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Coda Cometaria

La coda cometaria

Avvicinandosi al Sole, il nucleo cometario diviene sempre più attivo rilasciando nello spazio interplanetario polveri, ioni e gas. Questi rimangono nei pressi del nucleo finché la pressione esercitata dalla radiazione e dal vento solare non risulta sufficientemente forte per allontanarli. La chioma pertanto diviene sempre più allungata a mano a mano che la cometa si avvicina al sole e una nuova struttura diviene sempre più evidente: la coda cometaria. Questa, essendo naturale prolungamento della chioma, è costituita sostanzialmente dagli stessi composti volatili ovvero polveri, gas e ioni. Queste tre specie hanno però comportamenti molto differenti una volta rilasciati nel vuoto interplanetario. Polveri e gas infatti sono elettricamente neutri e quindi non vengono deviati dalla eventuale presenza di campi magnetici. Le polveri sono però più massive dei gas e pertanto risentono maggiormente della traiettoria del nucleo cometario e di effetti gravitazionali. I gas più leggeri vengono invece soffiati via dal vento solare e risentono meno di effetti gravitazionali. Lo stesso si può dire per gli ioni che però, essendo elettricamente carichi, sono influenzati da eventuali campi elettici e magnetici presenti. L’effetto complessivo è la separazione della coda cometaria in due componenti: una nota come coda di polveri e la seconda nota come coda di ioni (e gas).

CODA DI IONI (CODA DI TIPO I)

La componente ionica della code cometaria è costituita da molecole emesse dal nucleo e successivamente ionizzate dai raggi X e UV provenienti dal Sole. Questa, unita alla componente neutra gassosa, una volta colpita dalle particelle cariche del vento solare emette luce a lunghezza d’onda ben determinata (spettro di emissione) dove le linee più intense si trovano nella regione del blu. Il vento solare ricordiamo però essere un flusso continuo di particelle cariche emesse dal Sole. Questo tende, insieme alla radiazione solare, a ionizzare la chioma producendo un campo magnetico locale il quale non è stabile e può dare luogo a fenomeni di riconnessione magnetica. Tale fenomeno di riconnessione blocca, con un periodo pari ad una – due settimane, lo sviluppo della coda ionica per circa mezzora producendo così interruzioni noti come “tagli” della coda ionica.

CODA DI POLVERI (CODA DI TIPO II)

Durante i fenomeni di sublimazione superficiale del nucleo, viene emessa anche una componente non volatile costituita da polveri, sostanzialmente silicati. Una volta rilasciati nello spazio interplanetario queste si moveranno con velocità e direzione praticamente identiche a quelle del nucleo cometario. La radiazione solare spinge però tali polveri in direzione opposta a quella del Sole. Il risultato complessivo è una traiettoria ricurva che quindi va a separare di fatto la coda di polveri da quella di ioni che invece ha direzione sempre opposta al vento solare. La coda di polveri è di colore giallo dato che brilla di luce solare riflessa (spettro di assorbimento). Le particelle possono essere emesse in gruppo dalle zone attive del nucleo cometario, specialmente se questo passa molto vicino al Sole, e questo si riflette nella presenza di bande note come bande sincroniche nella coda di povere. Inoltre la distruzione di polveri e conseguente dispersioni nello spazio interplanetario possono dare luogo alla formazione di strie. La combinazione di questi fenomeni con la rotazione del nucleo cometario può produrre nelle code di polveri strutture anche complesse.

Vista da terra, la curvatura della coda di polveri può, per effetto prospettico, generare una coda opposta a quella reale. Tale coda viene chiamata anti-coda. Esiste la possibilità di anti-code reali, ovvero generati da intensi getti cometari in direzione opposta al vento solare, ma questi sono molto rari e difficilmente osservabili con strumentazioni amatoriali.




Giove – 11/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 640 x 480

Data (Date): 11/01/2013

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di 500 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 6.9%

Campionamento (Pixel scale): 45.6 arcsec /172 pixel = 0.26511 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 4046 mm

(clicca qui per scaricare l’immagine originale in formato TIFF – click here in order to download the TIFF file)

Giove - 11/01/2013 - il satellite in figura è Io




La Chioma Cometaria

Abbiamo visto come con l’avvicinarsi del nucleo cometario al Sole, le zone composte da materiali volatili cominciano ad attivarsi rilasciando nello spazio interplanetario gas e polveri. Questi vanno così a formare una tenue atmosfera, detta chioma, che può raggiungere dimensioni persino superiori ai 100’000 chilometri di diametro. La forma di quest’ultima dipende dalla natura dal materiale di cui il nucleo cometario è composto oltre che dalla dimensione delle polveri.

La chioma cometaria, aumenta al diminuire della distanza dal Sole fino a quando il vento solare non diviene così intenso da essere in grado di “soffiarla via” parzialmente alimentando quella che prendere il nome di coda cometaria. La stessa chioma modifica la sua forma assumendo esternamente quella di una goccia mentre internamente si può osservare la presenza di getti detti fontane.

Ci si potrebbe quindi chiedere quale è la distanza minima dal Sole necessaria affinché il nucleo cometario sia in grado di sviluppare una chioma. La risposta non è semplice dato che, ancora una volta, dipende dalla composizione chimico-fisica del nucleo. Infatti la chioma si sviluppa a seguito della sublimazione degli elementi volatili che avviene a temperature differenti a seconda del materiale considerato. Temperature differenti significano distanze differenti dal Sole, e questo spiega perché lo sviluppo della chioma varia da cometa a cometa. Possiamo comunque determinare un valore medio che si attesta intorno alle 3-4 UA (1 UA = 1 Unità Astronomica = Distanza Terra – Sole = 149’597’870.691 km). L’insieme della chioma e del nucleo cometario forma la testa della cometa.

Di tutti gli elementi e molecole emesse dal nucleo cometario il più leggero, l’Idrogeno, può allontanarsi nello spazio formando quello che prende il nome di nube d’Idrogeno, ovvero un alone esteso alcuni milioni di chilometri intorno al nucleo della cometa. L’Idrogeno che forma tale alone deriva dalla fotodissociazione dei vapori d’acqua ad opera dei raggi UV solari e pertanto lo sviluppo della nube d’Idrogeno avviene solo in determinate comete quando queste raggiungono la minima distanza dalla nostra stella. Purtroppo tale nube d’Idrogeno emette unicamente nell’UV e quindi non è visibile da Terra.

Se si include la nube d’Idrogeno le comete diventano gli oggetti più grandi dell’intero Sistema Solare.




