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Diversamente Romantici

Ci sono fenomeni naturali la cui spiegazione fisica è cambiata nel corso dei secoli: vuoi per un generale progresso delle teorie scientifiche, vuoi perché oggi abbiamo accesso ad alcune informazioni difficilmente ottenibili in passato. Ma siamo sicuri che le scuole, i mezzi di informazione o libri da cui attingiamo il nostro sapere siano opportunamente aggiornati?

Non stiamo parlando di scoperte dell’ultima decade ma vecchie di centinaia di anni. Direte voi, impossibile. Eppure in questo articolo andremo a smontare alcune convinzioni comuni.

Partiamo dall’oggetto celeste che meglio conosciamo: la Luna. Come tutti sappiamo il nostro satellite naturale nel corso di un mese circa, varia la sua fase. La “fettuccina” di Luna che ogni notte possiamo osservare ad occhio nudo è la parte di superficie lunare illuminata dalla luce diretta del Sole come rappresentato in figura 1. Sino a qui tutto è corretto e le vostre certezze sono solide come pareti d’acciaio.

Figura 1: sistema Terra – Luna – Sole. Le fasi lunari sono frutto dell’illuminazione diretta del disco lunare da parte del Sole.

Aggiungiamo ora una piccola complicazione al nostro ragionamento. Vi è mai capitato di osservare la Luna pochi giorni prima o dopo la Luna Nuova, ovvero quando la falce di Luna è molto sottile e immersa nelle luci di tramonto/alba? In quei casi oltre alla falce di luna è possibile osservare anche il restante disco lunare, illuminato da una luce tenue che prende il nome di luce cinerea descritta per la prima volta da Leonardo da Vinci.

La spiegazione scientifica di questo fenomeno è stata invece attribuita a Galileo Galilei. La luce cinerea non sarebbe altro che la luce del Sole riflessa dalla superficie terrestre in direzione della Luna, come illustrato in figura 2. Anche la spiegazione della luna cinerea è corretta dal punto di vista scientifico. A questo punto mi chiederete: Dove è la novità?

Figura 2: Sistema Terra – Luna – Sole. La luce cinerea non è altro che la riflessione dei raggi solari da parte della superficie terrestre.

Vi pongo ora la seguente domanda a cui sia Leonardo da Vinci che Galileo Galilei diedero una risposta: di che colore è la luce cinerea? Perché?
Per rispondere alla prima domanda basta osservare attentamente la superficie lunare al binocolo o con un piccolo telescopio. Scoprirete che la luce cinerea ha una tonalità bluastra. Perché? La spiegazione che diede Galileo e che i più ritengono corretta è: “essendo il nostro pianeta formato principalmente da oceani, la luna cinerea riflette il loro colore bluastro”. Ottima spiegazione con un accento non poco romantico: quando guardiamo la luna cinerea stiamo osservando il riflesso dei nostri mari sulla Luna. Questo si che è Amore.
Purtroppo però la giustificazione è sbagliata. La Terra non riflette luce blu perché è coperta principalmente da mari. La Terra non è il pianeta azzurro perché coperto dagli oceani. Vista dal pianeta Marte, la Terra appare come un puntino blu non perché coperta dai mari.
A questo punto fatemi fare una domanda: avete mai osservato il mare dall’alto? Vi siete mai tuffati in una piscina profonda? Il mare è si blu ma quello che osserviamo è una piccolissima parte della luce che incide sulla sua superficie e pertanto la componente di luce solare riflessa dai mari è piccolissima. Se fosse per i mari quindi il nostro pianeta più che azzurro sarebbe nero. Quindi cos’è che rende il nostro pianeta blu? La risposta è semplice. Come diceva una canzone di un tempo “nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù”: il cielo. È il blu del cielo che illumina la Luna e che fornisce al nostro pianeta quella tipica colorazione bluastra. Ma perché il cielo è azzurro/blu?
La spiegazione è la nota diffusione di Rayleigh. Questa dice che, quando una luce bianca (solare) attraversa un’atmosfera trasparente (cioè formata da particelle piccolissime, l’aria) questa devia con un angolo diverso a seconda della componente (colore) considerata. In particolare la luce viola viene diffusa maggiormente di quella rossa. Questo spiega perché seppur il Sole sia una stella verde (avete capito bene!) appare giallo quando osservato dalla superficie terrestre. Infatti, la componente viola/blu viene diffusa dalla nostra atmosfera dando luogo al colore del cielo che però vediamo solo blu data la scarsa sensibilità dell’occhio umano al viola,  mentre la componente giallo/rossa prosegue dritta dandoci la sensazione di un disco solare di colore arancio. Al tramonto poi, dove lo diffusione di Rayleigh diventa più efficiente (aumenta il numero di particelle che la luce attraversa), allora persino il giallo e l’arancio vengono diffusi (da cui il colore del tramonto) mentre il disco solare ovviamente diventa di colore sempre più rosso, unica componente in grado ancora di andare dritta.
Quindi riassumendo la luce solare diffusa dall’atmosfera terrestre è la componente che viene inviata verso la Luna e che conferisce alla luce cinerea la tipica colorazione bluastra. Ovviamente la parte del leone la fa la luce bianca direttamente riflessa dalle nuvole e dai ghiacciai ma questa ovviamente è bianca e quindi non fornisce dominanti colorate.
Tornando al Sole, la nostra è una stella verde che però apparirebbe all’uomo comunque bianca anche se osservata dallo spazio dove non abbiamo diffusione di Rayleigh. Infatti l’essere umano non è in grado di vedere stelle di colore verde che appaiono bianche per motivi fisiologici.

Figura 3: la vegetazione come appare in luce (vicino) infrarossa.

Come avrete letto, in questo articolo abbiamo sfatato molti miti (a proposito, il mare non è blu perché riflette la luce del cielo!) e forse scoperto cose sconvolgenti. Una certezza però c’è rimasta: tutto non è com’è, ma come appare ai nostri occhi. Sapete ad esempio che la vegetazione riflette quasi totalmente la radiazione infrarossa (vedi figura 3)? Guardando la luna cinerea in infrarosso vedremmo il riflesso delle nostre piante sul suolo lunare. Fantasia? No, tecniche per individuare l’esistenza di vita in futuri esopianeti o di monitoraggio della vegetazione terrestre. Romanticismo galileiano in chiave contemporanea.




Osservare e Riprendere Saturno

Saturno è il sesto pianeta del Sistema Solare ed il più debole visibile ad occhio nudo da cieli suburbani. Occhio nudo? Si, avete capito bene. Tutti i pianeti ad esclusione di Nettuno (Urano è al limite) sono visibili ad occhio nudo; questo spiegherebbe anche perché gli antichi Greci, senza l’ausilio di strumenti ottici, sapevano dell’esistenza di questi lontani pianeti. Infatti, chi più chi meno, i pianeti appaiono come stelle luminose che a differenza delle altre presenti in cielo che non cambiano mai la loro posizione relativa (da cui il nome ormai arcaico di “stelle fisse”) queste si muovono giorno dopo giorno, anno dopo anno. Proprio il moto di questi astri diede loro il nome di pianeta ovvero “stella vagabonda”. Quindi non c’è da stupirsi se uscendo di casa la sera, al tramonto o all’alba noterete i pianeti brillare con quella luce proveniente dal Sole che le atmosfere planetarie riflettono con cura dando al pianeta un colore caratteristico. Nel caso di Saturno, l’idrogeno e l’elio presente in atmosfera fanno assumere al pianeta una tinta giallastra. Ecco quindi che Saturno apparirà ai nostri occhi come una stella gialla di media luminosità.

