendere con il nostro sensore in bianco e nero tre immagini: una con un filtro rosso, una con un filtro verde ed una con un filtro blu. La combinazione delle tre fornirà l’immagine a colori. Quanti colori? Se ogni immagine in bianco e nero ha 2^bit toni, l’immagine risultate sarà data da 2^bit x 2^bit x 2^bit = 2^3 x bit colori. Questa tecnica di costruzione delle immagini è quella che viene normalmente utilizzata nei sensori CCD astronomici dove per ogni oggetto celeste si effettuano tre riprese applicando rispettivamente filtri RGB.
Per le reflex però ci troviamo di fronte ad un problema di tipo tecnologico. Risulta infatti impossibile effettuare tre scatti per ciascuna ripresa a colori (considerando anche il tempo di sostituzione del filtro). Vi immaginate riprendere un’auto in corsa in queste condizioni?
Il problema è stato risolto montando di fronte ad ogni fotoelemento un opportuno filtro colorato. Può sembrare impossibile eppure la tecnologia attuale è in grado di realizzare filtri colorati con dimensioni veramente infinitesime.
La distribuzione dei filtri sulla matrice di fotoelementi (ovvero sul sensore) è nota come Matrice CFA (Color Filter Array). Ci sono molteplici possibili combinazioni. Preso un gruppo di quattro pixel allora abbiamo:

  • Matrice di Bayer RGGB: filtri rosso, verde, verde e blu (Figura 1).
  • Matrice RGBE: filtri rosso, verde, blu e smeraldo.
  • Matrice CYYM: filtri ciano, giallo e magenta.
  • Matrice CYGM: filtri ciano, giallo, verde e magenta.
  • Matrice RGBW: filtri rosso, verde, blu e trasparente.

Figura 1: le varie configurazioni della matrice di Bayer: a) RGGB, b) GRBG, c) GBRG e d) BGGR.

In questo articolo parleremo in particolare della Matrice di Bayer o RGGB (spesso riportata come RGB). Cominciamo con il notare che la scelta di due filtri verdi non è casuale. L’occhio umano è più sensibile al verde e pertanto, per avere una migliore risposta della DSLR, si è deciso di aumentare il numero di filtri di questo colore.
Ad ogni scatto quindi il 25% del sensore riprenderà un’immagine in bianco e nero filtrata rossa, un altro 25% del sensore riprenderà un’immagine in bianco e nero filtrata blu ed infine il restante 50% riprenderà un’immagine in bianco e nero filtrata verde. Ora però, se prendiamo un determinato pixel questo avrà solo un valore dei tre canali RGB. Come ottenere il colore?
È necessario creare un algoritmo in grado di “stimare” il valore che un pixel avrebbe assunto con un determinato filtro, partendo da quello realmente assunto dai pixel vicini. Tale processo è noto come demosaicizzazione o debayerizzazione. Esistono ovviamente molteplici modi per demosaicizzare un’immagine RGB tra cui ricordiamo:

  • Variable Number of Gradients (VNG): calcola i gradienti vicino al pixel di interesse e sceglie il minimo ovvero quello che si traduce nel più morbido in termini di immagine.
  • Pixel Grouping: calcola il valore di un pixel come opportuna combinazione dei vicini.
  • Adaptive Homogeinity – Directed: questo metodo seleziona la direzione di interpolazione in modo da massimizzare l’omogeneità.
  • Advanced Chroma Corrective: è una delle più accurate quanto complesse routine di demosaicizzazione.

Tutte queste tecniche (ne esistono altre non discusse in questo post) permettono così di ottenere un’immagine a colori a partire da un singolo scatto. Il prezzo da pagare è una perdita in qualità a seguito del processo di demosaicizzazione. Per quanto riguarda le DSLR Canon, il processo di demosaicizzazione è effettuato dal processore Canon DIGIC o da software dedicati nel caso in cui si decida di scattare in RAW. In Figura 2 sono riportati i canali R,G e B di un’immagine ripresa con una Canon EOS 500D.

