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Cratere Hedin – 25/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Celestron Neximage [5.6 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax5.1 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TS APO 2.5x (TS 2.5x APO Barlow lens), Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): IR-Cut

Risoluzione (Resolution): 640 x 480 ciascun frame (each frame), 802 x 1366 mosaico 2.5x (mosaic 2.5x), 821 x 1135 mosaico 5x (mosaic 5x).

Data (Date): 25/01/2013

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): mosaico di 9 immagini, ciascuno somma di 600 frames 2.5x (mosaic of 9 pictures, sum of about 600 frames each); mosaico di 13 immagini, ciascuno somma di 600 frames 5x (mosaic of 13 pictures, sum of about 600 frames each).

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 98.0%

Immagine ripresa con Barlow 2.5x (2.5x Barlow image)

Cratere Hedin (Barlow 2.5x) - 25/01/2013

Immagine ripresa con Barlow 5x (5x Barlow image)

Cratere Hedin (Barlow 5x) - 25/01/2013

Immagine didattica (educational picture)




Luna – 25/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Celestron Neximage [5.6 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax5.1 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): Astronomik IR-Cut

Risoluzione (Resolution): 640 x 480 ciascun frame (each frame), 1424 x 1478 mosaico (mosaic)

Data (Date): 25/01/2013

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): mosaico di 13 immagini, ciascuno somma di circa 300 frames (mosaic of 13 pictures, sum of about 300 frames each)

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 98.0%

Campionamento (Pixel scale): 1807 arcsec /1169 pixel = 1.54576 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 1785 mm

Luna - 25/01/2013




Giove – 25/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Celestron Neximage [5.6 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax5.1 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 640 x 480

Data (Date): 25/01/2013

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di 400 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 98.0%

Campionamento (Pixel scale): 43.8 arcsec /150.9 pixel = 0.29026 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 3980 mm

(clicca qui per scaricare l’immagine originale in formato TIFF – click here in order to download the TIFF file)

Giove - 25/01/2013. Si noti la Grande macchia rossa a sinistra del disco. I satelliti in figura sono rispettivamente Io (sopra) ed Europa (sotto). Quest'ultimo proietta la sua ombra sul disco di Giove

 




Cratere Copernico – 22/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher Black Diamond 200 mm f/4

Camera di acquisizione (Imaging camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax5.1 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TS APO 2.5x (TS 2.5x APO Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1280 x 1024 (originale/original), 1248 x 968 (finale/final)

Data (Date): 22/01/2013

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di 100 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 83.0%

(clicca qui per scaricare l’immagine originale in formato TIFF – click here in order to download the TIFF file)

Cratere Copernico - 22/01/2013

 




M45 (NGC 1432) – 11/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di acquisizione (Imaging camera): Canon EOS 500D (Rebel T1i) con filtro Baader (with Baader Filter) [4.7 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): riduttore/spianatore 0.8x (0.8x reducer/field flattener)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3/CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter):  Astronomik UHC-E

Risoluzione (Resolution): 4752 x 3168 (originale/original), 4770 x 3178 (finale/final)

Data (Date): 11/01/2013

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 13 x 360 sec at/a 3200 ISO.

Calibrazione (Calibration): 18 x 360 sec dark, 105 bias, 105 flat

Fase lunare media (Average Moon phase): 0%

Campionamento (Pixel scale): 3553.5 sec / 1633.21 pixel = 2.1758 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 448 mm

Note (note): non presente (not present)

M45 (NGC1342) - 11/01/2013

Per scaricare i file originali in formato PIC clicca qui (password richiesta) / Click here in order to download the original files in PIC format (password request)




COMETA C/2011 L4 (PAN-STARRS)

La cometa C/2011 L4 (PAN-STARRS) è stata scoperta il giorno 06 giugno 2011 nell’ambito del progetto scientifico denominato Panoramic Survey Telescope and Rapid Response System (PAN-STARRS) che si prefigge, con l’ausilio di quattro telescopi computerizzati da 1.8 m di diametro posti sulla cima del vulcano Haleakala sull’isola di Maui (Hawaii, USA), di scoprire il 90% degli asteroidi potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. Il sistema automatico è in grado di misurare la variazione di luminosità degli oggetti nel cielo e quindi studiare stelle variabili o oggetti che si muovono come asteroidi e comete. C/2011 L4 è infatti una di queste: una cometa non periodica che al momento della scoperta brillava di magnitudine 19 (la magnitudine limite di PAN-STARRS è 24). Oggi dei quattro telescopi del “sistema” PAN-STARRS solo uno è operativo, denominato SP1.

La cometa C/2011 L4 raggiungerà il punto di massima vicinanza al Sole (0.30 UA) il giorno 10 marzo 2013, mentre il punto di minima distanza con la Terra si avrà poco prima, il giorno 5 marzo 2013 (1.09 UA). Il Minor Planet Center (MPC) ovvero l’organizzazione dell’Unione Astronomica Internazionale atta alla determinazione delle orbite di comete ed asteroidi, fornisce una stima della luminosità della cometa che riportiamo nel grafico qui sotto. Se inizialmente si pensava ad una luminosità massima prossima a quella di Venere (-4), oggi si stima che essa sarà pari a circa +1 ovvero poco superiore a quella di Saturno.

NEWS: Recentemente (22/01/2013), la rivista Sky&Telescope riporta che, sulla base di stime effettuate dall’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida (vedi pagina ASTROlink) la cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) raggiungerà una magnitudine massima compresa tra +1.8 e +4. Questo nuovo valore, calcolato sulla base delle ultime misure di luminosità effettuate nell’emisfero australe, dove oggi la cometa è visibile come un astro di +7.1 magnitudine, renderebbe problematica l’osservazione della cometa ai primi di Marzo 2013 tra le luci del tramonto. Quello che si è osservato è una diminuzione della variazione di luminosità della cometa durante il suo moto di avvicinamento al Sole. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che la PANSTARRS, essendo una cometa non periodica, sta entrando nel Sistema Solare interno per la prima volta dopo miliardi di anni passati nell’oscurità della nube di Oort. Sulla superficie del nucleo cometario potrebbero quindi essere presenti dei materiali volatili “vergini” che sono sublimati velocemente appena la cometa ha risentito della radiazione solare. Tale incremento di sublimazione ha comportato un aumento di luminosità che ha spinto gli astronomi a supporre una elevata attività cometaria. Attività che è andata via via diminuendo al consumarsi di questo volatile strato superficiale. Aspettiamo comunque una nuova stima delle effemeridi per questa cometa ad opera del Minor Planet Center, anche se, in ogni caso il valore di magnitudine raggiunto dalla cometa Hale-Bopp nel 1997 pari a -0.7 è ormai lontano dal massimo che raggiungerà la PANSTARSS. Il record della grande cometa del secolo scorso rimarrà quindi ancora imbattuto… almeno fino a Novembre 2013 quando la cometa C/2012 S1 (ISON) potrebbe diventare la cometa del XXI secolo.

NEWS: La cometa sta per avvicinarsi sempre più al Sole divenendo un soggetto difficile per gli osservatori dell’emisfero australe. La sua magnitudine è ora (16/02/2013) pari a +5.1 e quindi teoricamente già visibile ad occhio nudo. Le ultime immagini mostrano due code distinte una luminosa lunga 0.5° (polveri) ed una più debole e rettilinea estesa per circa 2° (gas). Al momento il Minor Planet Center non fornisce nuove stime di magnitudine per la cometa per cui il massimo previsto è pari a +0.5, mentre l’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida prevede, sulla base dei dati sperimentali, una massima luminosità tra +1.8 e +4.0. Tra pochi giorni C/2011 L4 (PANSTARRS) precipiterà tra le luci diurne rendendosi inosservabile per entrambe gli emisferi. Bisognerà poi aspettare i primi giorni di Marzo 2013 per vederla emergere nell’emisfero boreale tra le luci del crepuscolo serale. Solo allora ne scopriremo la vera luminosità e le dimensioni delle due code. Quindi appuntamento al 06 Marzo 2013, primo giorno (molto teorico) di visibilità della cometa tra le luci del tramonto.

La cometa C/2011 L4 (PAN-STARRS) ripresa il giorno 15/03/2013 da Inverigo (CO)

NEWS: Sono state pubblicate le stime di magnitudine della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) effettuate dal Robotic Telescope FRAM parte del network di telescopi automatici GLORIA. La curva di luce prevede che la cometa raggiungerà una magnitudine massima intorno a +2. Inoltre le misure di indice V-R mostrano che la cometa emette molto nel rosso, indice della presenza di molte polveri nel nucleo cometario. Seppur meno ottimistiche delle prime previsioni del Minor Planet Center, quella di FRAM sono migliori delle stime dell’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida: l’ansia da cometa comincia a farsi sentire.