Come individuarla rispetto alle “stelle fisse”? Ci sono vari metodi. Il primo è osservare se, giorno dopo giorno, questa stella si sposta rispetto alle altre. Questo metodo ovviamente è poco efficace e richiede una pazienza che solo gli antichi astronomi possedevano. Una seconda via è quella di imparare a conoscere le stelle fisse, ovvero imparare la posizione e la forma delle costellazioni. Infatti ricordiamo che le costellazione sono costituite dalle stelle più luminose del cielo e quindi se impariamo a conoscerle possiamo subito notare la presenza di una stella “estranea” come ad esempio un pianeta o una cometa. Dato l’elevato livello tecnologico raggiunto in questi anni è possibile anche utilizzare applicazioni per smartphone che vi permettono di individuare automaticamente Saturno puntando il vostro cellulare verso il cielo. Per chi non possiede uno smartphone ma ha un computer portatile, il software Stellarium potrà sicuramente darvi una mano nell’identificazione dell’astro.

Una volta individuato Saturno ad occhio nudo non possiamo fare molto di più che osservarne il moto durante le stagioni. Questo era l’unica informazione a disposizione degli antichi astronomi che infatti sapevano dell’esistenza dei pianeti ma non avrebbero mai potuto intuire la bellezza celata dentro quel puntino luminoso.

Oggi però molti di noi posseggono binocoli e telescopi in grado di mostrarci le caratteristiche del pianeta. Utilizzando una ventina di ingrandimenti osserviamo infatti che il pianeta non è più puntiforme ma presenta una forma allungata: non è il vostro binocolo che ha problemi ottici! La forma ad ellisse è dovuta alla presenza dell’anello. Purtroppo a bassi ingrandimenti non è possibile separare il disco del pianeta dall’anello e il risultato complessivo è un ovale luminoso. Ma non demordete, già a quegli ingrandimenti è possibile osservare intorno al pianeta una stella luminosa. Si tratta della luna maggiore di Saturno: Titano. Se osservate con attenzione giorno dopo giorno noterete come questa stellina si muove rimanendo sempre nei pressi del pianeta.

Saturno ripreso il 04/06/2009. Confrontando le osservazioni del pianeta effettuate sulla scala di anni è possibile notare la diversa inclinazione degli anelli del pianeta.

Una volta intuita la forma dell’anello e individuato Titano, la curiosità di vedere meglio diventerà irresistibile. Non vi resta pertanto che acquistare un telescopio o seguire il gruppo di astrofili più vicino a casa vostra. A questo punto potete salire con gli ingrandimenti e vedrete come a partire da quell’ovale comincerete a distinguere l’anello di Saturno con al centro il disco del pianeta. Mano a mano che aumentate gli ingrandimenti, a seconda della calma atmosferica presente (fenomeno del seeing, vedi articolo “La scala Antoniadi”), comincerete a notare delle bande sul pianeta. Queste sono delle formazioni nuvolose presenti su Saturno così come su Giove. Se invece vi concentrerete sull’anello vedrete che non è continuo, ma interrotto da una banda nera. Questa è nota come divisione di Cassini ed è una regione meno densa dell’anello del pianeta. Tale formazione è dovuta all’influenza gravitazionale del satellite Mimas. E proprio a proposito di satelliti, Saturno è il pianeta che presenta il maggior numero di lune visibili attraverso un telescopio. Infatti oltre al già citato Titano, con un telescopio amatoriale è possibile osservare le lune Teti, Rea e Dione. Non siete ancora soddisfatti di quanto avete osservato? Non vi resta che acquistare un telescopio semi professionale che vi permetterà di osservare altre lune di Saturno quali la già citata Mimas, Giapeto, Encelado ed Iperione. Sul pianeta noterete dettagli sempre più sottili dell’atmosfera saturniana mentre gli anelli mostreranno divisioni sempre più sottili come la nota divisione di Encke (dovuta questa volta al satellite Pan).

Saturno è forse il pianeta del Sistema Solare la cui visione telescopica lascia il neofita a bocca aperta. Ma cosa dire della possibilità di riprendere il pianeta con una fotocamera digitale? La cosa è fattibile utilizzando la tecnica di proiezione d’oculare o tramite il metodo afocale. Quello che suggeriamo pero noi è l’utilizzo di webcam astronomiche (commerciali o autocostruite) che permettono di ottenere il massimo dal nostro telescopio (per maggiori informazioni si legga l’articolo “tecniche di ripresa del cielo notturno”). Vi segnaliamo inoltre la pagina fotografica dedicata a Saturno di ASTROtrezzi.it . Ovviamente è possibile riprendere Saturno nelle vicinanze (congiunzione) di altri oggetti celesti come ammassi stellari, galassie o nebulose. A volte come è successo il 22 maggio 2007, Saturno passa dietro la Luna (occultazione). Questo fenomeno tanto raro quanto bello da osservare al telescopio prevede che il pianeta con i suoi anelli e satelliti vada a tramontare/sorgere esattamente dietro a crateri, mari o monti lunari. Ad occhio nudo si vedrà Saturno sparire dietro la Luna e riapparire dopo un’ora circa dall’altro lato. La prossima occultazione di Saturno è prevista per il 25 ottobre 2014 in condizioni non molto favorevoli con la Luna bassa sull’orizzonte ovest.




COMETA C/2012 S1 (ISON)

La cometa C/2012 S1 (ISON) è stata scoperta il giorno 21 settembre 2012 nell’ambito del progetto scientifico denominato International Scientific Optical Network (ISON) costituito da un gruppo di telescopi localizzati in dieci differenti nazioni al fine di monitorare il moto di detriti spaziali (oggetti GEO) nonché dal 2004 asteroidi e comete. In particolare la cometa è stata scoperta dagli astronomi russi Vitali Nevski e Artyom Novichonok con l’ausilio di un telescopio del riflettore da 40 cm di diametro dell’Osservatorio Astronomico di Kislovodsk (Russia).

La C/2012 S1 è una cometa non periodica che al momento della scoperta brillava di magnitudine 19-20. Questa raggiungerà il punto di massima vicinanza al Sole (0.012 UA) il giorno 28 Novembre 2013, mentre il punto di minima distanza con la Terra si avrà poco dopo, il giorno 26 Dicembre 2013 (0.42 UA) tanto da assegnare a questa come il nome di “cometa di Natale”. Il Minor Planet Center (MPC) ovvero l’organizzazione dell’Unione Astronomica Internazionale atta alla determinazione delle orbite di comete ed asteroidi, fornisce una stima della luminosità della cometa che riportiamo nel grafico qui sotto. Come visibile, le stime attuali forniscono un valore di luminosità massima della cometa superiore a quella di Venere, rendendola pertanto visibile anche durante il giorno. Secondo le ultime stime la magnitudine relativa raggiungerà il massimo il giorno 29 Novembre 2013, pari a -5.1.

NEWS: La cometa C/2012 S1 ISON comincia a mostrare una tenue coda già attraverso telescopi di corta focale (vedi immagine del 03/03/2013).

NEWS: La cometa C/2012 S1 ISON sembra perdere luminosità rispetto a quanto previsto inizialmente. Lo riporta la rivista Sky&Telescope alla pagina http://www.skyandtelescope.com/observing/highlights/Comet-ISON-Updates-193909261.html . Sarà vero? Al momento è difficile dirlo. Gli scienziati sono ancora molto divisi e come per la cometa PANSTARRS il pessimismo iniziale potrebbe infine rivelarsi errato. Infatti è molto difficile stimare la luminosità e le dimensioni della coda di una cometa, specialmente per quelle come la ISON che giungono per la prima volta nelle vicinanze del Sole. Sicuramente la C/2012 S1 sarà una delle comete più luminose del cielo degli ultimi anni ma la possibilità di osservarla in pieno giorno con il Sole non è ancora una certezza. Neppure la sua stessa sopravvivenza è sicura. Infatti il nucleo cometario potrebbe frammentarsi durante le fasi di avvicinamento stretto al Sole. Ovviamente ora è presto per fare qualsiasi stima. Incrociamo le dita quindi e cominciamo ad osservarla mentre piano piano si avvicina al Sole.