Il Nucleo Cometario

Quando osserviamo o fotografiamo una cometa con strumenti amatoriali, l’unica parte che non riusciamo a scorgere a causa della luminosa chioma è il nucleo cometario. Questo ne rappresenta il vero cuore pulsante che le recenti sonde interplanetarie hanno mostrato essere costituito da un corpo solido molto scuro composto da un parte volatile (ghiacci di varia natura) ed una non volatile (polveri e rocce). Tra i ghiacci ricordiamo il ghiaccio d’acqua, che si trova spesso legato a sali mentre la parte non volatile dovrebbe essere costituita da composti chimici molto scuri a base di Carbonio, dato il basso albedo (riflessione dei raggi solari ad opera di un corpo celeste) del nucleo cometario che si attesta intorno al 4%.

Quando il Nucleo cometario si avvicina al Sole, allora la temperatura superficiale aumenta e le zone volatili cominciano a sublimare. Data la bassa densità del nucleo, inferiore persino a quella dell’acqua, e le sue dimensioni ridotte con diametri inferiori alla decina di chilometri, la velocità di fuga delle comete risulta molto bassa permettendo ai materiali volatili e alle polveri emesse con essi di abbandonare facilmente la superficie cometaria. Tali gas e polveri andranno poi a costruire quella che sarà la chioma.

I punti di sublimazione dei nuclei cometari sono detti zone attive e dai dati raccolti della sonda Giotto sulla cometa di Halley il materiale emesso, costituito per l’80% di composti dell’acqua, 10% di monossido di carbonio ed il 2%-3% di una miscela ammoniaca/metano, è pari a circa tre tonnellate al secondo.

Malgrado non ci siano ancora misure precise, oggi possiamo dire che le comete hanno un moto di rotazione piuttosto complesso dettato dalla struttura irregolare del nucleo nonché dalla distribuzione non omogenea delle zone attive. Dato che la crosta superficiale del nucleo non è uniforme e alcune regioni rimangono non attive finché non vengono riscaldate dalla radiazione solare, durante il moto di rotazione e di avvicinamento al Sole possono manifestarsi fenomeni noti come outburst. Questi sono dovuti all’attivazione di alcune zone superficiali con conseguente sublimazione ed emissione di materiali volatili. Ovviamente un outburst è un fenomeno nella cui apparizione gli astrofili spesso sperano. Infatti gli outburst comportano sempre un aumento di luminosità della cometa.

Raramente è possibile che outburst particolarmente esplosivi rendano instabile il nucleo portandolo persino alla disintegrazione. Questo processo è noto come breakup. Cause comuni di breakup sono invece il passaggio ravvicinato al Sole ed a pianeti giganti. Gli effetti gravitazionali indotti da questi corpi maggiori possono infatti portare alla frammentazione del fragile nucleo cometario, che presenta una consistenza simile alla neve pressata. Ovviamente  fenomeni di breakup sono drammatici dal punto di vista osservativo e fotografico perché riducono drasticamente la luminosità della cometa.

Immagini bellissime di nuclei cometari si possono trovare sui siti delle missioni spaziali Giotto, Deep Space 1, Stardust e Deep Impact . Per studiare più a fondo i nuclei cometari bisognerà però aspettare i risultati che fornirà la sonda ESA Rosetta, lanciata il 02 marzo 2004 e che raggiungerà la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko in gennaio 2014. Il lander Philae, trasportato dalla sonda, potrà così atterrare sul nucleo cometario (novembre 2014) e lì vi rimarrà vincolato al fine di studiarne la composizione chimica e fisica oltre alla sua attività.




Storia e Caratteristiche Fisiche delle Comete

Non c’è oggetto celeste visibile ad occhio nudo tanto affascinante e misterioso quanto le comete.

Stelle dotate di chioma (da cui l’etimologia del termine) che appaiono improvvisamente nel cielo seguendo traiettorie differenti da quelle seguite dagli altri corpi celesti erranti: i pianeti, il Sole e la Luna.

Sarà proprio per questo motivo che per secoli si credette che le comete fossero un fenomeno atmosferico e completamente distaccato dalla perfezione celeste. Basti pensare che bisogna aspettare l’avvento dell’astronomo Tycho Brahe (1546-1601) per provare sperimentalmente la vera natura cosmica delle comete.

Oggetti imprevedibili e disordinati e come tali ritenuti nel Medioevo portatrici di sventura; ma allo stesso tempo fenomeni affascinanti e grandiosi, tanto che a partire dal 1303 sarà proprio una cometa a diventare la “stella di Natale”. Quello è infatti l’anno in cui Giotto rappresentò per la prima volta una stella cometa sopra la capanna della Natività, forse colpito dal passaggio nel 1301 della cometa di Halley.

Ancora oggi, dopo migliaia di anni, le comete risultano enigmatiche: non tanto per la loro struttura fisica quanto per la loro origine, il loro destino e il legame che queste hanno con la presenza di vita nell’Universo.

Alla luce dei dati forniti dalle numerose sonde interplanetarie quali la Giotto, Vega1, Vega2, Deep Space 1, Stardust e Deep Impact; possiamo oggi descrivere le comete come “palle di neve sporca”, riprendendo così le parole originali dell’ideatore di tale ipotesi: l’astronomo statunitense Fred Lawrence Whipple (1906 – 2004). Secondo questo modello le comete o meglio i nuclei cometari sarebbero costituiti principalmente da ghiacci d’acqua e da altre sostanze mischiate a roccia e polveri. Sono proprio queste ultime a ricoprire la superficie delle comete rendendole tra gli oggetti più scuri del Sistema Solare. Infatti, l’albedo medio delle comete ovvero la capacità di riflettere i raggi solari, è solo il 4% rispetto ad esempio al 7% dell’asfalto!

Le varie parti che costituiscono una cometa. Il nucleo cometario non è visibile, coperto dalla luminosità della chioma.

La dimensione media del nucleo cometario è stimata essere intorno ai 16 chilometri anche se si conoscono comete con dimensioni ben superiori, fino a 40 chilometri.

Ma se le comete sono oggetti così scuri, perché appaiono luminose in cielo? La risposta è semplice. Quando una cometa si avvicina al Sole, la temperatura del nucleo cometario aumenta, e i ghiacci cominciano a sublimare. Tale gas va a formare un’atmosfera temporanea che prende il nome di chioma.