Figura 2: scomposizione dell'immagine nei canali RGB. Si noti come il canale più luminoso sia il rosso associato alla nebulosa (riga Hα). Il canale verde invece presenta meno strutture ma con un'ottima risoluzione grazie al numero doppio di pixel dotati di filtro G. Il canale blu è spesso il peggiore sia in termini di qualità a causa sia del minor numero di pixel utilizzati durante il processo di debayerizzazione che del minor numero di dettagli presenti.




NGC 7380 – 19/09/2012

Briosco (MB), 16/09/2012 – NGC7380
Composizione LRGB [HαSIIHαOIII] effettuata con IRIS + Photoshop (in HST Palette) dove:

  • L: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 4 immagini da 800 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 26 dark + 100 flat effettuata con IRIS.
  • R: Filtro Astronomik SII 13nm. Somma di 4 immagini da 900 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 23 dark + 100 flat effettuata con IRIS.
  • G: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 4 immagini da 800 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 26 dark + 100 flat effettuata con IRIS.
  • B: Filtro Astronomik OIII 12nm. Somma di 4 immagini da 800 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 26 dark + 100 flat effettuata con IRIS.

Telescopio di guida: Newton 200 mm f/4 SkyWatcher + Camera Magzero MZ-5m.
Obiettivo di ripresa: Rifrattore ED 80 mm f/7 Tecnosky Carbon Fiber + Spianatore/Riduttore 0.8x + filtro Astronomik +  CCD Atik 314L+ B/W.

NGC 7380 - 19/09/2012

Riportiamo di seguito anche i tre canali separatamente (SII, Hα ed OIII). L’immagine ripresa in SII mostra un leggero mosso dovuto al cattivo inseguimento della montatura NEQ6 per tempi di posa superiori ai 14 minuti. L’immagine ripresa in OIII mostra invece una leggera sfocatura dovuta all’aberrazione cromatica del rifrattore ED (o al fatto che i filtri Astronomik non sono perfettamente afocali… verificheremo in futuro).

NGC 7380 (SII) - 19/09/2012

NGC 7380 (Hα) - 19/09/2012

NGC 7380 (OIII) - 19/09/2012




NGC 7380 – 16/09/2012

Briosco (MB), 16/09/2012 – NGC7380

Somma di 12 immagini da 15 minuti bin 1 x 1 + 100 bias + 23 dark + 100 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Newton 200 mm f/4 SkyWatcher + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding 1s.

Obiettivo di ripresa: Rifrattore ED 80 mm f/7 Tecnosky Carbon Fiber + Spianatore/Riduttore 0.8x + filtro Atik Hα 13nm +  CCD Atik 314L+ B/W, software Artemis Atik Capture

NGC7380 - 16/09/2012




Concorso ASTROfotografico 2012

Concorso ASTROfotografico 2012 è il primo “concorso fotografico” organizzato da ASTROtrezzi.it . Nulla di formale, solo un modo alternativo di far conoscere ASTROtrezzi.it e stimolare il vostro interesse per la ripresa del cielo notturno (diurno). NON è necessario avere una strumentazione astronomica professionale come descritto in questo post. Serve solo tanta fantasia… Ovviamente il concorso non ha tema se non banalmente: il cielo.

Non esiste nessuna commissione giudicatrice, targhette o diplomi. Le immagini che invierete a davide@astrotrezzi.it saranno giudicate da Davide Trezzi in funzione dell’età dell’autore (bambino o adulto), della strumentazione utilizzata e della qualità dello scatto.

Il vincitore riceverà una stampa di una delle foto presenti su ASTROtrezzi. Infine l’immagine prescelta diventerà la foto bacheca di ASTROtrezzi su facebook. Cosa aspettate… inviate le vostre foto!!!

locandina del concorso

Riportiamo di seguito le immagini dei partecipanti in ordine di sottomissione.

Maia Mosconi (04/10/2012)

Simona Danielli (09/10/2012)

Boris Mosconi (09/10/2012)

Paolo Mori (15/10/2012)

Rosario Magaldi (16/10/2012)

Ilea Valentin (23/10/2012)

Rocco Parisi (05/12/2012)

Emiliano Riva (24/12/2012)

Giuseppe Alvaro (28/12/2012)