NEWS: Se dovessimo riassumere oggi 27/08/2013 la situazione della cometa C/2012 S1 (ISON) potremmo dire che, come per la PAN-STARRS, le prime stime fornite dal Minor Planet Center risultano più che ottimistiche. Secondo le ultime misure infatti più che di cometa del secolo dovremmo parlare di cometa molto luminosa. Infatti la sua luminosità, così come misurata appena la cometa è tornata visibile tra le luci dell’alba dopo il passaggio prospettico nelle vicinanze del Sole, è ben inferiore alle aspettative (due magnitudini in meno) e la possibilità di osservare la ISON in pieno giorno sembra diventare sempre più bassa. Ad oggi la comunità scientifica amatoriale sembra divisa in due tra i pessimisti che ipotizzano un nucleo piccolo della cometa e quindi morte certa durante l’incontro ravvicinato con il sole e gli ottimisti che utilizzano come esempio la PAN-STARRS per dimostrare come un aumento di luminosità sia più che possibile, specialmente per comete non periodiche come appunto la ISON. Non ci resta quindi che attendere e osservare quel debole puntino luminoso che oggi brilla di mag. +13.5. Appena possibile cercheremo di riprendere una nuova immagine della cometa.

La cometa ISON ed il pianeta Marte (in basso a destra) ripresa all'alba del 17/10/2013 da Inverigo

NEWS: Malgrado la cometa a metà settembre abbia superato la frost line la sua luminosità rimane purtroppo leggermente sotto le previsioni. Nelle migliori delle ipotesi ISON dovrebbe sfiorare magnitudo -7 nei giorni del passaggio al perielio (28 Novembre 2013). Il 15/10/2013 era prevista una congiunzione Marte-Regolo-ISON, tutte entro 2° ma purtroppo le condizioni meteo non ne hanno permessa l’osservazione. Siamo comunque riuscire a riprendere C/2012 S1 il giorno 17/10/2013 da Inverigo, dove si presentava di magnitudine (teorica) intorno a +10.0 anche se a conti fatti sembrava più debole. Maggiori informazioni saranno presentate nella sezione “Misure spettroscopiche e fotometriche della cometa C/2012 S1 (ISON) effettuate da ASTOtrezzi”. In Ottobre sono state inoltre effettuate le prime misure spettroscopiche amatoriali della cometa che mostrano linee di emissioni del carbonio diatomico (C2) e del radicale cianogeno (CN). Malgrado tutto ISON sta al momento (22/10) incrementando la sua chioma che appare di colore verde e la sua coda che al momento è pari a circa dieci primi d’arco. Dallo spazio ci arrivano notizie confortanti. L’Hubble Space Telescope ha confermato lo stato di buona salute della cometa che dovrebbe quindi resistere al passaggio al perielio senza frantumarsi. Le dimensioni del nucleo sono state stimate intorno ai 4 chilometri di diametro e forse anche meno. Questo sembra ruotare su se stesso con bassa velocità angolare. ISON inoltre è visibile dal 10/10/2013 attraverso la camera HI2 della sonda STEREO-A (http://www.isoncampaign.org/karl/cioc-exclusive-ison-in-stereo). Malgrado le difficoltà a seguito del Federal Government Shutdown americano, sono state pubblicate le immagini riprese dalla sonda Mars Reconnaisance Orbiter (https://hirise.lpl.arizona.edu/releases/ison.php). Poco si sa invece delle riprese effettuate dal rover Curiosity. Malgrado le previsioni altalenanti di Seiichi Yoshida, la cometa ISON sembra pronta per dare spettacolo: non ci resta che attendere!

NEWS: la cometa ISON prosegue il suo moto di avvicinamento al Sole mostrando una luminosità purtroppo sempre inferiore alle aspettative. Secondo l’astronomo Jian-Yang del Planetary Science Institute di Tucson la cometa C/2012 S1 starebbe rivolgendo il suo polo di rotazione verso la nostra stella. Questo significherebbe che parte della cometa non ha ancora mostrato la sua superficie al Sole rimanendo intatta con tutti i gas e polveri utili per dare spettacolo una volta passato il perielio. Il giorno 07/11 si è osservata l’apparizione di una probabile coda di ioni che si affianca alla stretta coda di polveri, tipica delle comete sungrazing.

NEWS: ieri (14/11/2013) la cometa ISON ha mostrato un outburst ovvero un aumento improvviso di luminosità che l’ha portata da mag. +8 a +6. Anche la coda di dimensioni ormai superiori ai 45 secondi d’arco, comincia a mostrare una struttura piuttosto complessa (vedi http://cieloprofundo.net/2013/11/14/estallido-del-cometa-c2012-s1-ison/ ). Mark Kidger dell’ ESA’s European Space Astronomy Centre di Madrid ha posto la questione che sia la forma della coda che quest’ultimo outburst potrebbe essere sinonimo di una futura frammentazione del nucleo cometario come accadde per la cometa C/1999 S4 (LINEAR).

NEWS: nei giorni seguenti il 14/11/2013 si è sparsa la notizia di una possibile frammentazione del nucleo della cometa ISON supportata da una misura effettuata da H. Boehnhardt et al. presso Mt. Wendelstein Observatory (16/11/2013 – CBET3715) che mostrerebbe la frammentazione in due parti del nucleo cometario. Il 17/11/2013 però il CIOC (NASA Comet ISON Observing Campaign) in http://www.isoncampaign.org/karl/did-ison-fragment riporta come tali “frammenti” sono troppo simmetrici e potrebbero essere dovuti a getti emessi dal nucleo a seguito dell’outburts del 14/11.

NEWS: il giorno 19/11/2013 la cometa C/2012 S1 ha mostrato un secondo outburst che ne ha aumentato ancora la luminosità oltre il valore predetto dal MPC. Malgrado questo secondo fenomeno esplosivo lo stato della cometa sembra oggi (21/11) mantenersi buono. ISON presenta una chioma superiore ai 100000 km di diametro ed una coda di almeno 8 milioni di chilometri. La coda presenta disconnessioni e dimensioni angolari notevoli (superiori ai 7 gradi).Misure spettroscopiche amatoriali confermano la colorazione verde della cometa dovuta alla presenza delle linee di emissione del carbonio diatomico (C2) oltre a OI e probabile Na. Ormai bassa sull’orizzonte est sarà visibile nei giorni del perielio solo attraverso le camere degli osservatori solari orbitanti. Purtroppo le condizioni meteo sul nord Italia hanno impedito l’osservazione della cometa nelle ultime due settimane.

L'alba del 25/11/2013 da Inverigo (CO). Malgrado le ottime condizioni meteo non è stato possibile riprendere la cometa ISON ormai bassissima ad est tra le luci dell'alba. Nell'immagine sono visibili Saturno e Mercurio.

NEWS: al un giorno dal perielio (27/11) la cometa ISON è diventata visibile nella camera LASCO C3 della sonda spaziale SOHO (seguite la diretta cliccando sull’apposita icona a lato di questa pagina!). A partire dal giorno 21/11/2013 ricercatori del telescopio IRAM hanno osservato una rapida diminuzione delle emissioni. Una possibile spiegazione potrebbe essere il raggiungimento da parte del nucleo cometario della massima attività oppure la possibile frammentazione completa della cometa. In ogni caso sembra che questo comportamento porterà ad una diminuzione della massima luminosità raggiunta domani dalla cometa. Come riferito da molti scienziati però ISON è una cometa unica nel suo genere: sungrazing e proveniente dalla nube di Oort. Quindi poco sappiamo di lei e del suo comportamento dopo il perielio. Le ultimi immagini di SOHO mostrano infatti una cometa in ottima saluta e ben lontana dalla frammentazione. Continuate a visitare ASTROtrezzi, domani sapremo e pubblicheremo quale sarà il futuro di ISON!

Riportiamo infine l’osservazione effettuata da ASTROtrezzi il 25/11 da Inverigo (CO) al fine di individuare ISON alla minima distanza dal Sole osservabile da Terra con telescopi amatoriali. Malgrado l’elevata trasparenza del cielo a seguito di forti venti non è stato possibile osservare la cometa bassissima sull’orizzonte EST.