NEWS: La cometa C/2011 L4 PANSTARRS è ora (23/02/2013) di magnitudine + 4.2 e sta sparendo tra le luci del crepuscolo australe. Le ultime misure di luminosità sembrano discordare leggermente dalla curva stimata dall’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida mostrando una magnitudine superiore a quella stimata. Il Minor Planet Center per il momento non aggiorna le proprie previsioni. La cometa mostra ora due code ben evidenti ed il nucleo cometario sembra essere, secondo le ultime misure, ricco di polveri. Vedremo cosa succederà dopo il 10 Marzo 2013 quando avrà raggiunto la sua minima distanza dal Sole. Nel frattempo accontentiamoci di osservare le bellissime foto della C/2011 L4 PANSTARRS riprese dall’emisfero australe all’indirizzo http://spaceweather.com/gallery/index.php?title=comet .

NEWS: Ancora buone notizie dalla cometa C/2011 L4 PANSTARRS. Ieri (01/03/2013) ha raggiunto magnitudine +2.5. Le due code sono ora ben visibili e distinte. La luminosità sembra quindi salire ancora a discredito delle stime più pessimistiche. Le prime misure spettroscopiche mostrano un’intensa linea di emissione riconducibile al Sodio. Le ultime immagini della cometa sono visibili all’indirizzo http://www.aerith.net/comet/catalog/2011L4/pictures.html . Ricordiamo che il Minor Planet Center non ha ancora aggiornato le proprie stime di magnitudine che quindi rimangono quelle riportate in questo sito.

NEWS: Ieri sera (08/03/2013) è stata avvistata per la prima volta la cometa C/2011 L4 PANSTARRS dal nostro emisfero (http://spaceweather.com/gallery/full_image.php?image_name=Veerayen-Mohanadas-PanSTARRS-March82013_1362754940.jpg). La luminosità dovrebbe ormai aver raggiunto i suoi valori massimi dato che il punto di massima vicinanza al Sole è ormai vicino (10 Marzo, 0.30 UA). Purtroppo al momento non abbiamo misure in grado di fornirne il valore esatto attuale che dovrebbe attestarsi tra zero e +3. Le strutture non sono al momento visibili in questo emisfero data la limitata altezza dall’orizzonte e la ridotta distanza angolare dal Sole. Aspettiamo con fiducia il migliorare delle condizioni meteo in Lombardia (al momento prevedono cielo coperto fino a venerdì 15 Marzo 2013 con possibilità di schiarite domenica 10 Marzo 2013). Seguiteci… appena avremo delle immagini della cometa le posteremo nell’apposita sezione “Le immagini della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) riprese da ASTROtrezzi”.

L'orizzonte ovest da Inverigo (CO) il 10/03/2013. Il punto più basso è a +1° di altezza dall'orizzonte astronomico. Purtroppo la cometa non è stata avvistata causa nubi.

NEWS: Sostanzialmente da ieri sera (10/03/2013) la cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) è visibile dall’Italia. Purtroppo data la limitata altezza dall’orizzonte ovest e la relativamente bassa luminosità, la cometa è difficile da individuare ad occhio nudo. ASTROtrezzi ha provato a riprenderla da Inverigo (CO) con scarso successo. Infatti la velatura non ha permesso l’osservazione e quindi la ripresa della cometa. Da Brenna (CO), a pochi chilometri da Inverigo, la C/2011 L4 era visibile con  difficoltà solo attraverso piccoli telescopi rimanendo invisibile ad occhio nudo e persino attraverso binocoli. Questo probabilmente a causa delle velature presenti. Immagini della cometa ripresa da altri astrofili sono pubblicate su http://spaceweather.com/gallery/index.php?title=comet .

NEWS: Le comete hanno mostrato ancora la loro “imprevedibilità”. Dopo le prime stime di magnitudo che davano la C/2011 L4 a – 4, successivamente corrette a +1 e quindi sino a +4 secondo le previsioni più pessimistiche oggi possiamo dire che la cometa sta puntando a magnitudini prossime allo zero (come calcolato sin dall’inizio del Minor Planet Center). La curva di luminosità ha infatti cambiato di nuovo pendenza, incrementando di molto la luminosità della PANSTARRS. Peccato per la scarsa altezza della cometa dall’orizzonte ovest e le condizioni meteorologiche lombarde di questi giorni.

Le tre code distinte della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS)

NEWS: Prima osservazione della cometa PANSTARRS il giorno 14/03/2013 da Giussano (MB) e prima ripresa fotografica il giorno seguente da Inverigo (CO). L’immagine della cometa è visibile nella sezione Le immagini della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) riprese da ASTROtrezzi. Confermiamo che la cometa è praticamente visibile con notevole difficoltà ad occhio nudo solo quando questa si trova ormai bassissima sull’orizzonte ovest. Mostra invece una bella coda piuttosto aperta in un piccolo binocolo. La prima ripresa fotografica mostra una coda di ioni ed una di polveri di dimensioni superiore al mezzo grado e separate tra loro di un angolo pari a circa 6.4° (stime preliminari). Il moto proprio stimato per il giorno 15/03/2013 da ASTROtrezzi (preliminare anch’esso) è pari a 4.6 arcsec/min rispetto al valore teorico di 5.94 (Minor Planet Center). Il nucleo/chioma presenta una struttura sferica senza strutture di rilievo. Malgrado questo, l’astrofilo Peter Rosen ha ripreso il 15/03/2013 un punto luminoso vicino alla cometa PANSTARRS che farebbe pensare ad una possibile frammentazione parziale del nucleo. La notizia non è stata confermata e proveremo a confrontare quanto ottenuto con le nostre immagini riprese il medesimo giorno. La coda di polveri invece ha mostrato una forte emissione nel giallo (Sodio), come atteso dalle misure spettroscopiche effettuate agli inizi di Marzo dall’emisfero australe.

NEWS: Dall’analisi dell’immagine della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) ripresa il 15/03/2013 da ASTROtrezzi presso Inverigo (CO) si evince la presenza di ben tre code distinte. La più brillante è la coda di polveri di tipo II (cioè coda di polveri poco curvata) che segue il nucleo cometario seguendo la traiettoria attuale della cometa, una seconda sempre composta da polveri, appena pronunciata ma molto aperta, di tipo III (cioè coda di polveri curvata) che tiene memoria dell’orbita cometaria ed infine una coda di tipo I (coda di ioni) opposta al Sole. Altre immagini disponibili in rete (http://spaceweather.com/gallery/indiv_upload.php?upload_id=79317) mostrano una seconda coda di tipo I inclinata rispetto alla prima di colore blu, per un totale di ben quattro code distinte. La coda blu è sicuramente composta da ioni di monossido di Carbonio CO+, mentre la composizione chimica della prima coda di ioni è oggetto di discussione. La coda di polveri è sostanzialmente composta da Sodio come mostrato da alcune analisi spettroscopiche a nostra disposizione. La coda di ioni potrebbe essere anch’essa composta da ioni di Sodio dato che non è visibile nel canale B di ripresa oppure da ioni di Ferro come da noi ipotizzato dato che la componente B della coda potrebbe essere coperta dal colore azzurro del cielo al tramonto. Infatti secondo una nostra analisi i canali R, G e B assumerebbero praticamente lo stesso valore di livello di luminosità dando quindi luogo ad una coda bianca, tipica dell’emissione del Ferro. Solo un cielo buio ci permetterà forse di risolvere l’arcano. Non ci resta quindi che aspettare l’allontanamento della cometa dal Sole.

NEWS: Karl Battams del Naval Research Lab, dopo aver visionato le immagini della cometa PANSTARRS riprese dalla sonda STEREO (http://www.youtube.com/watch?v=bHL7H1f5LOs) ha escluso (20/03/2013) la possibile frammentazione del nucleoosservata dall’astrofilo Peter Rosen.

Confronto tra le ultime due riprese della come PANSTARRS effettuate da ASTROtrezzi

NEWS: La cometa PANSTARRS si allontana ogni giorno di più dal Sole, aumentando la sua altezza dall’orizzonte e quindi permettendo la ripresa contemporanea delle stelle. Dalla costellazione dei Pesci e passata ora (21/03/2013) a quella di Andromeda. La luminosità si mantiene elevata e la coda di polveri si mostra ampia e ben sviluppata (dalle ultime riprese risulta superiore al grado). La coda di ioni CO+ è stata ripresa solo da pochissimi astrofili ed al momento è ancora nascosta tra le luci del tramonto. La seconda coda di ioni ripresa il 15/03/2013 non compare nella ripresa del 21/03/2013. Aspetteremo altre riprese per studiarne l’evoluzione. Malgrado la smentita del Naval Reaseatch Lab, alcuni astrofili dichiarano di aver visto e ripreso il distaccamento di alcuni frammenti del nucleo cometario (http://spaceweather.com/gallery/indiv_upload.php?upload_id=79776). Aspettiamo quindi notizie ufficiali.