Lo sviluppo della chioma comincia quando la cometa si trova ad una distanza dal Sole inferiore ai 800 milioni di chilometri. La chioma può assumere anche dimensioni molto grandi fino ad oltre un milione di chilometri di diametro. È proprio la chioma a rendere la cometa così luminosa. Quando le comete sono lontane dal Sole allora la chioma cessa di esistere e la luminosità precipita drammaticamente rendendone difficile una loro individuazione. Questo spiega perché gli astronomi scoprono le comete solo a pochi anni dal loro incontro ravvicinato con il Sole.

Ma la nostra stella non è solo responsabile della chioma delle comete. I gas e polveri emessi dal nucleo e che formano la chioma cometaria, vengono colpite dal vento solare che le allontana dalla cometa formando quella che prende il nome di coda. La coda cometaria risulta quindi costituita da polveri che assumeranno una colorazione bianco-gialla dovuta alla riflessione dei raggi solari, e da gas che a seguito del processo di ionizzazione ad opera del vento solare, risulterà di colore azzurro. A seconda del punto di vista e della composizione del nucleo cometario, una cometa può presentare due code: quella di gas in direzione opposta al vento solare e quella di polveri, inclinata lungo la direzione orbitale.

La dimensione della coda cometaria è variabile e può raggiungere persino 1 UA ovvero 150 milioni di chilometri.




M38 (NGC 1912) – 07/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Canon EOS 500D (Rebel T1i) con filtro Baader (with Baader Filter) [4.7 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3/CS6

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (coma corrector)

Filtri (Filter):  Astronomik UHC-E

Risoluzione (Resolution): 4752 x 3168 (originale/original), 4674 x 3106 (finale/final)

Data (Date): 07/01/2013

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): 19 x 180 sec at/a 1600 ISO.

Calibrazione (Calibration): 19 x 180 sec dark, 55 bias, 53 flat

Fase lunare media (Average Moon phase): 41%

Campionamento (Pixel scale): 2424.83 sec / 1894.72 pixel = 1.2797 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 758 mm

Note (note):

M38 (NGC1912) - 07/01/2013

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Il Bias Frame

Negli articoli precedenti abbiamo visto come sia possibile creare per ogni elemento fotosensibile di un sensore a semiconduttore un segnale digitale in un certo senso proporzionale al flusso di radiazione incidente. Tale segnale rappresenterà, al termine del processo di formazione dell’immagine, il livello di luminosità di ciascun pixel di cui il sensore è costituito.

Sino ad ora abbiamo però considerato il caso in cui il sensore venga inondato da fotoni. Cosa succede se però scattiamo una fotografia al buio? Con buio intendiamo la totale assenza di luce ovvero la condizione di avere su ogni elemento fotosensibile zero fotoni. Zero fotoni significa che non abbiamo nessuna fonte di energia in grado di liberare elettroni in banda di conduzione e quindi di generare un segnale di carica. Nessun segnale si traduce infine in un segnale di ampiezza zero in uscita dell’ADC e quindi un livello di luminosità pari a 0 ADU. Riassumendo, una fotografia del buio è una matrice di pixel ciascuno con livello di luminosità pari a 0 ADU. Questo ovviamente in linea del tutto teorica. Vediamo ora cosa succede nella realtà.

DENTRO IL FOTOELEMENTO

In assenza di luce la possibilità di avere elettroni in banda di conduzione dovrebbe essere praticamente zero. Eppure l’agitazione termica degli elettroni associata al fatto che l’elemento fotosensibile a semiconduttore ha una determinata temperatura diversa da zero, permette ad alcuni di essi di “saltare” naturalmente dalla banda di valenza a quella di conduzione. Elettroni liberi si traducono al termine della catena elettronica in segnali luminosi. Ecco quindi che alcuni pixel che dovrebbero avere livello di luminosità pari a 0 ADU possono assumere valori differenti. Tale effetto aumenta all’aumentare della temperatura dell’elemento a semiconduttore la quale dipende dalla temperatura ambiente e dal riscaldamento dello stesso durante il funzionamento (effetto Joule). Ricordiamo inoltre che l’emissione di elettroni per agitazione termica è un processo continuo e quindi il numero di “cariche termiche” accumulate aumenta con il tempo di esposizione. Ridurre al minimo il tempo di esposizione significa quindi diminuire il numero di elettroni di natura termica. Inoltre, come detto prima, la temperatura del sensore dipende anche dalla temperatura ambiente. Questo significa che sistemi di raffreddamento come ventole o celle di Peltier, possono ridurre di molto il fenomeno di emissione di elettroni termici. In assenza di sistemi di raffreddamento vedremo quindi una notevole differenza tra le riprese effettuate in inverno e quelle estive. L’emissione di elettroni termici trasforma il vero segnale di buio pari a 0 ADU in un segnale con un livello di luminosità diverso da zero. Questo disturbo prende il nome di rumore termico. Nell’articolo “Il Dark Frame” vedremo come trattare questo tipo di rumore.

Se però ora effettuiamo uno scatto molto veloce al buio, allora il sensore funzionerà per un tempo così limitato da non permetterne il riscaldamento. Inoltre tempi d’esposizione brevi significano capacità nulla di accumulo delle “cariche termiche” ovvero riduzione quasi completa del rumore termico. Ecco quindi che scatti “veloci” al buio dovranno fornire in uscita dal sensore a semiconduttore segnali elettrici nulli come atteso teoricamente.

LA CATENA ELETTRONICA

Un segnale nullo in uscita dell’elemento fotosensibile corrisponde necessariamente ad un Livello di Luminosità del pixel associato pari a 0 ADU? Ovviamente no. La strada che il nostro segnale deve percorrere è lunga e piena di ostacoli. Il processo di amplificazione, conversione analogico – digitale e molti altri di natura elettronica introducono rumori. Se un sensore è progettato bene, allora tutti i rumori introdotti nel processo di formazione dell’immagine devono essere non correlati e di natura prettamente casuale. A questi possono però aggiungersi rumori non casuali come ad esempio interferenze elettroniche.

Nel caso di uno scatto “veloce” al buio quindi ogni pixel assumerà un livello di luminosità diverso da zero. La distribuzione di livelli di luminosità (istogramma) dei pixel di un sensore sarà quindi descritta da una gaussiana per i rumori di natura casuale con distorsioni più o meno consistenti nel caso in cui vi fossero rumori non casuali. Per motivi di natura tecnologica inoltre, il livello di luminosità corrispondente al buio (0 ADU) è traslato ad un valore noto come offset.

Se volessimo riassumere l’effetto dei rumori fin qui analizzati su un pixel per uno scatto “veloce”, ovvero con tempi di esposizioni prossimi a zero secondi, effettuato al buio potremmo dire:

Livello di Luminosità = valore teorico + offset + rumore termico + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Per quanto detto in precedenza, facendo tendere il tempo di esposizione a zero si ha una riduzione drastica del rumore termico che diventa quindi trascurabile. Inoltre il valore in ADU teorico è 0, dato che non ci aspettiamo elettroni. Quindi la nostra espressione diventa.