NEWS: oggi (28/11) alle ore 19.38 la cometa C/2012 S1 (ISON) è passata al perielio, sfiorando letteralmente il Sole. Fino alle 18.39 quindi ad un’ora dal passaggio ravvicinato con la nostra stella, ISON ha mostrato due code ed un nucleo compatto e piuttosto luminoso. A partire dalle 19.24 il nucleo è apparso nella camera STEREO-A COR2 diffuso ed in netto calo di luminosità sintomo di una probabile vaporizzazione dello stesso. La vaporizzazione è apparsa definitiva alle ore 20.39 quando moltissimi siti di astronomia amatoriale e professionale davano ISON completamente distrutta con le polveri rimaste in dissolvimento a seguito dell’intenso vento solare. Alle ore 20.54 però alcuni frammenti sembrano aver proseguito lungo l’orbita della cometa, fenomeno confermato con il passare delle ore da tutti gli osservatori solari spaziali (SOHO e STEREO). Alle ore 23.39 non siamo ancora in grado di comprendere l’entità e la natura di quel che rimane di ISON dopo il passaggio al perielio. Potrebbe trattarsi del resto della coda destinata a dissolversi a seguito del vento solare oppure frammenti della cometa. Una non del tutto remota possibilità è che il nucleo di ISON sia sopravvissuto e che l’intensa radiazione solare abbia spezzato la coda della cometa.

NEWS: ad ormai un giorno dal perielio ancora poco possiamo dire di quello che è “il resto di ISON”. Purtroppo non ci sono certezze ma soli indizi. La natura unica di ISON rende questo oggetto particolarmente imprevedibile e la rinascita dopo il perielio ne è stato un classico esempio. Cosa stiamo osservando in questo momento? Sicuramente non la “cometa del secolo” intatta al passaggio al perielio. Molto probabilmente stiamo osservando una cometa disintegrata o in frammentazione. Questo vuol dire che la sua luminosità è destinata a diminuire nei prossimi giorni lasciando agli osservatori una debole cometa senza nucleo.  Una sorte analoga toccò alla cometa C/2010 X1 (Elenin) frammentatasi in condizioni però molto differenti di quelle di ISON. Una seconda possibilità è quella che il nucleo di ISON si sia distrutto ed uno (o più?) pezzi siano sopravvissuti. Questi potrebbero ricreare nelle prossime ore una chioma ed una coda dando luogo ad un oggetto sicuramente meno luminoso delle previsioni iniziali ma pur sempre interessante come è stata la cometa C/1962 C1 Seki-Lines, magicamente “scomparsa” al perielio e poi rinata nei giorni seguenti. Prima del perielio sono infatti stati pubblicati molti articoli che mostrano numerose analogie tra la cometa Seki-Lines e ISON. Cosa fare quindi? Non ci resta che attendere ancora qualche giorno per scoprire il destino di questa ancor più piccola cometa.

NEWS: oggi 30/12/2013 i resti della cometa ISON hanno mostrato la loro vera natura. La luminosità è scesa infatti drammaticamente durante la notte (italiana) passando rapidamente da magnitudo +3 a +5. Anche quello che poteva essere un nucleo (o più) compatto circondato da gas e polveri si è rivelato un insieme di frammenti in rapida dissoluzione. Non ci resta quindi che attendere che i resti di ISON si separano a sufficienza per effettuare delle riprese con telescopi amatoriali. Ovviamente ISON non sarà ne la cometa del secolo ne una cometa in senso stretto. Speriamo che la luminosità non crolli troppo e che il vento solare e la pressione di radiazione non soffino via i resti della nostra amata cometa.

L'andamento della lumionsità della cometa C/2012 S1 in funzione del tempo. In nero è stato colorato il periodo in cui la cometa sarà visibile dai cieli boreali. In arancione, azzurro, rosso, verde e viola le luminosità medie dei pianeti Venere, Giove, Saturno, Urano e del pianeta nano Plutone. (Stime MPC aggiornate al 01/02/2013)

Riportiamo anche uno zoom del grafico relativo al periodo di visibilità della cometa ad occhio nudo:

Un ingrandimento del grafico precedente relativo al periodo di massima luminosità della cometa.

 




COMETA C/2011 L4 (PAN-STARRS)

La cometa C/2011 L4 (PAN-STARRS) è stata scoperta il giorno 06 giugno 2011 nell’ambito del progetto scientifico denominato Panoramic Survey Telescope and Rapid Response System (PAN-STARRS) che si prefigge, con l’ausilio di quattro telescopi computerizzati da 1.8 m di diametro posti sulla cima del vulcano Haleakala sull’isola di Maui (Hawaii, USA), di scoprire il 90% degli asteroidi potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. Il sistema automatico è in grado di misurare la variazione di luminosità degli oggetti nel cielo e quindi studiare stelle variabili o oggetti che si muovono come asteroidi e comete. C/2011 L4 è infatti una di queste: una cometa non periodica che al momento della scoperta brillava di magnitudine 19 (la magnitudine limite di PAN-STARRS è 24). Oggi dei quattro telescopi del “sistema” PAN-STARRS solo uno è operativo, denominato SP1.

La cometa C/2011 L4 raggiungerà il punto di massima vicinanza al Sole (0.30 UA) il giorno 10 marzo 2013, mentre il punto di minima distanza con la Terra si avrà poco prima, il giorno 5 marzo 2013 (1.09 UA). Il Minor Planet Center (MPC) ovvero l’organizzazione dell’Unione Astronomica Internazionale atta alla determinazione delle orbite di comete ed asteroidi, fornisce una stima della luminosità della cometa che riportiamo nel grafico qui sotto. Se inizialmente si pensava ad una luminosità massima prossima a quella di Venere (-4), oggi si stima che essa sarà pari a circa +1 ovvero poco superiore a quella di Saturno.

NEWS: Recentemente (22/01/2013), la rivista Sky&Telescope riporta che, sulla base di stime effettuate dall’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida (vedi pagina ASTROlink) la cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) raggiungerà una magnitudine massima compresa tra +1.8 e +4. Questo nuovo valore, calcolato sulla base delle ultime misure di luminosità effettuate nell’emisfero australe, dove oggi la cometa è visibile come un astro di +7.1 magnitudine, renderebbe problematica l’osservazione della cometa ai primi di Marzo 2013 tra le luci del tramonto. Quello che si è osservato è una diminuzione della variazione di luminosità della cometa durante il suo moto di avvicinamento al Sole. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che la PANSTARRS, essendo una cometa non periodica, sta entrando nel Sistema Solare interno per la prima volta dopo miliardi di anni passati nell’oscurità della nube di Oort. Sulla superficie del nucleo cometario potrebbero quindi essere presenti dei materiali volatili “vergini” che sono sublimati velocemente appena la cometa ha risentito della radiazione solare. Tale incremento di sublimazione ha comportato un aumento di luminosità che ha spinto gli astronomi a supporre una elevata attività cometaria. Attività che è andata via via diminuendo al consumarsi di questo volatile strato superficiale. Aspettiamo comunque una nuova stima delle effemeridi per questa cometa ad opera del Minor Planet Center, anche se, in ogni caso il valore di magnitudine raggiunto dalla cometa Hale-Bopp nel 1997 pari a -0.7 è ormai lontano dal massimo che raggiungerà la PANSTARSS. Il record della grande cometa del secolo scorso rimarrà quindi ancora imbattuto… almeno fino a Novembre 2013 quando la cometa C/2012 S1 (ISON) potrebbe diventare la cometa del XXI secolo.