C/2011 L4 (PAN-STARRS) - 13/04/2013

NEWS: La cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) sta lentamente spostandosi verso nord aumentando, seppur di poco, la propria altezza dall’orizzonte. Il 04 Aprile 2013 ( https://www.astrotrezzi.it/?page_id=2687 ) si è verificata la congiunzione con la galassia di Andromeda (M31), invisibile dalla Lombardia a causa delle condizione meteo. Una bellissima immagine dell’evento è riportata in http://spaceweather.com/gallery/indiv_upload.php?upload_id=80426 . Il giorno 03 Aprile 2013 si è comunque cercato di riprendere la coppia cometa – galassia di Andromeda, ma le nebbie serali e l’inquinamento luminoso non hanno permesso l’individuazione della cometa (e tanto meno della galassia). Purtroppo la scarsa altezza della cometa dall’orizzonte e le condizioni meteo di questo 2013 hanno ostacolato non poco la ripresa dell’astro chiomato. ASTROtrezzi manterrà in home page questa sezione fino al 31 Luglio 2013 quando la cometa PANSTARRS avrà raggiunto la luminosità della seconda grande cometa dell’anno: la cometa ISON. Dal 01 Agosto 2013 sarà lei a dominare la scena. Potrete comunque sempre accedere allo SPECIALE COMETA C/2011 L4 (PAN-STARRS) passando dalla pagina SPECIALE COMETE 2013.

NEWS: La cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) è ormai nella costellazione di Cassiopea divenendo così visibile sia dopo il tramonto del Sole che la mattina prima dell’alba. Il giorno 13 Aprile 2013 la cometa è stata osservata ad occhio nudo da ASTROtrezzi a Saint-Barthélemy – AO, Italia (Italy) quando la sua magnitudine è ormai al limite della visibilità essendo pari secondo le stime del Minor Planet Center a +6.0. In un binocolo la cometa appare comunque ancora molto bella e molto imponente. La coda non ha cambiato forma e la coda di ioni è praticamente scomparsa (sia quella di ioni CO+ che di Ferro/Sodio). Le ultime misure spettroscopiche vedono sparire la linea del Sodio. Come mai? Vedremo se future misure confermeranno il risultato ottenuto dagli spettroscopisti amatoriali.

Cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) - 11/05/2013

 NEWS: La cometa PANSTARRS è sempre più lontana dalla Terra e oggi (24/05/2013) appare come un batuffolo di magnitudine + 9.0 (stime Minor Planet Center). La coda di ioni sembra ormai un lontano ricordo ed ora si registra un’ampia coda di polveri che termina con una lunga anti-coda. ASTROtrezzi ha ripreso la C/2011 L4 da Saint-Barthélemy come riportato a lato. Purtroppo l’immagine non è curata e quindi non è presente una pagina tecnica dedicata. Verso la fine del mese di Maggio la PANSTARRS passerà a pochi gradi dal Polo Celeste Nord, ma date le condizioni meteo e la Luna ormai Piena immagino che sarà difficile riprenderla.

NEWS: La C/2011 L4 è ormai una debole cometa di magnitudo intorno alla +10 localizzata tra la costellazione dell’Orsa Minore e quella del Drago. In questo ultimo periodo le condizioni meteo e la revisione della strumentazione astronomica di ASTROtrezzi non hanno permesso riprese della cometa. Malgrado questo, in prossimità del taglio orbitale avvenuto il 27 Maggio 2013 la cometa ha mostrato una delle più grandi anticode degli ultimi 35 anni estesa per più di 8 gradi (si legga ad esempio http://www.osservatoriosormano.it/newsdett/137/L%27altra-faccia-della-Cometa ). Ed è sempre la coda della PANSTARRS che apre questioni misteriose sulla natura stessa della cometa che potrebbe essere extra-solare. Infatti benché sia stata osservata la presenza di Sodio e Potassio neutro, manca completamente la linea del Litio. Un articolo dettagliato su quest’ultimo argomento è disponibile all’indirizzo http://www.coelum.com/news/comete-dell%E2%80%99altro-mondo . Aspettando la cometa ISON non ci rimane che salutare questa misteriosa cometa che, dopo averci fatto disperare tra le luci del tramonto e dell’alba con la sua luminosità si elevata ma mai abbastanza per distinguerla senza difficoltà tra le luci del crepuscolo, alla fine ci ha offerto uno spettacolo grandioso in termini di anti-coda .

NEWS:Siamo a Luglio 2013 e la cometa PAN-STARRS sta abbandonando per sempre il nostro Sistema Solare. La magnitudine è oggi (18/07/2013) stimata dal Minor Planet Center intorno alla +11.6; praticamente invisibile al telescopio e ripresa con difficoltà attraverso telescopi amatoriali. Settimana prossima ASTROtrezzi sostituirà in home page lo “SPECIALE COMETA C/2011 L4 (PAN-STARRS)” con lo “SPECIALE COMETA C/2012 S1 (ISON)”. Questa pagina non verrà più aggiornata ma rimarrà comunque visibile su www.astrotrezzi.it nella sezione “SPECIALE COMETE 2013”. Al termine di questo viaggio passato insieme alla C/2011 L4, dai primi giorni di “ricerca” tra le luci del giorno ad oggi tenue barlume luminoso nella profondità del Cosmo, possiamo dire che la PAN-STARRS è stata comunque una grande cometa.

C/2011 L4 (PAN-STARRS) - 05/07/2013

La sua coda “a ventaglio” e meglio ancora la sua anticoda ha dato uno spettacolo unico e mai visto. Inoltre è stato bellissimo osservarla ad occhio nudo non al tramonto (come atteso), ma poco prima dell’alba intorno alla metà di Aprile. Dopo la cometa Hale Bopp che tanto diede spettacolo nell’ormai lontano 1997, la PAN-STARRS è sicuramente una delle migliori comete visibili dal nostro emisfermo negli ultimi 16 anni. Questo sarà l’ultimo aggiornamento che riguarda questa cometa postato su ASTROtrezzi.it… quindi che dire se non un “Ciao PANNY” a questa grande cometa che piano piano si sta allontanando per sempre dal nostro Sistema Solare verso mete tanto distanti quanto ignote.

L'andamento della lumionsità della cometa C/2011 L4 in funzione del tempo. In nero è stato colorato il periodo in cui la cometa non sarà visibile dai cieli boreali. In rosso, verde e viola le luminosità medie dei pianeti Saturno, Urano e del pianeta nano Plutone. (Stime MPC aggiornate al 15/01/2013)

 

 




Orbita delle Comete

Come tutti i corpi del Sistema Solare, anche le comete seguono un cammino ben preciso noto generalmente con il termine di orbita. La forza di gravità permette, per un’interazione a due corpi (Sole – cometa), quattro tipi differenti di orbite: circolari, ellittiche, paraboliche ed iperboliche. Queste forme geometriche derivano dalla natura stessa della forza gravitazionale e matematicamente prendono il nome di coniche (perché si ottengono tagliando un cono con un piano). Un’orbita circolare è molto difficile da trovare in natura e la stessa Terra approssima tale orbita essendo in realtà un ellisse con eccentricità prossima a zero. Quindi, trascurando le orbite circolari, le comete manifestano tutte le altre tre possibili coniche. Nel caso di orbite ellittiche si parla di comete periodiche in quanto la cometa ritornerà nello stesso punto dell’orbita dopo un periodo di rivoluzione intorno al Sole, mentre nel caso di orbite paraboliche o iperboliche si parla di comete non periodiche o extrasolari, dato che tali comete non ripasseranno più nei pressi del Sole. Riassumendo quindi, a seconda della loro orbita, le comete vengono suddivise in:

  • Comete a corto periodo: con un periodo di rivoluzione massimo di 200 anni. La maggior parte di queste comete si muovono sul piano dell’eclittica (piano ideale dove ruotano tutti i pianeti del Sistema Solare) e nel senso di rivoluzione degli altri pianeti del Sistema Solare. La massima distanza dal Sole (afelio) varia da poco oltre l’orbita di Nettuno come la cometa di Halley a quella interna a Giove, come nel caso della cometa di Encke. Vengono così divise in due sottofamiglie a seconda del loro periodo di rivoluzione e quindi della loro distanza dal Sole:  famiglia cometaria di Giove ( minore di 20 anni) e famiglia cometaria di Halley ( maggiore di 20 anni e minore di 200 anni).
  • Comete a lungo periodo: hanno un periodo che varia da 200 a milioni di anni. Il limite superiore è dettato dalla precisione raggiunta nel determinare se una cometa ha un lunghissimo periodo o è di tipo non periodica. Arrivano da regioni esterne a Nettuno e il loro piano orbitale non coincide necessariamente con il piano dell’eclittica.
  • Comete non periodiche o extrasolari: comete che percorrono orbite paraboliche o iperboliche e che quindi abbandoneranno per sempre il Sistema Solare una volta passate nelle vicinanze del Sole.

A volte le comete che sfiorano la superficie solare durante il loro punto di minima distanza dal Sole (perielio) vengono dette comete sun-grazing.