Livello di Luminosità = offset + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Cosa succede ora se effettuiamo N scatti “veloci” al buio e facciamo la media pixel per pixel del Livello di Luminosità associato? In questo caso ci viene in aiuto la statistica. La media dei valori assunti da una variabile casuale effettuata su un numero di campioni N che tende all’infinito tende al valore vero. Dato che nel nostro caso il rumore elettronico casuale fluttua intorno al valore zero, allora mediando su N scatti con N sufficientemente grande avremo che il rumore elettronico casuale diviene nullo. Pertanto:

Livello di Luminosità [mediato su N scatti] = offset + rumore elettronico non casuale.

Se l’elettronica così come il sensore utilizzato è stata progettata bene e la camera risulta isolata dal punto di vista elettromagnetico, allora il rumore elettronico non casuale dovrebbe essere nullo e il Livello di Luminosità mediato dovrebbe tendere al valore dell’offset del pixel. In caso contrario tale rumore elettronico non casuale, noto come rumore di lettura, sarà presente e non eliminabile dalle nostre immagini astronomiche. Questo può essere ottenuto sottraendo al Livello di Luminosità di un pixel il Livello di Luminosità mediato.

IL BIAS FRAME

Ciascun pixel di un sensore, sia esso CCD o CMOS, possiede quindi un offset. Siamo sicuri che tale offset sia lo stesso per tutti i pixel? Ovviamente no. Ogni pixel (dall’elemento fotosensibile alla catena elettronica) è diverso l’uno dall’altro e pertanto presenta un proprio offset, che mediamente è quello riportato nelle schede tecniche dei sensori. Come fare quindi a normalizzare i nostri pixel, in modo che se fotografiamo il buio otteniamo 0 ADU in ogni pixel? Per fare questo dobbiamo conoscere il valore dell’offset per ogni pixel e sottrarlo ai rispettivi pixel dell’immagine astronomica ripresa. Come fare?

Prendiamo la nostra macchina fotografica digitale (DSLR) o la nostra camera CCD astronomica e poniamo il tappo di fronte all’ottica al fine di non far arrivare fotoni sul sensore ricreando pertanto la condizione di buio. Settiamo come tempo di esposizione il minimo imposto dalle specifiche tecniche della nostra DSLR o camera CCD astronomica (ad esempio 1/8000 secondo per una Canon EOS 40D o 1/1000 di secondo per una ATIK 314L+ B/W). Ricordiamo che per le reflex dobbiamo impostare gli stessi ISO utilizzati per riprendere la nostra immagine astronomica al fine di porsi nelle stesse condizioni di scatto (la catena elettronica funziona in modo diverso a seconda degli ISO impostati). Per lo stesso motivo anche il binning della nostra camera CCD non dovrà essere modificato. Con questi settaggi si riprendano un certo numero di immagini che verranno successivamente mediati al fine di ottenere il Livello di Luminosità medio e quindi l’offset per ciascun pixel del sensore. Tali scatti prendono il nome di bias frame. Quindi, maggiore sarà il numero di bias frame acquisiti, minore sarà l’entità del rumore casuale presente nell’immagine e quindi migliore sarà la determinazione dell’offset. Ricordiamo infatti che, dal punto di vista statistico, la precisione con cui determiniamo l’offset aumenta come la radice quadrata del numero di bias frame acquisiti.

La presenza di rumori non casuali purtroppo va ad aumentare aumentando il numero di bias frame acquisiti e pertanto un basso rumore di lettura è una richiesta importante per un astrofotografo esigente.

Riportiamo di seguito lo studio di un bias frame e della media di 50 bias frame, nota con il nome di master bias frame, per una ATIK 314L+ B/W (sensore CCD) e per una Canon EOS 40D (sensore CMOS).

ATIK 314L+ B/W

L’ATIK 314L+ monocromatica monta un sensore CCD da 1392 x 1040 pixel. Abbiamo ripreso 50 bias frame con binning 1 x 1 e tempo di esposizione pari a 1/1000 secondo. In figura 1 è mostrato il livello di luminosità di un pixel del sensore CCD. Come si vede questo fluttua intorno al valore medio pari a 262.9 ADU con una varianza pari a 15.4 ADU. Lo stesso comportamento è stato mostrato da tutti gli altri pixel che costituisce la matrice del sensore.

Figura 1: Il Livello di Luminosità al variare del bias frame. Come descritto in precedenza questo fluttua intorno al valore “vero” dell’offset pari a circa 262 ADU.

In Figura 2 mostriamo invece la distribuzione dei Livelli di Luminosità (istogramma) dei pixel che costituiscono il sensore per un dato bias frame. La distribuzione è dominata da un rumore di tipo casuale, come dimostra il buon accordo con un fit di tipo gaussiano. Il valore medio della distribuzione è 265.999 ± 0.015 ADU con larghezza pari a 17.774 ± 0.012  ADU. Come atteso, mediando su 50 si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 5.77. Questo non è esattamente quanto previsto teoricamente (7.07) a causa della presenza nel picco gaussiano di contributi non gaussiani (rumori non casuali).

Figura 2: in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CCD in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. Ricordiamo che la larghezza della distribuzione del bias frame è spesso detta readout noise.

Al fine di comprendere l’entità di tali rumori non gaussiani si riporta in figura 3 la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. Come si può notare esistono delle piccole code non gaussiane sicuramente imputabili a del rumore di tipo non casuale. Al fine di determinare se tale rumore è dovuto a fenomeni di interferenza elettronica, abbiamo deciso di sottrarre al bias frame il bias frame mediato (su 50 immagini) e di effettuare su tale differenza l’analisi di Fourier FFT. Il risultato, riportato sempre in figura 3 è uno spettro bianco, sintomo di totale assenza di rumore a frequenza spaziale.

Figura 3: a sinistra la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. A destra lo spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ

 Interessante è l’analisi del master bias. In particolare (Figura 4) è possibile vedere un gradiente tra la zona alta e bassa del sensore. Questo perché durante il seppur breve periodo di trasporto delle cariche, queste stazionano con tempi diversi a seconda della loro posizione sul sensore. I pixel più vicini all’HCCD risultano quindi meno soggetti al rumore termico rispetto a quelli più lontani che integrano tale rumore su un tempo effettivamente maggiore. Questo effetto è invece invisibile nel caso di bias frame acquisiti con sensori di tipo CMOS dove i pixel vengono “svuotati” tutti nello stesso istante. Per maggiori informazioni si legga l’articolo “La Generazione del Segnale: CCD e CMOS”.