NEWS: La cometa sta per avvicinarsi sempre più al Sole divenendo un soggetto difficile per gli osservatori dell’emisfero australe. La sua magnitudine è ora (16/02/2013) pari a +5.1 e quindi teoricamente già visibile ad occhio nudo. Le ultime immagini mostrano due code distinte una luminosa lunga 0.5° (polveri) ed una più debole e rettilinea estesa per circa 2° (gas). Al momento il Minor Planet Center non fornisce nuove stime di magnitudine per la cometa per cui il massimo previsto è pari a +0.5, mentre l’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida prevede, sulla base dei dati sperimentali, una massima luminosità tra +1.8 e +4.0. Tra pochi giorni C/2011 L4 (PANSTARRS) precipiterà tra le luci diurne rendendosi inosservabile per entrambe gli emisferi. Bisognerà poi aspettare i primi giorni di Marzo 2013 per vederla emergere nell’emisfero boreale tra le luci del crepuscolo serale. Solo allora ne scopriremo la vera luminosità e le dimensioni delle due code. Quindi appuntamento al 06 Marzo 2013, primo giorno (molto teorico) di visibilità della cometa tra le luci del tramonto.

La cometa C/2011 L4 (PAN-STARRS) ripresa il giorno 15/03/2013 da Inverigo (CO)

NEWS: Sono state pubblicate le stime di magnitudine della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) effettuate dal Robotic Telescope FRAM parte del network di telescopi automatici GLORIA. La curva di luce prevede che la cometa raggiungerà una magnitudine massima intorno a +2. Inoltre le misure di indice V-R mostrano che la cometa emette molto nel rosso, indice della presenza di molte polveri nel nucleo cometario. Seppur meno ottimistiche delle prime previsioni del Minor Planet Center, quella di FRAM sono migliori delle stime dell’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida: l’ansia da cometa comincia a farsi sentire.

NEWS: La cometa C/2011 L4 PANSTARRS è ora (23/02/2013) di magnitudine + 4.2 e sta sparendo tra le luci del crepuscolo australe. Le ultime misure di luminosità sembrano discordare leggermente dalla curva stimata dall’astrofilo giapponese Seiichi Yoshida mostrando una magnitudine superiore a quella stimata. Il Minor Planet Center per il momento non aggiorna le proprie previsioni. La cometa mostra ora due code ben evidenti ed il nucleo cometario sembra essere, secondo le ultime misure, ricco di polveri. Vedremo cosa succederà dopo il 10 Marzo 2013 quando avrà raggiunto la sua minima distanza dal Sole. Nel frattempo accontentiamoci di osservare le bellissime foto della C/2011 L4 PANSTARRS riprese dall’emisfero australe all’indirizzo http://spaceweather.com/gallery/index.php?title=comet .

NEWS: Ancora buone notizie dalla cometa C/2011 L4 PANSTARRS. Ieri (01/03/2013) ha raggiunto magnitudine +2.5. Le due code sono ora ben visibili e distinte. La luminosità sembra quindi salire ancora a discredito delle stime più pessimistiche. Le prime misure spettroscopiche mostrano un’intensa linea di emissione riconducibile al Sodio. Le ultime immagini della cometa sono visibili all’indirizzo http://www.aerith.net/comet/catalog/2011L4/pictures.html . Ricordiamo che il Minor Planet Center non ha ancora aggiornato le proprie stime di magnitudine che quindi rimangono quelle riportate in questo sito.

NEWS: Ieri sera (08/03/2013) è stata avvistata per la prima volta la cometa C/2011 L4 PANSTARRS dal nostro emisfero (http://spaceweather.com/gallery/full_image.php?image_name=Veerayen-Mohanadas-PanSTARRS-March82013_1362754940.jpg). La luminosità dovrebbe ormai aver raggiunto i suoi valori massimi dato che il punto di massima vicinanza al Sole è ormai vicino (10 Marzo, 0.30 UA). Purtroppo al momento non abbiamo misure in grado di fornirne il valore esatto attuale che dovrebbe attestarsi tra zero e +3. Le strutture non sono al momento visibili in questo emisfero data la limitata altezza dall’orizzonte e la ridotta distanza angolare dal Sole. Aspettiamo con fiducia il migliorare delle condizioni meteo in Lombardia (al momento prevedono cielo coperto fino a venerdì 15 Marzo 2013 con possibilità di schiarite domenica 10 Marzo 2013). Seguiteci… appena avremo delle immagini della cometa le posteremo nell’apposita sezione “Le immagini della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) riprese da ASTROtrezzi”.

L'orizzonte ovest da Inverigo (CO) il 10/03/2013. Il punto più basso è a +1° di altezza dall'orizzonte astronomico. Purtroppo la cometa non è stata avvistata causa nubi.

NEWS: Sostanzialmente da ieri sera (10/03/2013) la cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) è visibile dall’Italia. Purtroppo data la limitata altezza dall’orizzonte ovest e la relativamente bassa luminosità, la cometa è difficile da individuare ad occhio nudo. ASTROtrezzi ha provato a riprenderla da Inverigo (CO) con scarso successo. Infatti la velatura non ha permesso l’osservazione e quindi la ripresa della cometa. Da Brenna (CO), a pochi chilometri da Inverigo, la C/2011 L4 era visibile con  difficoltà solo attraverso piccoli telescopi rimanendo invisibile ad occhio nudo e persino attraverso binocoli. Questo probabilmente a causa delle velature presenti. Immagini della cometa ripresa da altri astrofili sono pubblicate su http://spaceweather.com/gallery/index.php?title=comet .

NEWS: Le comete hanno mostrato ancora la loro “imprevedibilità”. Dopo le prime stime di magnitudo che davano la C/2011 L4 a – 4, successivamente corrette a +1 e quindi sino a +4 secondo le previsioni più pessimistiche oggi possiamo dire che la cometa sta puntando a magnitudini prossime allo zero (come calcolato sin dall’inizio del Minor Planet Center). La curva di luminosità ha infatti cambiato di nuovo pendenza, incrementando di molto la luminosità della PANSTARRS. Peccato per la scarsa altezza della cometa dall’orizzonte ovest e le condizioni meteorologiche lombarde di questi giorni.

Le tre code distinte della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS)

NEWS: Prima osservazione della cometa PANSTARRS il giorno 14/03/2013 da Giussano (MB) e prima ripresa fotografica il giorno seguente da Inverigo (CO). L’immagine della cometa è visibile nella sezione Le immagini della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) riprese da ASTROtrezzi. Confermiamo che la cometa è praticamente visibile con notevole difficoltà ad occhio nudo solo quando questa si trova ormai bassissima sull’orizzonte ovest. Mostra invece una bella coda piuttosto aperta in un piccolo binocolo. La prima ripresa fotografica mostra una coda di ioni ed una di polveri di dimensioni superiore al mezzo grado e separate tra loro di un angolo pari a circa 6.4° (stime preliminari). Il moto proprio stimato per il giorno 15/03/2013 da ASTROtrezzi (preliminare anch’esso) è pari a 4.6 arcsec/min rispetto al valore teorico di 5.94 (Minor Planet Center). Il nucleo/chioma presenta una struttura sferica senza strutture di rilievo. Malgrado questo, l’astrofilo Peter Rosen ha ripreso il 15/03/2013 un punto luminoso vicino alla cometa PANSTARRS che farebbe pensare ad una possibile frammentazione parziale del nucleo. La notizia non è stata confermata e proveremo a confrontare quanto ottenuto con le nostre immagini riprese il medesimo giorno. La coda di polveri invece ha mostrato una forte emissione nel giallo (Sodio), come atteso dalle misure spettroscopiche effettuate agli inizi di Marzo dall’emisfero australe.