ORIGINE E MORTE DELLE COMETE

Secondo le ipotesi attuali, le comete hanno origine nel disco diffuso e nelle nubi di Hills e Oort. A seguito di perturbazioni gravitazionali indotte dalla nostra galassia (la Via Lattea) o dal passaggio di stelle in prossimità del Sole, i corpi minori (nuclei cometari) delle nubi di Oort e Hills possono muoversi nella direzione del Sole dando così luogo alla formazione delle comete. A seconda della velocità della cometa, questa può assumere un orbita di tipo ellittico, parabolico o iperbolico. Nel primo caso darà luogo, come detto, a comete di tipo periodico mentre negli altri casi a comete extrasolari. Queste ultime dopo il primo ed ultimo passaggio intorno al Sole abbandoneranno per sempre il Sistema Solare.

Le comete periodiche invece cominceranno, come i pianeti, a ruotare intorno al Sole con orbite più o meno eccentriche. Dato che ad ogni passaggio ravvicinato con il Sole, una cometa perde parte dei materiali volatici che la formano, dopo un numero di rivoluzioni comprese tra 1000 e 100 mila questa si ritroverà praticamente svuotata. Il nucleo di tali comete, costituito unicamente da materiali non volatili continuerà il suo moto disgregandosi lentamente nel tempo in piccoli frammenti.

Infine una cometa, durante il passaggio tra i pianeti del Sistema Solare, potrebbe schiantarsi su uno di questi. Nel caso di pianeti giganti (Giove in primis), oltre all’impatto è possibile anche la frammentazione ad opera dei forti effetti gravitazionali indotti da questi pianeti.




La fascia di Kuiper e la nube di Oort

LA FASCIA DI KUIPER

Oltre Nettuno, nello spazio più profondo del Sistema Solare, si trovano dei corpi minori di cui il più famoso è l’ormai ex-pianeta Plutone. Originariamente si pensò a Plutone come all’ultimo pianeta del Sistema Solare, eppure molti altri “pianeti” oggi noti come pianeti nani sono stati trovati proprio in questa regione che si estende tra 30 e 50 UA (Unità Astronomiche ovvero la distanza Terra – Sole pari a circa 150 milioni di chilometri). Il maggiore di questi oggi non è più Plutone, ma Eris scoperto nel 2005 da Michael Brown, Chad Trujillo e David Rabinowitz. Oltre ad Eris e Plutone oggi conosciamo più di 100000 corpi minori sopra i 100 km (Kuiper Belt Objects – KBO) e molti altri di dimensioni persino confrontabili alla Terra e Marte potrebbero venire scoperti nei prossimi anni. Misure spettroscopiche mostrano però differenze sostanziali tra questi KBO e gli asteroidi, rendendoli più simili a dei nuclei cometari.

Questo indusse a pensare che la fascia di Kuiper fosse il bacino delle comete periodiche. Oggi sappiamo però che la fascia di Kuiper è formata da corpi minori che orbitano su orbite stabili e quindi generalmente non attraversano mai le regioni interne del Sistema Solare. Oltre la fascia di Kuiper però, fino a 100 UA, esiste una regione nota come il disco diffuso.  Questa è caratterizzata da corpi simili a i KBO (noti come Scattered Disk Objects – SDO) ma che, a differenza di questi, presentano orbite instabili. L’instabilità dell’orbita li porta spesso a “precipitare” nella direzione del Sole dando luogo alla formazione delle comete periodiche e dei centauri (asteroidi di tipo cometario con orbita compresa tra Giove e Nettuno).

Sia i KBO che i SDO sono diretti discendenti dei planetesimali che si sono accorpati nelle prime fasi di formazione del Sistema Solare, costituendo quelli che sono i pianeti attuali le cui orbite sono state modellate dalla presenza dei giganti gassosi, primo tra tutti Giove.

LA NUBE DI OORT

Oltre Nettuno, oltre la fascia di Kuiper e persino oltre il disco diffuso sono stati trovati ancora dei corpi minori detti detached objects. Al momento ufficialmente riconosciuti sono solo nove i detached objects di cui il principale è Sedna (scoperto nel 2003 dallo stesso team di ricercatori che due anni dopo scoprirono Eris) che raggiunge una distanza minima dal Sole pari a 76 UA ed una massima di ben 900 UA. Il suo diametro, compreso tra i 1200 ed i 1800 km è comparabile con quello degli altri pianeti nani, categoria che forse un giorno verrà associata anche a questo lontano corpo celeste.

Da 1000 a 2000 UA molto probabilmente non si trova nessun corpo celeste e questo rende l’estremo confine del Sistema Solare una regione buia ed estremamente vuota. Ma a partire da 2000 UA fino a 20000 UA (0.03 – 0.32 Anni Luce) ritroviamo una vasta popolazione di corpi minori che occupano una regione a ciambella intorno al Sole nota come nube di Hills. Tali oggetti celesti, probabilmente nuclei cometari di comete a lungo periodo, sono stimati essere decine o centinaia di migliaia di miliardi. Ma non è finita qui. All’esterno della nube di Hills si trova un’altra nube, questa volta di forma sferica, che si estende da 20000 UA a 50000 UA (0.32 – 0.79 Anni Luce) nota come nube di Oort. Anche questa è formata da corpi minori che però questa volta sono più diradati essendo in numero “solo” circa un migliaio di miliardi. Anche questi ovviamente si credono essere i nuclei di comete a lungo periodo.

Sia gli oggetti della nube di Hills sia quelli della nube di Oort si sono planetesimali formati all’inizio del Sistema Solare. Attuali ipotesi affermerebbero che la nube di Oort sia in realtà formata dagli oggetti “scappati” dalla nube di Hills e quindi si sarebbe formata successivamente a quest’ultima.




Il nome delle comete

La procedura utilizzata dalla comunità astronomica internazionale per denominare le comete venne formulata nel 1995 e applicata a tutte le comete, sia quelle scoperte dopo tale anno che quelle del passato.

I nomi delle comete iniziano pertanto con una lettera secondo il seguente schema:

  • C/ : cometa non periodica come la famosa cometa Hale-Bopp C/1995 O1.
  • P/ : cometa periodica. Un esempio è la cometa periodica Hug-Bell scoperta nel 1999 denominata P/1999 X1.
  • D/ : cometa periodica di cui non è possibile prevederne con precisione il ritorno, che non è stato riavvistato il ritorno o che è andata distrutta. Un esempio è la cometa Shoemaker-Levy 9 scoperta nel 1993 è schiantatasi su Giove nel 1994 denominata D/1993 F2.
  • X/ : cometa che non è possibile determinare se periodica o non periodica. Un esempio è la cometa X/1896 S1 della quale non si riuscì a misurarne con precisione i parametri orbitali.

A tale lettera va successivamente aggiunto l’anno della scoperta seguito, dopo uno spazio vuoto, da una lettera che indica il semi-mese di scoperta secondo lo schema:

  • A: 1-15 gennaio
  • B: 16-31 gennaio
  • C: 1-15 febbraio
  • D: 16-29 febbraio
  • E: 1-15 marzo
  • F: 16-31 marzo
  • G: 1-15 aprile
  • H: 16-30 aprile
  • J: 1-15 maggio
  • K: 16-31 maggio
  • L: 1-15 giugno
  • M: 16-30 giugno
  • N: 1-15 luglio
  • O: 16-31 luglio
  • P: 1-15 agosto
  • Q: 16-31 agosto
  • R: 1-15 settembre
  • S: 16-30 settembre
  • T: 1-15 ottobre
  • U: 16-31 ottobre
  • V: 1-15 novembre
  • W: 16-30 novembre
  • X: 1-15 dicembre
  • Y: 16-31 dicembre

A tale lettera va successivamente aggiunto un numero progressivo che tiene conto del numero di comete scoperte nel semi-mese considerato. Il suffisso -A, -B, … può essere aggiunto nel caso in cui la cometa si sia successivamente frammentata in più parti.

I cognomi degli scopritori, fino ad un massimo di tre, può essere aggiunto o prima del simbolo C/, D/ ed X/ o dopo il nome della cometa, tra parentesi tonde. Lo stesso vale nel caso in cui lo scopritore sia una all-sky survey come il Lincoln Near Earth Asteroid Research (LINEAR), il Near-Earth Asteroid Tracking Program (NEAT), il Catalina Sky Survey (CSS), il Lulin Sky Survey (Lulin), il Lowell Observatory Near-Earth Object-Search (LONEOS), il Siding Spring Survey (SSS), il Panoramic Survey Telescope And Rapid Response System (Pan-STARRS) ed l’International Scientific Optical Network (ISON)  oppure sonde spaziali come la Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), la Solar Maximum Mission (SMM), la Solwind (SOLWIND) e la Solar TErrestrial RElations Observatory (STEREO) o ancora progetti di ricerca come il Spacewatch (Spacewatch). Se gli scopritori hanno lo stesso cognome, allora questo viene riportato una sola volta. Infine nel caso in cui un astronomo scopra più comete è possibile aggiungere un numero progressivo al cognome.