Figura 4: master bias. Si osservi come la regione più bassa e vicina al HCCD sia più buia (minor rumore di tipo termico) della regione più alta. A destra inoltre è visibile ad un pattern legato al supporto del sensore.

Concludendo la camera ATIK 314L+ monocromatica risulta tecnologicamente ben realizzata sia dal punto di vista fisico che elettronico. In particolare il rumore è sostanzialmente di natura casuale mentre la componente dovuta al rumore di lettura risulta praticamente trascurabile.

CANON EOS 40D

Anche nel caso della DSLR Canon EOS 40D, dotata di sensore CMOS da 3888 x 2592 pixel, il Livello di Luminosità dei singoli pixel fluttuano intorno al valor medio dell’offset. La distribuzione di tali valori all’interno di un singolo bias frame è mostrato in figura 5. Il valore medio della distribuzione è 1025.66 ± 0.002 ADU con larghezza pari a 7.631 ± 0.002  ADU (il valore più basso di quello ottenuto per la camera astronomica ATIK314L+ è dovuto alla minor dinamica della Canon EOS 40D). Come atteso, mediando su 50 frame si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 7.86. Questo è paragonabile a quanto previsto teoricamente (7.07) dovuto molto probabilmente al maggior numero di pixel presenti rispetto al CCD precedentemente preso in esame.

Figura 5: a sinistra in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CMOS in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. A destra lo stesso grafico in scala semi-logaritmica.

In questo caso la distorsione dello spettro è più evidente rispetto alla CCD ATIK sintomo della presenza non trascurabile di rumori non casuali. Questo è evidenziato dal medesimo plot in scala semi-logaritmica dove si nota la presenza di code a bassi e alti valori di ADU. Per un’analisi dettagliata del rumore di lettura si è proceduto come in precedenza attraverso la sottrazione degli spettri e l’analisi di Fourier. In questo caso si osserva però un rumore a frequenza spaziale fissata di tipo sinusoidale (Figura 6).

Figura 6: spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ. In questo caso l’immagine non è uniforme e si vede un rumore di tipo sinusoidale con frequenza spaziale fissata.

Riassumendo quindi, sia la ATIK 314L+ che la Canon EOS 40D mostrano un bias frame dominato sostanzialmente dal rumore casuale, quindi riducibile mediando molti frame. Per quanto riguarda la componente non casuale (rumore di lettura) nel caso dell’ATIK non presenta pattern spaziali, mentre per la Canon è stata verificata la presenza di un rumore spaziale di tipo sinusoidale.

CONDIZIONI DI BIAS FRAME

Sino ad ora abbiamo considerato completamente trascurabile il rumore termico presente in ciascun bias frame. Tale assunzione è corretta dato che la variazione della larghezza della distribuzione dei Livelli di Luminosità nel bias frame in funzione della temperatura del sensore è praticamente trascurabile e stimabile intorno allo 0.52%/°C . Purtroppo però spesso non si considera un altro fattore molto importante. Al variare della temperatura del sensore anche l’elettronica ad esso connesso risponde in modo differente ed in particolare abbiamo una variazione del valore assoluto dell’offset in funzione della temperatura. Tale confronto è ben visibile in Figura 7 dove si riporta la distribuzione dei Livelli di Luminosità per bias frame effettuati a diverse temperature del sensore.

Figura 7: Distribuzione dei Livelli di Luminosità in bias frame effettuate a diverse temperature del sensore CCD ATIK 314L+ B/W.

In particolare si osserva una variazione della posizione dell’offset pari al 3.47% in soli 5°C di escursione da +10°C a +5°C. Tale variazione è stata osservata anche per lunghe esposizioni (con conseguente aumento della temperatura del sensore) come riportato nell’articolo Canon EOS 40D”.

Ulteriori test saranno effettuati per verificare nuovamente ed in modo più dettagliato questo tipo di fenomeno. Per il momento possiamo comunque affermare che, data la dipendenza dalla temperatura del valore dell’offset, è sempre consigliabile acquisire i bias frame nelle stesse condizioni ambientali presenti al momento della ripresa astronomica.

MEDIA O MEDIANA?

Sino ad ora abbiamo parlato di rumori, ovvero fenomeni fisici sempre presenti in ogni singolo bias frame. Esistono però altri fenomeni che possono verificarsi solo in alcuni bias frame e non in tutti. Questi fenomeni sporadici rischiano però di introdurre un segnale nella media spurio che al netto andrà a peggiorare la qualità dell’immagine astronomica finale. Un segnale sporadico è ad esempio quello generato dai raggi cosmici (per maggiori informazioni si legga l’articolo “I raggi cosmici e l’astrofotografia digitale”) i quali possono rilasciare parte della loro energia in uno o più pixel liberando un gran numero di elettroni.

Un modo per non considerare in una media i pixel che subiscono solo sporadicamente una grossa variazione del loro Livello di Luminosità è utilizzare invece della classica media aritmetica delle immagini, la mediana. Per maggiore informazioni sui vari algoritmi di media di immagini o più precisamente stacking delle immagini si legga l’articolo “Metodi di Stacking.

IRIS ED IL BIAS FRAME

IRIS permette di creare il master bias, partendo dai singoli bias frame. Il metodo utilizzato per combinare le singole immagini è il metodo della mediana. Per quanto riguarda la procedura operativa da seguire si rimanda alla Guida per l’elaborazione delle immagini astronomiche con IRIS. Chi fosse interessato allo studio metodico del bias frame o semplicemente vuole integrare questo articolo con ulteriori considerazioni e schede teniche, è pregato di invare una e-mail a ricerca@astrotrezzi.it




C/2012 K5 (LINEAR) – 29/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 200 mm f/5 [Sartori Olga]

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 314L+ color [6.45 μm] [Rosario Magaldi]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6 [Sartori Olga]

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter):  non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1391 x 1039 (originale/original), 1235 x 923 (finale/final)

Data (Date): 29/12/2012

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 7 x 60 sec bin 1×1 a/at -20.0°C.

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 90%

Campionamento (Pixel scale): circa 1.3212 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 1000 mm

Note (note): copyright GRUPPO AMICI DEL CIELO.