NEWS: Dall’analisi dell’immagine della cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) ripresa il 15/03/2013 da ASTROtrezzi presso Inverigo (CO) si evince la presenza di ben tre code distinte. La più brillante è la coda di polveri di tipo II (cioè coda di polveri poco curvata) che segue il nucleo cometario seguendo la traiettoria attuale della cometa, una seconda sempre composta da polveri, appena pronunciata ma molto aperta, di tipo III (cioè coda di polveri curvata) che tiene memoria dell’orbita cometaria ed infine una coda di tipo I (coda di ioni) opposta al Sole. Altre immagini disponibili in rete (http://spaceweather.com/gallery/indiv_upload.php?upload_id=79317) mostrano una seconda coda di tipo I inclinata rispetto alla prima di colore blu, per un totale di ben quattro code distinte. La coda blu è sicuramente composta da ioni di monossido di Carbonio CO+, mentre la composizione chimica della prima coda di ioni è oggetto di discussione. La coda di polveri è sostanzialmente composta da Sodio come mostrato da alcune analisi spettroscopiche a nostra disposizione. La coda di ioni potrebbe essere anch’essa composta da ioni di Sodio dato che non è visibile nel canale B di ripresa oppure da ioni di Ferro come da noi ipotizzato dato che la componente B della coda potrebbe essere coperta dal colore azzurro del cielo al tramonto. Infatti secondo una nostra analisi i canali R, G e B assumerebbero praticamente lo stesso valore di livello di luminosità dando quindi luogo ad una coda bianca, tipica dell’emissione del Ferro. Solo un cielo buio ci permetterà forse di risolvere l’arcano. Non ci resta quindi che aspettare l’allontanamento della cometa dal Sole.

NEWS: Karl Battams del Naval Research Lab, dopo aver visionato le immagini della cometa PANSTARRS riprese dalla sonda STEREO (http://www.youtube.com/watch?v=bHL7H1f5LOs) ha escluso (20/03/2013) la possibile frammentazione del nucleoosservata dall’astrofilo Peter Rosen.

Confronto tra le ultime due riprese della come PANSTARRS effettuate da ASTROtrezzi

NEWS: La cometa PANSTARRS si allontana ogni giorno di più dal Sole, aumentando la sua altezza dall’orizzonte e quindi permettendo la ripresa contemporanea delle stelle. Dalla costellazione dei Pesci e passata ora (21/03/2013) a quella di Andromeda. La luminosità si mantiene elevata e la coda di polveri si mostra ampia e ben sviluppata (dalle ultime riprese risulta superiore al grado). La coda di ioni CO+ è stata ripresa solo da pochissimi astrofili ed al momento è ancora nascosta tra le luci del tramonto. La seconda coda di ioni ripresa il 15/03/2013 non compare nella ripresa del 21/03/2013. Aspetteremo altre riprese per studiarne l’evoluzione. Malgrado la smentita del Naval Reaseatch Lab, alcuni astrofili dichiarano di aver visto e ripreso il distaccamento di alcuni frammenti del nucleo cometario (http://spaceweather.com/gallery/indiv_upload.php?upload_id=79776). Aspettiamo quindi notizie ufficiali.

C/2011 L4 (PAN-STARRS) - 13/04/2013

NEWS: La cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) sta lentamente spostandosi verso nord aumentando, seppur di poco, la propria altezza dall’orizzonte. Il 04 Aprile 2013 ( https://www.astrotrezzi.it/?page_id=2687 ) si è verificata la congiunzione con la galassia di Andromeda (M31), invisibile dalla Lombardia a causa delle condizione meteo. Una bellissima immagine dell’evento è riportata in http://spaceweather.com/gallery/indiv_upload.php?upload_id=80426 . Il giorno 03 Aprile 2013 si è comunque cercato di riprendere la coppia cometa – galassia di Andromeda, ma le nebbie serali e l’inquinamento luminoso non hanno permesso l’individuazione della cometa (e tanto meno della galassia). Purtroppo la scarsa altezza della cometa dall’orizzonte e le condizioni meteo di questo 2013 hanno ostacolato non poco la ripresa dell’astro chiomato. ASTROtrezzi manterrà in home page questa sezione fino al 31 Luglio 2013 quando la cometa PANSTARRS avrà raggiunto la luminosità della seconda grande cometa dell’anno: la cometa ISON. Dal 01 Agosto 2013 sarà lei a dominare la scena. Potrete comunque sempre accedere allo SPECIALE COMETA C/2011 L4 (PAN-STARRS) passando dalla pagina SPECIALE COMETE 2013.

NEWS: La cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) è ormai nella costellazione di Cassiopea divenendo così visibile sia dopo il tramonto del Sole che la mattina prima dell’alba. Il giorno 13 Aprile 2013 la cometa è stata osservata ad occhio nudo da ASTROtrezzi a Saint-Barthélemy – AO, Italia (Italy) quando la sua magnitudine è ormai al limite della visibilità essendo pari secondo le stime del Minor Planet Center a +6.0. In un binocolo la cometa appare comunque ancora molto bella e molto imponente. La coda non ha cambiato forma e la coda di ioni è praticamente scomparsa (sia quella di ioni CO+ che di Ferro/Sodio). Le ultime misure spettroscopiche vedono sparire la linea del Sodio. Come mai? Vedremo se future misure confermeranno il risultato ottenuto dagli spettroscopisti amatoriali.

Cometa C/2011 L4 (PANSTARRS) - 11/05/2013

 NEWS: La cometa PANSTARRS è sempre più lontana dalla Terra e oggi (24/05/2013) appare come un batuffolo di magnitudine + 9.0 (stime Minor Planet Center). La coda di ioni sembra ormai un lontano ricordo ed ora si registra un’ampia coda di polveri che termina con una lunga anti-coda. ASTROtrezzi ha ripreso la C/2011 L4 da Saint-Barthélemy come riportato a lato. Purtroppo l’immagine non è curata e quindi non è presente una pagina tecnica dedicata. Verso la fine del mese di Maggio la PANSTARRS passerà a pochi gradi dal Polo Celeste Nord, ma date le condizioni meteo e la Luna ormai Piena immagino che sarà difficile riprenderla.

NEWS: La C/2011 L4 è ormai una debole cometa di magnitudo intorno alla +10 localizzata tra la costellazione dell’Orsa Minore e quella del Drago. In questo ultimo periodo le condizioni meteo e la revisione della strumentazione astronomica di ASTROtrezzi non hanno permesso riprese della cometa. Malgrado questo, in prossimità del taglio orbitale avvenuto il 27 Maggio 2013 la cometa ha mostrato una delle più grandi anticode degli ultimi 35 anni estesa per più di 8 gradi (si legga ad esempio http://www.osservatoriosormano.it/newsdett/137/L%27altra-faccia-della-Cometa ). Ed è sempre la coda della PANSTARRS che apre questioni misteriose sulla natura stessa della cometa che potrebbe essere extra-solare. Infatti benché sia stata osservata la presenza di Sodio e Potassio neutro, manca completamente la linea del Litio. Un articolo dettagliato su quest’ultimo argomento è disponibile all’indirizzo http://www.coelum.com/news/comete-dell%E2%80%99altro-mondo . Aspettando la cometa ISON non ci rimane che salutare questa misteriosa cometa che, dopo averci fatto disperare tra le luci del tramonto e dell’alba con la sua luminosità si elevata ma mai abbastanza per distinguerla senza difficoltà tra le luci del crepuscolo, alla fine ci ha offerto uno spettacolo grandioso in termini di anti-coda .

NEWS:Siamo a Luglio 2013 e la cometa PAN-STARRS sta abbandonando per sempre il nostro Sistema Solare. La magnitudine è oggi (18/07/2013) stimata dal Minor Planet Center intorno alla +11.6; praticamente invisibile al telescopio e ripresa con difficoltà attraverso telescopi amatoriali. Settimana prossima ASTROtrezzi sostituirà in home page lo “SPECIALE COMETA C/2011 L4 (PAN-STARRS)” con lo “SPECIALE COMETA C/2012 S1 (ISON)”. Questa pagina non verrà più aggiornata ma rimarrà comunque visibile su www.astrotrezzi.it nella sezione “SPECIALE COMETE 2013”. Al termine di questo viaggio passato insieme alla C/2011 L4, dai primi giorni di “ricerca” tra le luci del giorno ad oggi tenue barlume luminoso nella profondità del Cosmo, possiamo dire che la PAN-STARRS è stata comunque una grande cometa.