Solo per le comete periodiche è possibile utilizzare la nomenclatura per cui il numero progressivo di comete periodiche scoperte viene seguito dalla lettera P/ ed il cognome dello scopritore.

Esiste poi la possibilità che un corpo minore in realtà sia una cometa. In questo caso viene mantenuto il nome originale assegnato dal Minor Planet Center a cui viene aggiunto il prefisso C/ o P/. In questo ultimo caso può essere rinominato con la nomenclatura delle comete periodiche.




Coda Cometaria

La coda cometaria

Avvicinandosi al Sole, il nucleo cometario diviene sempre più attivo rilasciando nello spazio interplanetario polveri, ioni e gas. Questi rimangono nei pressi del nucleo finché la pressione esercitata dalla radiazione e dal vento solare non risulta sufficientemente forte per allontanarli. La chioma pertanto diviene sempre più allungata a mano a mano che la cometa si avvicina al sole e una nuova struttura diviene sempre più evidente: la coda cometaria. Questa, essendo naturale prolungamento della chioma, è costituita sostanzialmente dagli stessi composti volatili ovvero polveri, gas e ioni. Queste tre specie hanno però comportamenti molto differenti una volta rilasciati nel vuoto interplanetario. Polveri e gas infatti sono elettricamente neutri e quindi non vengono deviati dalla eventuale presenza di campi magnetici. Le polveri sono però più massive dei gas e pertanto risentono maggiormente della traiettoria del nucleo cometario e di effetti gravitazionali. I gas più leggeri vengono invece soffiati via dal vento solare e risentono meno di effetti gravitazionali. Lo stesso si può dire per gli ioni che però, essendo elettricamente carichi, sono influenzati da eventuali campi elettici e magnetici presenti. L’effetto complessivo è la separazione della coda cometaria in due componenti: una nota come coda di polveri e la seconda nota come coda di ioni (e gas).

CODA DI IONI (CODA DI TIPO I)

La componente ionica della code cometaria è costituita da molecole emesse dal nucleo e successivamente ionizzate dai raggi X e UV provenienti dal Sole. Questa, unita alla componente neutra gassosa, una volta colpita dalle particelle cariche del vento solare emette luce a lunghezza d’onda ben determinata (spettro di emissione) dove le linee più intense si trovano nella regione del blu. Il vento solare ricordiamo però essere un flusso continuo di particelle cariche emesse dal Sole. Questo tende, insieme alla radiazione solare, a ionizzare la chioma producendo un campo magnetico locale il quale non è stabile e può dare luogo a fenomeni di riconnessione magnetica. Tale fenomeno di riconnessione blocca, con un periodo pari ad una – due settimane, lo sviluppo della coda ionica per circa mezzora producendo così interruzioni noti come “tagli” della coda ionica.

CODA DI POLVERI (CODA DI TIPO II)

Durante i fenomeni di sublimazione superficiale del nucleo, viene emessa anche una componente non volatile costituita da polveri, sostanzialmente silicati. Una volta rilasciati nello spazio interplanetario queste si moveranno con velocità e direzione praticamente identiche a quelle del nucleo cometario. La radiazione solare spinge però tali polveri in direzione opposta a quella del Sole. Il risultato complessivo è una traiettoria ricurva che quindi va a separare di fatto la coda di polveri da quella di ioni che invece ha direzione sempre opposta al vento solare. La coda di polveri è di colore giallo dato che brilla di luce solare riflessa (spettro di assorbimento). Le particelle possono essere emesse in gruppo dalle zone attive del nucleo cometario, specialmente se questo passa molto vicino al Sole, e questo si riflette nella presenza di bande note come bande sincroniche nella coda di povere. Inoltre la distruzione di polveri e conseguente dispersioni nello spazio interplanetario possono dare luogo alla formazione di strie. La combinazione di questi fenomeni con la rotazione del nucleo cometario può produrre nelle code di polveri strutture anche complesse.

Vista da terra, la curvatura della coda di polveri può, per effetto prospettico, generare una coda opposta a quella reale. Tale coda viene chiamata anti-coda. Esiste la possibilità di anti-code reali, ovvero generati da intensi getti cometari in direzione opposta al vento solare, ma questi sono molto rari e difficilmente osservabili con strumentazioni amatoriali.




Giove – 11/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 640 x 480

Data (Date): 11/01/2013

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di 500 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 6.9%

Campionamento (Pixel scale): 45.6 arcsec /172 pixel = 0.26511 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 4046 mm

(clicca qui per scaricare l’immagine originale in formato TIFF – click here in order to download the TIFF file)

Giove - 11/01/2013 - il satellite in figura è Io




La Chioma Cometaria

Abbiamo visto come con l’avvicinarsi del nucleo cometario al Sole, le zone composte da materiali volatili cominciano ad attivarsi rilasciando nello spazio interplanetario gas e polveri. Questi vanno così a formare una tenue atmosfera, detta chioma, che può raggiungere dimensioni persino superiori ai 100’000 chilometri di diametro. La forma di quest’ultima dipende dalla natura dal materiale di cui il nucleo cometario è composto oltre che dalla dimensione delle polveri.

La chioma cometaria, aumenta al diminuire della distanza dal Sole fino a quando il vento solare non diviene così intenso da essere in grado di “soffiarla via” parzialmente alimentando quella che prendere il nome di coda cometaria. La stessa chioma modifica la sua forma assumendo esternamente quella di una goccia mentre internamente si può osservare la presenza di getti detti fontane.

Ci si potrebbe quindi chiedere quale è la distanza minima dal Sole necessaria affinché il nucleo cometario sia in grado di sviluppare una chioma. La risposta non è semplice dato che, ancora una volta, dipende dalla composizione chimico-fisica del nucleo. Infatti la chioma si sviluppa a seguito della sublimazione degli elementi volatili che avviene a temperature differenti a seconda del materiale considerato. Temperature differenti significano distanze differenti dal Sole, e questo spiega perché lo sviluppo della chioma varia da cometa a cometa. Possiamo comunque determinare un valore medio che si attesta intorno alle 3-4 UA (1 UA = 1 Unità Astronomica = Distanza Terra – Sole = 149’597’870.691 km). L’insieme della chioma e del nucleo cometario forma la testa della cometa.

Di tutti gli elementi e molecole emesse dal nucleo cometario il più leggero, l’Idrogeno, può allontanarsi nello spazio formando quello che prende il nome di nube d’Idrogeno, ovvero un alone esteso alcuni milioni di chilometri intorno al nucleo della cometa. L’Idrogeno che forma tale alone deriva dalla fotodissociazione dei vapori d’acqua ad opera dei raggi UV solari e pertanto lo sviluppo della nube d’Idrogeno avviene solo in determinate comete quando queste raggiungono la minima distanza dalla nostra stella. Purtroppo tale nube d’Idrogeno emette unicamente nell’UV e quindi non è visibile da Terra.

Se si include la nube d’Idrogeno le comete diventano gli oggetti più grandi dell’intero Sistema Solare.




Il Nucleo Cometario

Quando osserviamo o fotografiamo una cometa con strumenti amatoriali, l’unica parte che non riusciamo a scorgere a causa della luminosa chioma è il nucleo cometario. Questo ne rappresenta il vero cuore pulsante che le recenti sonde interplanetarie hanno mostrato essere costituito da un corpo solido molto scuro composto da un parte volatile (ghiacci di varia natura) ed una non volatile (polveri e rocce). Tra i ghiacci ricordiamo il ghiaccio d’acqua, che si trova spesso legato a sali mentre la parte non volatile dovrebbe essere costituita da composti chimici molto scuri a base di Carbonio, dato il basso albedo (riflessione dei raggi solari ad opera di un corpo celeste) del nucleo cometario che si attesta intorno al 4%.

Quando il Nucleo cometario si avvicina al Sole, allora la temperatura superficiale aumenta e le zone volatili cominciano a sublimare. Data la bassa densità del nucleo, inferiore persino a quella dell’acqua, e le sue dimensioni ridotte con diametri inferiori alla decina di chilometri, la velocità di fuga delle comete risulta molto bassa permettendo ai materiali volatili e alle polveri emesse con essi di abbandonare facilmente la superficie cometaria. Tali gas e polveri andranno poi a costruire quella che sarà la chioma.

I punti di sublimazione dei nuclei cometari sono detti zone attive e dai dati raccolti della sonda Giotto sulla cometa di Halley il materiale emesso, costituito per l’80% di composti dell’acqua, 10% di monossido di carbonio ed il 2%-3% di una miscela ammoniaca/metano, è pari a circa tre tonnellate al secondo.