C/2012 K5 (LINEAR) - 29/12/2012

Per scaricare i file originali in formato FIT clicca qui (password richiesta) / Click here in order to download the original files in FIT format (password request)




Vincitore Concorso ASTROfotografico 2012

Il vincitore del Concorso ASTROfotografico 2012 organizzato da ASTROtrezzi va a ROCCO PARISI con l’immagine dal titolo Centro Via Lattea effettuata con una fotocamera reflex digitale modello Canon EOS 550D modificata Baader BCF + Obiettivo Yashica ML 50mm f/2 utilizzato ad f/4. La ripresa è stata inseguita il giorno 23/06/2012 dai Monti Nebrodi (Sicilia, 1600 m s.l.m.) con Montatura SkyWatcher HEQ5 Synscan. Il risultato ottenuto è somma di 22 immagini da 180 secondi a 1600 ISO calibrata con 7 dark, 21 flat e 21 bias per un tempo integrato pari a 1h 6min. Elaborazione effettuata con il software DeepSkyStacker e Photoshop CS3.

Immagine vincitrice del Concorso ASTROfotografico 2012 (ROCCO PARISI)

ASTROtrezzi.it ha valutato tutte le immagini inviante dai lettori sia dal punto di vista tecnico che soggettivo assegnando a ciascuna un punteggio in centesimi. La vincitrice del concorso ha ottenuto 90/100 rispecchiando da un lato le ottime qualità tecniche della ripresa (dallo scatto alla post produzione) e dall’altro l’idea che si cela dietro tale immagine ovvero la capacità di ottenere immagini fantastiche del cielo notturno anche con strumenti semplici. Questo sia di stimolo per quanti vogliono cominciare a muovere i primi passi nel mondo dell’astrofotografia, spesso scoraggiati dai prezzi e dalle complesse tecnologie dell’era digitale.

Davide Trezzi ringrazia tutti i partecipanti ed in particolare Maia Mosconi, Simona Danielli, Boris Mosconi, Paolo Mori, Rosario Magaldi, Ilea Valentin, Emiliano Riva, Giuseppe Alvaro ed ovviamente Rocco Parisi. Scegliere tra le 34 foto in gara non è stato semplice dato che tutte si sono dimostrate di elevata qualità tecnica ed espressiva. Non mi resta di augurarvi un Buon Anno e sperare di rivedervi con fantastiche immagini nella prossima edizione del Concorso Astrofotografico di ASTROtrezzi.it

Di seguito riportiamo per ciascun autore l’immagine che ha ottenuto il punteggio maggiore: buona visione! Per visualizzare tutte le altre immagini in concorso clicca qui.

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Notturno a Sormano – 28/12/2012

Riportiamo alcune immagini riprese da Sormano (CO) il 28/12/2012 in condizione di Luna Piena. La camera di ripresa è una Canon EOS 40D + Obiettivo Samyang FishEye 8mm su cavalletto. I dati tecnici sono riportati sotto ciascuna immagine.

We post some pictures taken in Sormano (CO) the 28th of December 2012 with full moon. Camera was a Canon EOS 40D  + Samyang FishEye 8mm lens on tripod. Technical data are reported under each picture.

 

218 sec, 400 ISO, f/22

270 sec., 400 ISO, f/22

300 sec, 400 ISO, f/22

Per scaricare i file originali in formato CR2 clicca qui (password richiesta) / Click here in order to download the original files in CR2 format (password request)




Sole in Hα – 09/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): LUNT H-alpha 60mm BF1200 [Gruppo Amici del Cielo]

Camera di acquisizione (Imaging camera): Imaging Source DBK31.AU03 colori [4.65 μm] [Gruppo Amici del Cielo]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1024 x 768

Data (Date): 09/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): mosaico di 17 pose, ciascuna somma di 1000 frames per l’immagine a colori (mosaic of 17 pictures, each one is sum of 1000 frames for the true color image) / mosaico di 12 pose, ciascuna somma di 1000 frames per l’immagine solar nirvana (mosaic of 17 pictures, each one is sum of 1000 frames for the solar nirvana image).

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 13%

Campionamento (Pixel scale): 1950 sec / 1016 pixel = 1.9193 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 500 mm

Sole in Hα – 09/12/2012

Riportiamo anche l’immagine della sola Cromosfera (effetto eclisse) / Image of Chromosphere only (eclipse effect) is also reported.

Sole in Hα – 09/12/2012

Riportiamo il Solar Nirvana effettuato sul bordo nord occidentale del Sole / Solar Nirvana is also reported.

Solar Nirvana - Sole 09/12/2012




Giove – 19/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher WidePhoto 200 mm f/4

Camera di acquisizione (Imaging camera): Imaging Source DBK31.AU03 colori/color [4.65 μm] – Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax5.1/Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1024 x 768800 x 600

Data (Date): 19/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di circa 1000 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 49.9%

Campionamento (Pixel scale): 0,21727 arcsec/pixel – 0.24599 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 4360 mm

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

 

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

 

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

 

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

(clicca qui per scaricare le immagini originali in formato TIFF – click here in order to download the TIFF files)




B8-βOri (Rigel)

La stella β della costellazione di Orione è di tipo B8 Iab e si trova a 860 A.L. dalla nostra stella. Questa ruota su se stessa con una velocità di circa 43 km/s. La stella è una supergigante blu con temperatura stimata è intorno ai 12’000 K.

L’immagine in figura rappresenta lo spettro di βOri ripresa il giorno 19 Dicembre 2012 alle ore 23.24 (TMEC) da Briosco (MB) con un telescopio Newton SkyWatcher 200mm f/4 + reticolo di diffrazione StarAnalyser 100 + camera Magzero MZ-5m. Di seguito è riportato l’istogramma dellla regione di interesse. L’offset ottenuto tramite fit gaussiano è 103.735 pixel. La massima luminosità è raggiunta per lunghezze d’onda pari a 5271.8 Å. Scarica il file di testo della misura.

Spettro di assorbimento non calibrato (Visual Spec)

A questo punto si è proceduto alla realizzazione dello spettro MAX-assorbimento al fine di semplificare le future operazioni di fit. Effettuando un fit gaussiano sui picchi otteniamo:

  • 3958.7 Å  linea Hε dell’HI (3969.7 Å)
  • 4084.7 Å linea Hδ dell’HI (4101.3 Å)
  • 4332.9 Å linea Hγ dell’HI (4340.0 Å)
  • 4844.2 Å linea Hβ dell’HI (4860.8 Å)
  • 4902.9 Å
  • 5187.5 Å
  • 6781.8 Å
  • 5841.3 Å
  • 5897.4 Å
  • 6246.4 Å
  • 6841.0 Å
  • 7577.8 Å

 

La stessa stella è stata ripresa con il medesimo setup anche allre ore 23.24 (TMEC). L’offset ottenuto tramite fit gaussiano è 23.1432 pixel. La massima luminosità è raggiunta per lunghezze d’onda pari a 5288.1 Å. Scarica il file di testo della misura.