C/2011 L4 (PAN-STARRS) - 05/07/2013

La sua coda “a ventaglio” e meglio ancora la sua anticoda ha dato uno spettacolo unico e mai visto. Inoltre è stato bellissimo osservarla ad occhio nudo non al tramonto (come atteso), ma poco prima dell’alba intorno alla metà di Aprile. Dopo la cometa Hale Bopp che tanto diede spettacolo nell’ormai lontano 1997, la PAN-STARRS è sicuramente una delle migliori comete visibili dal nostro emisfermo negli ultimi 16 anni. Questo sarà l’ultimo aggiornamento che riguarda questa cometa postato su ASTROtrezzi.it… quindi che dire se non un “Ciao PANNY” a questa grande cometa che piano piano si sta allontanando per sempre dal nostro Sistema Solare verso mete tanto distanti quanto ignote.

L'andamento della lumionsità della cometa C/2011 L4 in funzione del tempo. In nero è stato colorato il periodo in cui la cometa non sarà visibile dai cieli boreali. In rosso, verde e viola le luminosità medie dei pianeti Saturno, Urano e del pianeta nano Plutone. (Stime MPC aggiornate al 15/01/2013)

 

 




Orbita delle Comete

Come tutti i corpi del Sistema Solare, anche le comete seguono un cammino ben preciso noto generalmente con il termine di orbita. La forza di gravità permette, per un’interazione a due corpi (Sole – cometa), quattro tipi differenti di orbite: circolari, ellittiche, paraboliche ed iperboliche. Queste forme geometriche derivano dalla natura stessa della forza gravitazionale e matematicamente prendono il nome di coniche (perché si ottengono tagliando un cono con un piano). Un’orbita circolare è molto difficile da trovare in natura e la stessa Terra approssima tale orbita essendo in realtà un ellisse con eccentricità prossima a zero. Quindi, trascurando le orbite circolari, le comete manifestano tutte le altre tre possibili coniche. Nel caso di orbite ellittiche si parla di comete periodiche in quanto la cometa ritornerà nello stesso punto dell’orbita dopo un periodo di rivoluzione intorno al Sole, mentre nel caso di orbite paraboliche o iperboliche si parla di comete non periodiche o extrasolari, dato che tali comete non ripasseranno più nei pressi del Sole. Riassumendo quindi, a seconda della loro orbita, le comete vengono suddivise in:

  • Comete a corto periodo: con un periodo di rivoluzione massimo di 200 anni. La maggior parte di queste comete si muovono sul piano dell’eclittica (piano ideale dove ruotano tutti i pianeti del Sistema Solare) e nel senso di rivoluzione degli altri pianeti del Sistema Solare. La massima distanza dal Sole (afelio) varia da poco oltre l’orbita di Nettuno come la cometa di Halley a quella interna a Giove, come nel caso della cometa di Encke. Vengono così divise in due sottofamiglie a seconda del loro periodo di rivoluzione e quindi della loro distanza dal Sole:  famiglia cometaria di Giove ( minore di 20 anni) e famiglia cometaria di Halley ( maggiore di 20 anni e minore di 200 anni).
  • Comete a lungo periodo: hanno un periodo che varia da 200 a milioni di anni. Il limite superiore è dettato dalla precisione raggiunta nel determinare se una cometa ha un lunghissimo periodo o è di tipo non periodica. Arrivano da regioni esterne a Nettuno e il loro piano orbitale non coincide necessariamente con il piano dell’eclittica.
  • Comete non periodiche o extrasolari: comete che percorrono orbite paraboliche o iperboliche e che quindi abbandoneranno per sempre il Sistema Solare una volta passate nelle vicinanze del Sole.

A volte le comete che sfiorano la superficie solare durante il loro punto di minima distanza dal Sole (perielio) vengono dette comete sun-grazing.

ORIGINE E MORTE DELLE COMETE

Secondo le ipotesi attuali, le comete hanno origine nel disco diffuso e nelle nubi di Hills e Oort. A seguito di perturbazioni gravitazionali indotte dalla nostra galassia (la Via Lattea) o dal passaggio di stelle in prossimità del Sole, i corpi minori (nuclei cometari) delle nubi di Oort e Hills possono muoversi nella direzione del Sole dando così luogo alla formazione delle comete. A seconda della velocità della cometa, questa può assumere un orbita di tipo ellittico, parabolico o iperbolico. Nel primo caso darà luogo, come detto, a comete di tipo periodico mentre negli altri casi a comete extrasolari. Queste ultime dopo il primo ed ultimo passaggio intorno al Sole abbandoneranno per sempre il Sistema Solare.

Le comete periodiche invece cominceranno, come i pianeti, a ruotare intorno al Sole con orbite più o meno eccentriche. Dato che ad ogni passaggio ravvicinato con il Sole, una cometa perde parte dei materiali volatici che la formano, dopo un numero di rivoluzioni comprese tra 1000 e 100 mila questa si ritroverà praticamente svuotata. Il nucleo di tali comete, costituito unicamente da materiali non volatili continuerà il suo moto disgregandosi lentamente nel tempo in piccoli frammenti.

Infine una cometa, durante il passaggio tra i pianeti del Sistema Solare, potrebbe schiantarsi su uno di questi. Nel caso di pianeti giganti (Giove in primis), oltre all’impatto è possibile anche la frammentazione ad opera dei forti effetti gravitazionali indotti da questi pianeti.




La fascia di Kuiper e la nube di Oort

LA FASCIA DI KUIPER

Oltre Nettuno, nello spazio più profondo del Sistema Solare, si trovano dei corpi minori di cui il più famoso è l’ormai ex-pianeta Plutone. Originariamente si pensò a Plutone come all’ultimo pianeta del Sistema Solare, eppure molti altri “pianeti” oggi noti come pianeti nani sono stati trovati proprio in questa regione che si estende tra 30 e 50 UA (Unità Astronomiche ovvero la distanza Terra – Sole pari a circa 150 milioni di chilometri). Il maggiore di questi oggi non è più Plutone, ma Eris scoperto nel 2005 da Michael Brown, Chad Trujillo e David Rabinowitz. Oltre ad Eris e Plutone oggi conosciamo più di 100000 corpi minori sopra i 100 km (Kuiper Belt Objects – KBO) e molti altri di dimensioni persino confrontabili alla Terra e Marte potrebbero venire scoperti nei prossimi anni. Misure spettroscopiche mostrano però differenze sostanziali tra questi KBO e gli asteroidi, rendendoli più simili a dei nuclei cometari.

Questo indusse a pensare che la fascia di Kuiper fosse il bacino delle comete periodiche. Oggi sappiamo però che la fascia di Kuiper è formata da corpi minori che orbitano su orbite stabili e quindi generalmente non attraversano mai le regioni interne del Sistema Solare. Oltre la fascia di Kuiper però, fino a 100 UA, esiste una regione nota come il disco diffuso.  Questa è caratterizzata da corpi simili a i KBO (noti come Scattered Disk Objects – SDO) ma che, a differenza di questi, presentano orbite instabili. L’instabilità dell’orbita li porta spesso a “precipitare” nella direzione del Sole dando luogo alla formazione delle comete periodiche e dei centauri (asteroidi di tipo cometario con orbita compresa tra Giove e Nettuno).

Sia i KBO che i SDO sono diretti discendenti dei planetesimali che si sono accorpati nelle prime fasi di formazione del Sistema Solare, costituendo quelli che sono i pianeti attuali le cui orbite sono state modellate dalla presenza dei giganti gassosi, primo tra tutti Giove.

LA NUBE DI OORT

Oltre Nettuno, oltre la fascia di Kuiper e persino oltre il disco diffuso sono stati trovati ancora dei corpi minori detti detached objects. Al momento ufficialmente riconosciuti sono solo nove i detached objects di cui il principale è Sedna (scoperto nel 2003 dallo stesso team di ricercatori che due anni dopo scoprirono Eris) che raggiunge una distanza minima dal Sole pari a 76 UA ed una massima di ben 900 UA. Il suo diametro, compreso tra i 1200 ed i 1800 km è comparabile con quello degli altri pianeti nani, categoria che forse un giorno verrà associata anche a questo lontano corpo celeste.