Malgrado non ci siano ancora misure precise, oggi possiamo dire che le comete hanno un moto di rotazione piuttosto complesso dettato dalla struttura irregolare del nucleo nonché dalla distribuzione non omogenea delle zone attive. Dato che la crosta superficiale del nucleo non è uniforme e alcune regioni rimangono non attive finché non vengono riscaldate dalla radiazione solare, durante il moto di rotazione e di avvicinamento al Sole possono manifestarsi fenomeni noti come outburst. Questi sono dovuti all’attivazione di alcune zone superficiali con conseguente sublimazione ed emissione di materiali volatili. Ovviamente un outburst è un fenomeno nella cui apparizione gli astrofili spesso sperano. Infatti gli outburst comportano sempre un aumento di luminosità della cometa.

Raramente è possibile che outburst particolarmente esplosivi rendano instabile il nucleo portandolo persino alla disintegrazione. Questo processo è noto come breakup. Cause comuni di breakup sono invece il passaggio ravvicinato al Sole ed a pianeti giganti. Gli effetti gravitazionali indotti da questi corpi maggiori possono infatti portare alla frammentazione del fragile nucleo cometario, che presenta una consistenza simile alla neve pressata. Ovviamente  fenomeni di breakup sono drammatici dal punto di vista osservativo e fotografico perché riducono drasticamente la luminosità della cometa.

Immagini bellissime di nuclei cometari si possono trovare sui siti delle missioni spaziali Giotto, Deep Space 1, Stardust e Deep Impact . Per studiare più a fondo i nuclei cometari bisognerà però aspettare i risultati che fornirà la sonda ESA Rosetta, lanciata il 02 marzo 2004 e che raggiungerà la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko in gennaio 2014. Il lander Philae, trasportato dalla sonda, potrà così atterrare sul nucleo cometario (novembre 2014) e lì vi rimarrà vincolato al fine di studiarne la composizione chimica e fisica oltre alla sua attività.




Storia e Caratteristiche Fisiche delle Comete

Non c’è oggetto celeste visibile ad occhio nudo tanto affascinante e misterioso quanto le comete.

Stelle dotate di chioma (da cui l’etimologia del termine) che appaiono improvvisamente nel cielo seguendo traiettorie differenti da quelle seguite dagli altri corpi celesti erranti: i pianeti, il Sole e la Luna.

Sarà proprio per questo motivo che per secoli si credette che le comete fossero un fenomeno atmosferico e completamente distaccato dalla perfezione celeste. Basti pensare che bisogna aspettare l’avvento dell’astronomo Tycho Brahe (1546-1601) per provare sperimentalmente la vera natura cosmica delle comete.

Oggetti imprevedibili e disordinati e come tali ritenuti nel Medioevo portatrici di sventura; ma allo stesso tempo fenomeni affascinanti e grandiosi, tanto che a partire dal 1303 sarà proprio una cometa a diventare la “stella di Natale”. Quello è infatti l’anno in cui Giotto rappresentò per la prima volta una stella cometa sopra la capanna della Natività, forse colpito dal passaggio nel 1301 della cometa di Halley.

Ancora oggi, dopo migliaia di anni, le comete risultano enigmatiche: non tanto per la loro struttura fisica quanto per la loro origine, il loro destino e il legame che queste hanno con la presenza di vita nell’Universo.

Alla luce dei dati forniti dalle numerose sonde interplanetarie quali la Giotto, Vega1, Vega2, Deep Space 1, Stardust e Deep Impact; possiamo oggi descrivere le comete come “palle di neve sporca”, riprendendo così le parole originali dell’ideatore di tale ipotesi: l’astronomo statunitense Fred Lawrence Whipple (1906 – 2004). Secondo questo modello le comete o meglio i nuclei cometari sarebbero costituiti principalmente da ghiacci d’acqua e da altre sostanze mischiate a roccia e polveri. Sono proprio queste ultime a ricoprire la superficie delle comete rendendole tra gli oggetti più scuri del Sistema Solare. Infatti, l’albedo medio delle comete ovvero la capacità di riflettere i raggi solari, è solo il 4% rispetto ad esempio al 7% dell’asfalto!

Le varie parti che costituiscono una cometa. Il nucleo cometario non è visibile, coperto dalla luminosità della chioma.

La dimensione media del nucleo cometario è stimata essere intorno ai 16 chilometri anche se si conoscono comete con dimensioni ben superiori, fino a 40 chilometri.

Ma se le comete sono oggetti così scuri, perché appaiono luminose in cielo? La risposta è semplice. Quando una cometa si avvicina al Sole, la temperatura del nucleo cometario aumenta, e i ghiacci cominciano a sublimare. Tale gas va a formare un’atmosfera temporanea che prende il nome di chioma.

Lo sviluppo della chioma comincia quando la cometa si trova ad una distanza dal Sole inferiore ai 800 milioni di chilometri. La chioma può assumere anche dimensioni molto grandi fino ad oltre un milione di chilometri di diametro. È proprio la chioma a rendere la cometa così luminosa. Quando le comete sono lontane dal Sole allora la chioma cessa di esistere e la luminosità precipita drammaticamente rendendone difficile una loro individuazione. Questo spiega perché gli astronomi scoprono le comete solo a pochi anni dal loro incontro ravvicinato con il Sole.

Ma la nostra stella non è solo responsabile della chioma delle comete. I gas e polveri emessi dal nucleo e che formano la chioma cometaria, vengono colpite dal vento solare che le allontana dalla cometa formando quella che prende il nome di coda. La coda cometaria risulta quindi costituita da polveri che assumeranno una colorazione bianco-gialla dovuta alla riflessione dei raggi solari, e da gas che a seguito del processo di ionizzazione ad opera del vento solare, risulterà di colore azzurro. A seconda del punto di vista e della composizione del nucleo cometario, una cometa può presentare due code: quella di gas in direzione opposta al vento solare e quella di polveri, inclinata lungo la direzione orbitale.

La dimensione della coda cometaria è variabile e può raggiungere persino 1 UA ovvero 150 milioni di chilometri.




M38 (NGC 1912) – 07/01/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): Canon EOS 500D (Rebel T1i) con filtro Baader (with Baader Filter) [4.7 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3/CS6

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (coma corrector)

Filtri (Filter):  Astronomik UHC-E

Risoluzione (Resolution): 4752 x 3168 (originale/original), 4674 x 3106 (finale/final)

Data (Date): 07/01/2013

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): 19 x 180 sec at/a 1600 ISO.

Calibrazione (Calibration): 19 x 180 sec dark, 55 bias, 53 flat

Fase lunare media (Average Moon phase): 41%

Campionamento (Pixel scale): 2424.83 sec / 1894.72 pixel = 1.2797 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 758 mm

Note (note):

M38 (NGC1912) - 07/01/2013

Per scaricare i file originali in formato PIC clicca qui (password richiesta) / Click here in order to download the original files in PIC format (password request)




Il Bias Frame

Negli articoli precedenti abbiamo visto come sia possibile creare per ogni elemento fotosensibile di un sensore a semiconduttore un segnale digitale in un certo senso proporzionale al flusso di radiazione incidente. Tale segnale rappresenterà, al termine del processo di formazione dell’immagine, il livello di luminosità di ciascun pixel di cui il sensore è costituito.

Sino ad ora abbiamo però considerato il caso in cui il sensore venga inondato da fotoni. Cosa succede se però scattiamo una fotografia al buio? Con buio intendiamo la totale assenza di luce ovvero la condizione di avere su ogni elemento fotosensibile zero fotoni. Zero fotoni significa che non abbiamo nessuna fonte di energia in grado di liberare elettroni in banda di conduzione e quindi di generare un segnale di carica. Nessun segnale si traduce infine in un segnale di ampiezza zero in uscita dell’ADC e quindi un livello di luminosità pari a 0 ADU. Riassumendo, una fotografia del buio è una matrice di pixel ciascuno con livello di luminosità pari a 0 ADU. Questo ovviamente in linea del tutto teorica. Vediamo ora cosa succede nella realtà.

DENTRO IL FOTOELEMENTO

In assenza di luce la possibilità di avere elettroni in banda di conduzione dovrebbe essere praticamente zero. Eppure l’agitazione termica degli elettroni associata al fatto che l’elemento fotosensibile a semiconduttore ha una determinata temperatura diversa da zero, permette ad alcuni di essi di “saltare” naturalmente dalla banda di valenza a quella di conduzione. Elettroni liberi si traducono al termine della catena elettronica in segnali luminosi. Ecco quindi che alcuni pixel che dovrebbero avere livello di luminosità pari a 0 ADU possono assumere valori differenti. Tale effetto aumenta all’aumentare della temperatura dell’elemento a semiconduttore la quale dipende dalla temperatura ambiente e dal riscaldamento dello stesso durante il funzionamento (effetto Joule). Ricordiamo inoltre che l’emissione di elettroni per agitazione termica è un processo continuo e quindi il numero di “cariche termiche” accumulate aumenta con il tempo di esposizione. Ridurre al minimo il tempo di esposizione significa quindi diminuire il numero di elettroni di natura termica. Inoltre, come detto prima, la temperatura del sensore dipende anche dalla temperatura ambiente. Questo significa che sistemi di raffreddamento come ventole o celle di Peltier, possono ridurre di molto il fenomeno di emissione di elettroni termici. In assenza di sistemi di raffreddamento vedremo quindi una notevole differenza tra le riprese effettuate in inverno e quelle estive. L’emissione di elettroni termici trasforma il vero segnale di buio pari a 0 ADU in un segnale con un livello di luminosità diverso da zero. Questo disturbo prende il nome di rumore termico. Nell’articolo “Il Dark Frame” vedremo come trattare questo tipo di rumore.