Spettro di assorbimento non calibrato (Visual Spec)

  • 4336.4 Å linea Hγ dell’HI (4340.0 Å)
  • 4853.9 Å linea Hβ dell’HI (4860.8 Å)
  • 4902.0 Å
  • 5081.0 Å
  • 5179.4 Å
  • 5460.9 Å
  • 5772.5 Å
  • 5869.6 Å
  • 6256.2 Å
  • 6663.7 Å
  • 6856.4 Å
  • 7162.8 Å
  • 7274.7 Å
  • 7591.3 Å
  • 8199.8 Å



B2-ζTau

La stella ζ della costellazione del Toro è un sistema binario di cui la principale è una gigante blu di tipo B2 IIIpe situato a 417 A.L. dalla nostra stella. La principale è anche una stella Be e ruota su se stessa con una velocità di circa 20 km/s. La temperatura stimata è intorno ai 19’340 K.

L’immagine in figura rappresenta lo spettro di ζTau ripresa il giorno 19 Dicembre 2012 alle ore 23.14 (TMEC) da Briosco (MB) con un telescopio Newton SkyWatcher 200mm f/4 + reticolo di diffrazione StarAnalyser 100 + camera Magzero MZ-5m. Di seguito è riportato l’istogramma dellla regione di interesse. L’offset ottenuto tramite fit gaussiano è 21.2611 pixel. La massima luminosità è raggiunta per lunghezze d’onda pari a 4969.0 Å. Scarica il file di testo della misura.

Spettro di assorbimento non calibrato (Visual Spec)

A questo punto si è proceduto alla realizzazione dello spettro MAX-assorbimento al fine di semplificare le future operazioni di fit. Effettuando un fit gaussiano sui picchi otteniamo:

  • 3873.2 Å linea Hζ dell’HI (3888.6 Å)
  • 3957.7 Å linea Hε dell’HI (3969.7 Å)
  • 4089.5 Å linea Hδ dell’HI (4101.3 Å)
  • 4329.2 Å linea Hγ dell’HI (4340.0 Å)
  • 4374.6 Å
  • 4454.5 Å
  • 4545.1 Å
  • 4626.6 Å
  • 4846.8 Å linea Hβ dell’HI (4860.8 Å)
  • 4906.1 Å
  • 4994.6 Å
  • 5188.9 Å
  • 5278.8 Å
  • 5444.6 Å
  • 5774.8 Å
  • 5859.6 Å
  • 6494.1 Å
  • 6650.2 Å
  • 6857.0 Å
  • 7162.5 Å
  • 7261.0 Å
  • 7580.9 Å
  • 7747.8 Å
  • 8215.4 Å



B2-γOri (Bellatrix)

La stella γ della costellazione di Orione è di tipo B2 III e si trova tra 240 A.L. dalla nostra stella. Questa ruota su se stessa con una velocità di circa 50 km/s. La stella è una gigante blu anche se l’assegnazione a questa categoria di stelle è ancora controversa. La temperatura stimata è intorno ai 22’000 K.

L’immagine in figura rappresenta lo spettro di γOri ripresa il giorno 19 Dicembre 2012 alle ore 23.19 (TMEC) da Briosco (MB) con un telescopio Newton SkyWatcher 200mm f/4 + reticolo di diffrazione StarAnalyser 100 + camera Magzero MZ-5m. Di seguito è riportato l’istogramma dellla regione di interesse. L’offset ottenuto tramite fit gaussiano è 28.3933 pixel. La massima luminosità è raggiunta per lunghezze d’onda pari a 5275.3 Å. Scarica il file di testo della misura.

Spettro di assorbimento non calibrato (Visual Spec)

A questo punto si è proceduto alla realizzazione dello spettro MAX-assorbimento al fine di semplificare le future operazioni di fit. Effettuando un fit gaussiano sui picchi otteniamo:

  • 3882.5 Å linea Hζ dell’HI (3888.6 Å)
  • 3968.2 Å linea Hε dell’HI (3969.7 Å)
  • 4099.0 Å linea Hδ dell’HI (4101.3 Å)
  • 4338.7 Å linea Hγ dell’HI (4340.0 Å)
  • 4466.8 Å
  • 4527.9 Å
  • 4549.0 Å
  • 4633.0 Å
  • 4856.6 Å linea Hβ dell’HI (4860.8 Å)
  • 4912.1 Å
  • 5189.7 Å
  • 5781.2 Å
  • 5864.4 Å
  • 6553.7 Å linea Hα dell’HI (6562.1 Å)
  • 6656.4 Å
  • 6865.1 Å
  • 7170.1 Å
  • 7592.7 Å
  • 8183.4 Å



B0-εOri (Alnilam)

La stella ε della costellazione di Orione è di tipo B0 Iab e si trova tra 1’300 e 1’600 A.L. dalla nostra stella. Questa ruota su se stessa con una velocità di circa 25.9 km/s. La stella è una supergigante blu molto calda e molto luminosa. La temperatura stimata è intorno ai 28’500 K.

L’immagine in figura rappresenta lo spettro di εOri ripresa il giorno 19 Dicembre 2012 alle ore 23.29 (TMEC) da Briosco (MB) con un telescopio Newton SkyWatcher 200mm f/4 + reticolo di diffrazione StarAnalyser 100 + camera Magzero MZ-5m. Di seguito è riportato l’istogramma dellla regione di interesse. L’offset ottenuto tramite fit gaussiano è 25.8346 pixel. La massima luminosità è raggiunta per lunghezze d’onda pari a 5301.6 Å. Scarica il file di testo della misura.

Spettro di assorbimento non calibrato (Visual Spec)

 A questo punto si è proceduto alla realizzazione dello spettro MAX-assorbimento al fine di semplificare le future operazioni di fit. Effettuando un fit gaussiano sui picchi otteniamo:

  • 3969.2 Å linea Hε dell’HI (3969.7 Å)
  • 4094.4 Å linea Hδ dell’HI (4101.3 Å)
  • 4347.2 Å linea Hγ dell’HI (4340.0 Å)
  • 4470.2 Å
  • 4649.8 Å
  • 4864.1 Å linea Hβ dell’HI (4860.8 Å)
  • 4926.3 Å
  • 5049.6 Å
  • 5201.1 Å
  • 5455.5 Å
  • 5487.5 Å
  • 5579.4 Å
  • 5778.0 Å
  • 5868.1 Å
  • 6264.8 Å
  • 6661.8 Å
  • 6866.0 Å
  • 7175.0 Å
  • 7266.4 Å
  • 7600.2 Å

La stessa stella è stata ripresa con il medesimo setup anche allre ore 23.30 (TMEC). L’offset ottenuto tramite fit gaussiano è 31.9885 pixel. La massima luminosità è raggiunta per lunghezze d’onda pari a5279.5 Å. Scarica il file di testo della misura.