Se però ora effettuiamo uno scatto molto veloce al buio, allora il sensore funzionerà per un tempo così limitato da non permetterne il riscaldamento. Inoltre tempi d’esposizione brevi significano capacità nulla di accumulo delle “cariche termiche” ovvero riduzione quasi completa del rumore termico. Ecco quindi che scatti “veloci” al buio dovranno fornire in uscita dal sensore a semiconduttore segnali elettrici nulli come atteso teoricamente.

LA CATENA ELETTRONICA

Un segnale nullo in uscita dell’elemento fotosensibile corrisponde necessariamente ad un Livello di Luminosità del pixel associato pari a 0 ADU? Ovviamente no. La strada che il nostro segnale deve percorrere è lunga e piena di ostacoli. Il processo di amplificazione, conversione analogico – digitale e molti altri di natura elettronica introducono rumori. Se un sensore è progettato bene, allora tutti i rumori introdotti nel processo di formazione dell’immagine devono essere non correlati e di natura prettamente casuale. A questi possono però aggiungersi rumori non casuali come ad esempio interferenze elettroniche.

Nel caso di uno scatto “veloce” al buio quindi ogni pixel assumerà un livello di luminosità diverso da zero. La distribuzione di livelli di luminosità (istogramma) dei pixel di un sensore sarà quindi descritta da una gaussiana per i rumori di natura casuale con distorsioni più o meno consistenti nel caso in cui vi fossero rumori non casuali. Per motivi di natura tecnologica inoltre, il livello di luminosità corrispondente al buio (0 ADU) è traslato ad un valore noto come offset.

Se volessimo riassumere l’effetto dei rumori fin qui analizzati su un pixel per uno scatto “veloce”, ovvero con tempi di esposizioni prossimi a zero secondi, effettuato al buio potremmo dire:

Livello di Luminosità = valore teorico + offset + rumore termico + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Per quanto detto in precedenza, facendo tendere il tempo di esposizione a zero si ha una riduzione drastica del rumore termico che diventa quindi trascurabile. Inoltre il valore in ADU teorico è 0, dato che non ci aspettiamo elettroni. Quindi la nostra espressione diventa.

Livello di Luminosità = offset + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Cosa succede ora se effettuiamo N scatti “veloci” al buio e facciamo la media pixel per pixel del Livello di Luminosità associato? In questo caso ci viene in aiuto la statistica. La media dei valori assunti da una variabile casuale effettuata su un numero di campioni N che tende all’infinito tende al valore vero. Dato che nel nostro caso il rumore elettronico casuale fluttua intorno al valore zero, allora mediando su N scatti con N sufficientemente grande avremo che il rumore elettronico casuale diviene nullo. Pertanto:

Livello di Luminosità [mediato su N scatti] = offset + rumore elettronico non casuale.

Se l’elettronica così come il sensore utilizzato è stata progettata bene e la camera risulta isolata dal punto di vista elettromagnetico, allora il rumore elettronico non casuale dovrebbe essere nullo e il Livello di Luminosità mediato dovrebbe tendere al valore dell’offset del pixel. In caso contrario tale rumore elettronico non casuale, noto come rumore di lettura, sarà presente e non eliminabile dalle nostre immagini astronomiche. Questo può essere ottenuto sottraendo al Livello di Luminosità di un pixel il Livello di Luminosità mediato.

IL BIAS FRAME

Ciascun pixel di un sensore, sia esso CCD o CMOS, possiede quindi un offset. Siamo sicuri che tale offset sia lo stesso per tutti i pixel? Ovviamente no. Ogni pixel (dall’elemento fotosensibile alla catena elettronica) è diverso l’uno dall’altro e pertanto presenta un proprio offset, che mediamente è quello riportato nelle schede tecniche dei sensori. Come fare quindi a normalizzare i nostri pixel, in modo che se fotografiamo il buio otteniamo 0 ADU in ogni pixel? Per fare questo dobbiamo conoscere il valore dell’offset per ogni pixel e sottrarlo ai rispettivi pixel dell’immagine astronomica ripresa. Come fare?

Prendiamo la nostra macchina fotografica digitale (DSLR) o la nostra camera CCD astronomica e poniamo il tappo di fronte all’ottica al fine di non far arrivare fotoni sul sensore ricreando pertanto la condizione di buio. Settiamo come tempo di esposizione il minimo imposto dalle specifiche tecniche della nostra DSLR o camera CCD astronomica (ad esempio 1/8000 secondo per una Canon EOS 40D o 1/1000 di secondo per una ATIK 314L+ B/W). Ricordiamo che per le reflex dobbiamo impostare gli stessi ISO utilizzati per riprendere la nostra immagine astronomica al fine di porsi nelle stesse condizioni di scatto (la catena elettronica funziona in modo diverso a seconda degli ISO impostati). Per lo stesso motivo anche il binning della nostra camera CCD non dovrà essere modificato. Con questi settaggi si riprendano un certo numero di immagini che verranno successivamente mediati al fine di ottenere il Livello di Luminosità medio e quindi l’offset per ciascun pixel del sensore. Tali scatti prendono il nome di bias frame. Quindi, maggiore sarà il numero di bias frame acquisiti, minore sarà l’entità del rumore casuale presente nell’immagine e quindi migliore sarà la determinazione dell’offset. Ricordiamo infatti che, dal punto di vista statistico, la precisione con cui determiniamo l’offset aumenta come la radice quadrata del numero di bias frame acquisiti.

La presenza di rumori non casuali purtroppo va ad aumentare aumentando il numero di bias frame acquisiti e pertanto un basso rumore di lettura è una richiesta importante per un astrofotografo esigente.

Riportiamo di seguito lo studio di un bias frame e della media di 50 bias frame, nota con il nome di master bias frame, per una ATIK 314L+ B/W (sensore CCD) e per una Canon EOS 40D (sensore CMOS).

ATIK 314L+ B/W

L’ATIK 314L+ monocromatica monta un sensore CCD da 1392 x 1040 pixel. Abbiamo ripreso 50 bias frame con binning 1 x 1 e tempo di esposizione pari a 1/1000 secondo. In figura 1 è mostrato il livello di luminosità di un pixel del sensore CCD. Come si vede questo fluttua intorno al valore medio pari a 262.9 ADU con una varianza pari a 15.4 ADU. Lo stesso comportamento è stato mostrato da tutti gli altri pixel che costituisce la matrice del sensore.

Figura 1: Il Livello di Luminosità al variare del bias frame. Come descritto in precedenza questo fluttua intorno al valore “vero” dell’offset pari a circa 262 ADU.

In Figura 2 mostriamo invece la distribuzione dei Livelli di Luminosità (istogramma) dei pixel che costituiscono il sensore per un dato bias frame. La distribuzione è dominata da un rumore di tipo casuale, come dimostra il buon accordo con un fit di tipo gaussiano. Il valore medio della distribuzione è 265.999 ± 0.015 ADU con larghezza pari a 17.774 ± 0.012  ADU. Come atteso, mediando su 50 si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 5.77. Questo non è esattamente quanto previsto teoricamente (7.07) a causa della presenza nel picco gaussiano di contributi non gaussiani (rumori non casuali).

Figura 2: in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CCD in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. Ricordiamo che la larghezza della distribuzione del bias frame è spesso detta readout noise.

Al fine di comprendere l’entità di tali rumori non gaussiani si riporta in figura 3 la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. Come si può notare esistono delle piccole code non gaussiane sicuramente imputabili a del rumore di tipo non casuale. Al fine di determinare se tale rumore è dovuto a fenomeni di interferenza elettronica, abbiamo deciso di sottrarre al bias frame il bias frame mediato (su 50 immagini) e di effettuare su tale differenza l’analisi di Fourier FFT. Il risultato, riportato sempre in figura 3 è uno spettro bianco, sintomo di totale assenza di rumore a frequenza spaziale.

Figura 3: a sinistra la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. A destra lo spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ

 Interessante è l’analisi del master bias. In particolare (Figura 4) è possibile vedere un gradiente tra la zona alta e bassa del sensore. Questo perché durante il seppur breve periodo di trasporto delle cariche, queste stazionano con tempi diversi a seconda della loro posizione sul sensore. I pixel più vicini all’HCCD risultano quindi meno soggetti al rumore termico rispetto a quelli più lontani che integrano tale rumore su un tempo effettivamente maggiore. Questo effetto è invece invisibile nel caso di bias frame acquisiti con sensori di tipo CMOS dove i pixel vengono “svuotati” tutti nello stesso istante. Per maggiori informazioni si legga l’articolo “La Generazione del Segnale: CCD e CMOS”.