Spettro di assorbimento non calibrato (Visual Spec)

A questo punto si è proceduto alla realizzazione dello spettro MAX-assorbimento al fine di semplificare le future operazioni di fit. Effettuando un fit gaussiano sui picchi otteniamo:

  • 4337.0 Å linea Hγ dell’HI (4340.0 Å)
  • 4453.9 Å
  • 4639.0 Å
  • 4854.0 Å linea Hβ dell’HI (4860.8 Å)
  • 4908.6 Å
  • 5196.1 Å
  • 5464.6 Å
  • 5775.7 Å
  • 5864.3 Å
  • 6223.1 Å
  • 6255.8 Å
  • 6654.4 Å
  • 6861.1 Å
  • 7166.1 Å
  • 7590.6 Å



La “modifica Baader” per DSLR

L’avvento della fotografia digitale ha aperto un nuovo mondo all’astrofotografo che da pellicole ipersensibilizzate, tiraggi e rullini in frigorifero si è ritrovato catapultato nel pianeta del rumore elettronico, somme e flat field.

Se però in passato per riprendere il cielo era necessaria tanta esperienza sul campo e una reflex, oggi non è più cosi. Infatti gran parte dell’esperienza la si fa davanti al computer sfogliando i numerosi articoli presenti sul web mentre una reflex digitale offre si la possibilità di riprendere il cielo ma con molte limitazioni. Infatti al fine di migliorare le immagini fornite dai sensori digitali, che altrimenti risulterebbero poco definite, si è deciso di montare di fronte al sensore CMOS un filtro IR-cut. Questo è importantissimo per le riprese diurne ma è un peso insostenibile per l’astrofotografo notturno. Tale filtro è vero che taglia l’IR ma, allo stesso tempo, diminuisce notevolmente la sensibilità del sensore nella regione rossa dello spettro elettromagnetico ed in particolare in prossimità della lunghezza d’onda a 6561.1 Å nota come linea Hα dell’Idrogeno. Gran parte delle nebulose purtroppo emettono in questa frequenza e una riduzione di efficienza quantica in tale zona risulta pertanto dannosa in termini astrofotografici.

Ecco quindi che l’azienda Baader ha messo in produzione alcuni filtri che, se sostituiti a quelli ufficiali posti di fronte al sensore delle DSLR, permettono di recuperare completamente l’efficienza quantica in quella regione dello spettro. I filtri Baader rimangono dei filtri IR-cut, dato che la radiazione IR deve comunque essere bloccata al fine di salvaguardare la qualità dell’immagine, ma allo stesso tempo risultano trasparenti alla linea Hα dell’Idrogeno. Ovviamente la Baader non è l’unica azienda che produce filtri del genere ma ad oggi la sostituzione del filtro originale con uno astronomico prende generalmente il nome di “modifica Baader”. Anche Canon ha prodotto due modelli di reflex digitali con filtri modificati per l’astronomica ed esattamente la Canon EOS 20Da e la moderna Canon EOS 60Da.

Figura 1: L'efficienza quantica dei pixel rossi di una Canon EOS 40D originale (linea tratteggiata) e modificata Baader (linea continua). La banda nera rappresenta la posizione della linea Hα dell'Idrogeno, lunghezza d'onda dove emettono gran parte delle nebulose.

Escludendo questi modelli “commerciali”, la sostituzione dei filtri Baader è a carico del consumatore che può comunque fare affidamento su persone specializzate nel settore che sostituiscono il filtro ad un prezzo contenuto.

Ma quanto si guadagna in termini astrofotografici con la sostituzione del filtro? La risposta è semplice: molto. Se si considera ad esempio una Canon EOS 40D; l’efficienza quantica dei pixel rossi passa dal 8.09% originali al 24.61% del modello modificato Baader (vedi Figura 1). Un fattore 3 in efficienza quantica svolge un ruolo fondamentale nella buona riuscita di una ripresa astronomica. Un confronto tra due riprese effettuate con una Canon EOS 500D originale e modifica è riportato in Figura 2.

Cosa possiamo dire riguardo i pixel verdi e blu? Come influisce la modifica su questi tipi di pixel? La risposta è semplice e la trovate nella figura 1 dell’articolo “Efficienza Quantica”. La modifica Baader sostanzialmente non modifica l’efficienza quantica dei pixel verdi e blu. Questo si traduce nel non avere nessun tipo di guadagno in luminosità per oggetti di quel colore. Pertanto, riprendere nebulose come quella che circondano le Pleiadi o galassie come la Grande Galassia di Andromeda, con filtro originale o Baader, non comporta nessuna differenza.

Figura 2: Un confronto tra due immagini della nebulosa M8 ed M20 nel Sagittario riprese con una Canon EOS 500D originale (immagine di sinistra) e modificata (immagine di destra).




NGC 7635 – 10/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 314L+ B/W [6.45 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3/CS6

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (coma corrector)

Filtri (Filter):  Astronomik CCD Hα 13nm, Astronomik CCD RGB

Risoluzione (Resolution): 1391 x 1039 (originale/original), 1291 x 951 (finale/final)

Data (Date): 06-10/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): 5 x 900 sec bin 1×1 Hα (06/12/2012) a/at -17.0°C, 6 x 480 sec bin 1×1 R (10/12/2012) a/at -14.9°C, 4 x 480 sec bin 1×1 G (10/12/2012) a/at -14.9°C, 4 x 480 sec bin 1×1 B (10/12/2012) a/at -14.9°C.

Calibrazione (Calibration): 5 x 900 sec dark Hα (06/12/2012), 9 x 480 sec dark RGB (10/12/2012), 50 bias Hα (06/12/2012), 50 bias RGB (10/12/2012), 50 flat Hα (06/12/2012), 50 flat R (10/12/2012), 50 flat G (10/12/2012), 50 flat B (10/12/2012)

Fase lunare media (Average Moon phase): 42% (06/12/2012), 6% (10/12/2012)

Campionamento (Pixel scale): 660 sec / 374.66 pixel = 1.7616 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 750 mm

Note (note): LRGB (HαRGB)

NCG 7635 - 10/12/2012

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