Figura 4: master bias. Si osservi come la regione più bassa e vicina al HCCD sia più buia (minor rumore di tipo termico) della regione più alta. A destra inoltre è visibile ad un pattern legato al supporto del sensore.

Concludendo la camera ATIK 314L+ monocromatica risulta tecnologicamente ben realizzata sia dal punto di vista fisico che elettronico. In particolare il rumore è sostanzialmente di natura casuale mentre la componente dovuta al rumore di lettura risulta praticamente trascurabile.

CANON EOS 40D

Anche nel caso della DSLR Canon EOS 40D, dotata di sensore CMOS da 3888 x 2592 pixel, il Livello di Luminosità dei singoli pixel fluttuano intorno al valor medio dell’offset. La distribuzione di tali valori all’interno di un singolo bias frame è mostrato in figura 5. Il valore medio della distribuzione è 1025.66 ± 0.002 ADU con larghezza pari a 7.631 ± 0.002  ADU (il valore più basso di quello ottenuto per la camera astronomica ATIK314L+ è dovuto alla minor dinamica della Canon EOS 40D). Come atteso, mediando su 50 frame si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 7.86. Questo è paragonabile a quanto previsto teoricamente (7.07) dovuto molto probabilmente al maggior numero di pixel presenti rispetto al CCD precedentemente preso in esame.

Figura 5: a sinistra in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CMOS in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. A destra lo stesso grafico in scala semi-logaritmica.

In questo caso la distorsione dello spettro è più evidente rispetto alla CCD ATIK sintomo della presenza non trascurabile di rumori non casuali. Questo è evidenziato dal medesimo plot in scala semi-logaritmica dove si nota la presenza di code a bassi e alti valori di ADU. Per un’analisi dettagliata del rumore di lettura si è proceduto come in precedenza attraverso la sottrazione degli spettri e l’analisi di Fourier. In questo caso si osserva però un rumore a frequenza spaziale fissata di tipo sinusoidale (Figura 6).

Figura 6: spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ. In questo caso l’immagine non è uniforme e si vede un rumore di tipo sinusoidale con frequenza spaziale fissata.

Riassumendo quindi, sia la ATIK 314L+ che la Canon EOS 40D mostrano un bias frame dominato sostanzialmente dal rumore casuale, quindi riducibile mediando molti frame. Per quanto riguarda la componente non casuale (rumore di lettura) nel caso dell’ATIK non presenta pattern spaziali, mentre per la Canon è stata verificata la presenza di un rumore spaziale di tipo sinusoidale.

CONDIZIONI DI BIAS FRAME

Sino ad ora abbiamo considerato completamente trascurabile il rumore termico presente in ciascun bias frame. Tale assunzione è corretta dato che la variazione della larghezza della distribuzione dei Livelli di Luminosità nel bias frame in funzione della temperatura del sensore è praticamente trascurabile e stimabile intorno allo 0.52%/°C . Purtroppo però spesso non si considera un altro fattore molto importante. Al variare della temperatura del sensore anche l’elettronica ad esso connesso risponde in modo differente ed in particolare abbiamo una variazione del valore assoluto dell’offset in funzione della temperatura. Tale confronto è ben visibile in Figura 7 dove si riporta la distribuzione dei Livelli di Luminosità per bias frame effettuati a diverse temperature del sensore.

Figura 7: Distribuzione dei Livelli di Luminosità in bias frame effettuate a diverse temperature del sensore CCD ATIK 314L+ B/W.

In particolare si osserva una variazione della posizione dell’offset pari al 3.47% in soli 5°C di escursione da +10°C a +5°C. Tale variazione è stata osservata anche per lunghe esposizioni (con conseguente aumento della temperatura del sensore) come riportato nell’articolo Canon EOS 40D”.

Ulteriori test saranno effettuati per verificare nuovamente ed in modo più dettagliato questo tipo di fenomeno. Per il momento possiamo comunque affermare che, data la dipendenza dalla temperatura del valore dell’offset, è sempre consigliabile acquisire i bias frame nelle stesse condizioni ambientali presenti al momento della ripresa astronomica.

MEDIA O MEDIANA?

Sino ad ora abbiamo parlato di rumori, ovvero fenomeni fisici sempre presenti in ogni singolo bias frame. Esistono però altri fenomeni che possono verificarsi solo in alcuni bias frame e non in tutti. Questi fenomeni sporadici rischiano però di introdurre un segnale nella media spurio che al netto andrà a peggiorare la qualità dell’immagine astronomica finale. Un segnale sporadico è ad esempio quello generato dai raggi cosmici (per maggiori informazioni si legga l’articolo “I raggi cosmici e l’astrofotografia digitale”) i quali possono rilasciare parte della loro energia in uno o più pixel liberando un gran numero di elettroni.

Un modo per non considerare in una media i pixel che subiscono solo sporadicamente una grossa variazione del loro Livello di Luminosità è utilizzare invece della classica media aritmetica delle immagini, la mediana. Per maggiore informazioni sui vari algoritmi di media di immagini o più precisamente stacking delle immagini si legga l’articolo “Metodi di Stacking.

IRIS ED IL BIAS FRAME

IRIS permette di creare il master bias, partendo dai singoli bias frame. Il metodo utilizzato per combinare le singole immagini è il metodo della mediana. Per quanto riguarda la procedura operativa da seguire si rimanda alla Guida per l’elaborazione delle immagini astronomiche con IRIS. Chi fosse interessato allo studio metodico del bias frame o semplicemente vuole integrare questo articolo con ulteriori considerazioni e schede teniche, è pregato di invare una e-mail a ricerca@astrotrezzi.it




C/2012 K5 (LINEAR) – 29/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 200 mm f/5 [Sartori Olga]

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 314L+ color [6.45 μm] [Rosario Magaldi]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6 [Sartori Olga]

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter):  non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1391 x 1039 (originale/original), 1235 x 923 (finale/final)

Data (Date): 29/12/2012

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 7 x 60 sec bin 1×1 a/at -20.0°C.

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 90%

Campionamento (Pixel scale): circa 1.3212 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 1000 mm

Note (note): copyright GRUPPO AMICI DEL CIELO.

C/2012 K5 (LINEAR) - 29/12/2012

Per scaricare i file originali in formato FIT clicca qui (password richiesta) / Click here in order to download the original files in FIT format (password request)




Vincitore Concorso ASTROfotografico 2012

Il vincitore del Concorso ASTROfotografico 2012 organizzato da ASTROtrezzi va a ROCCO PARISI con l’immagine dal titolo Centro Via Lattea effettuata con una fotocamera reflex digitale modello Canon EOS 550D modificata Baader BCF + Obiettivo Yashica ML 50mm f/2 utilizzato ad f/4. La ripresa è stata inseguita il giorno 23/06/2012 dai Monti Nebrodi (Sicilia, 1600 m s.l.m.) con Montatura SkyWatcher HEQ5 Synscan. Il risultato ottenuto è somma di 22 immagini da 180 secondi a 1600 ISO calibrata con 7 dark, 21 flat e 21 bias per un tempo integrato pari a 1h 6min. Elaborazione effettuata con il software DeepSkyStacker e Photoshop CS3.

Immagine vincitrice del Concorso ASTROfotografico 2012 (ROCCO PARISI)

ASTROtrezzi.it ha valutato tutte le immagini inviante dai lettori sia dal punto di vista tecnico che soggettivo assegnando a ciascuna un punteggio in centesimi. La vincitrice del concorso ha ottenuto 90/100 rispecchiando da un lato le ottime qualità tecniche della ripresa (dallo scatto alla post produzione) e dall’altro l’idea che si cela dietro tale immagine ovvero la capacità di ottenere immagini fantastiche del cielo notturno anche con strumenti semplici. Questo sia di stimolo per quanti vogliono cominciare a muovere i primi passi nel mondo dell’astrofotografia, spesso scoraggiati dai prezzi e dalle complesse tecnologie dell’era digitale.

Davide Trezzi ringrazia tutti i partecipanti ed in particolare Maia Mosconi, Simona Danielli, Boris Mosconi, Paolo Mori, Rosario Magaldi, Ilea Valentin, Emiliano Riva, Giuseppe Alvaro ed ovviamente Rocco Parisi. Scegliere tra le 34 foto in gara non è stato semplice dato che tutte si sono dimostrate di elevata qualità tecnica ed espressiva. Non mi resta di augurarvi un Buon Anno e sperare di rivedervi con fantastiche immagini nella prossima edizione del Concorso Astrofotografico di ASTROtrezzi.it

Di seguito riportiamo per ciascun autore l’immagine che ha ottenuto il punteggio maggiore: buona visione! Per visualizzare tutte le altre immagini in concorso clicca qui.

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