Da 1000 a 2000 UA molto probabilmente non si trova nessun corpo celeste e questo rende l’estremo confine del Sistema Solare una regione buia ed estremamente vuota. Ma a partire da 2000 UA fino a 20000 UA (0.03 – 0.32 Anni Luce) ritroviamo una vasta popolazione di corpi minori che occupano una regione a ciambella intorno al Sole nota come nube di Hills. Tali oggetti celesti, probabilmente nuclei cometari di comete a lungo periodo, sono stimati essere decine o centinaia di migliaia di miliardi. Ma non è finita qui. All’esterno della nube di Hills si trova un’altra nube, questa volta di forma sferica, che si estende da 20000 UA a 50000 UA (0.32 – 0.79 Anni Luce) nota come nube di Oort. Anche questa è formata da corpi minori che però questa volta sono più diradati essendo in numero “solo” circa un migliaio di miliardi. Anche questi ovviamente si credono essere i nuclei di comete a lungo periodo.

Sia gli oggetti della nube di Hills sia quelli della nube di Oort si sono planetesimali formati all’inizio del Sistema Solare. Attuali ipotesi affermerebbero che la nube di Oort sia in realtà formata dagli oggetti “scappati” dalla nube di Hills e quindi si sarebbe formata successivamente a quest’ultima.




Il nome delle comete

La procedura utilizzata dalla comunità astronomica internazionale per denominare le comete venne formulata nel 1995 e applicata a tutte le comete, sia quelle scoperte dopo tale anno che quelle del passato.

I nomi delle comete iniziano pertanto con una lettera secondo il seguente schema:

  • C/ : cometa non periodica come la famosa cometa Hale-Bopp C/1995 O1.
  • P/ : cometa periodica. Un esempio è la cometa periodica Hug-Bell scoperta nel 1999 denominata P/1999 X1.
  • D/ : cometa periodica di cui non è possibile prevederne con precisione il ritorno, che non è stato riavvistato il ritorno o che è andata distrutta. Un esempio è la cometa Shoemaker-Levy 9 scoperta nel 1993 è schiantatasi su Giove nel 1994 denominata D/1993 F2.
  • X/ : cometa che non è possibile determinare se periodica o non periodica. Un esempio è la cometa X/1896 S1 della quale non si riuscì a misurarne con precisione i parametri orbitali.

A tale lettera va successivamente aggiunto l’anno della scoperta seguito, dopo uno spazio vuoto, da una lettera che indica il semi-mese di scoperta secondo lo schema:

  • A: 1-15 gennaio
  • B: 16-31 gennaio
  • C: 1-15 febbraio
  • D: 16-29 febbraio
  • E: 1-15 marzo
  • F: 16-31 marzo
  • G: 1-15 aprile
  • H: 16-30 aprile
  • J: 1-15 maggio
  • K: 16-31 maggio
  • L: 1-15 giugno
  • M: 16-30 giugno
  • N: 1-15 luglio
  • O: 16-31 luglio
  • P: 1-15 agosto
  • Q: 16-31 agosto
  • R: 1-15 settembre
  • S: 16-30 settembre
  • T: 1-15 ottobre
  • U: 16-31 ottobre
  • V: 1-15 novembre
  • W: 16-30 novembre
  • X: 1-15 dicembre
  • Y: 16-31 dicembre

A tale lettera va successivamente aggiunto un numero progressivo che tiene conto del numero di comete scoperte nel semi-mese considerato. Il suffisso -A, -B, … può essere aggiunto nel caso in cui la cometa si sia successivamente frammentata in più parti.

I cognomi degli scopritori, fino ad un massimo di tre, può essere aggiunto o prima del simbolo C/, D/ ed X/ o dopo il nome della cometa, tra parentesi tonde. Lo stesso vale nel caso in cui lo scopritore sia una all-sky survey come il Lincoln Near Earth Asteroid Research (LINEAR), il Near-Earth Asteroid Tracking Program (NEAT), il Catalina Sky Survey (CSS), il Lulin Sky Survey (Lulin), il Lowell Observatory Near-Earth Object-Search (LONEOS), il Siding Spring Survey (SSS), il Panoramic Survey Telescope And Rapid Response System (Pan-STARRS) ed l’International Scientific Optical Network (ISON)  oppure sonde spaziali come la Solar and Heliospheric Observatory (SOHO), la Solar Maximum Mission (SMM), la Solwind (SOLWIND) e la Solar TErrestrial RElations Observatory (STEREO) o ancora progetti di ricerca come il Spacewatch (Spacewatch). Se gli scopritori hanno lo stesso cognome, allora questo viene riportato una sola volta. Infine nel caso in cui un astronomo scopra più comete è possibile aggiungere un numero progressivo al cognome.

Solo per le comete periodiche è possibile utilizzare la nomenclatura per cui il numero progressivo di comete periodiche scoperte viene seguito dalla lettera P/ ed il cognome dello scopritore.

Esiste poi la possibilità che un corpo minore in realtà sia una cometa. In questo caso viene mantenuto il nome originale assegnato dal Minor Planet Center a cui viene aggiunto il prefisso C/ o P/. In questo ultimo caso può essere rinominato con la nomenclatura delle comete periodiche.




Coda Cometaria

La coda cometaria

Avvicinandosi al Sole, il nucleo cometario diviene sempre più attivo rilasciando nello spazio interplanetario polveri, ioni e gas. Questi rimangono nei pressi del nucleo finché la pressione esercitata dalla radiazione e dal vento solare non risulta sufficientemente forte per allontanarli. La chioma pertanto diviene sempre più allungata a mano a mano che la cometa si avvicina al sole e una nuova struttura diviene sempre più evidente: la coda cometaria. Questa, essendo naturale prolungamento della chioma, è costituita sostanzialmente dagli stessi composti volatili ovvero polveri, gas e ioni. Queste tre specie hanno però comportamenti molto differenti una volta rilasciati nel vuoto interplanetario. Polveri e gas infatti sono elettricamente neutri e quindi non vengono deviati dalla eventuale presenza di campi magnetici. Le polveri sono però più massive dei gas e pertanto risentono maggiormente della traiettoria del nucleo cometario e di effetti gravitazionali. I gas più leggeri vengono invece soffiati via dal vento solare e risentono meno di effetti gravitazionali. Lo stesso si può dire per gli ioni che però, essendo elettricamente carichi, sono influenzati da eventuali campi elettici e magnetici presenti. L’effetto complessivo è la separazione della coda cometaria in due componenti: una nota come coda di polveri e la seconda nota come coda di ioni (e gas).

CODA DI IONI (CODA DI TIPO I)

La componente ionica della code cometaria è costituita da molecole emesse dal nucleo e successivamente ionizzate dai raggi X e UV provenienti dal Sole. Questa, unita alla componente neutra gassosa, una volta colpita dalle particelle cariche del vento solare emette luce a lunghezza d’onda ben determinata (spettro di emissione) dove le linee più intense si trovano nella regione del blu. Il vento solare ricordiamo però essere un flusso continuo di particelle cariche emesse dal Sole. Questo tende, insieme alla radiazione solare, a ionizzare la chioma producendo un campo magnetico locale il quale non è stabile e può dare luogo a fenomeni di riconnessione magnetica. Tale fenomeno di riconnessione blocca, con un periodo pari ad una – due settimane, lo sviluppo della coda ionica per circa mezzora producendo così interruzioni noti come “tagli” della coda ionica.

CODA DI POLVERI (CODA DI TIPO II)

Durante i fenomeni di sublimazione superficiale del nucleo, viene emessa anche una componente non volatile costituita da polveri, sostanzialmente silicati. Una volta rilasciati nello spazio interplanetario queste si moveranno con velocità e direzione praticamente identiche a quelle del nucleo cometario. La radiazione solare spinge però tali polveri in direzione opposta a quella del Sole. Il risultato complessivo è una traiettoria ricurva che quindi va a separare di fatto la coda di polveri da quella di ioni che invece ha direzione sempre opposta al vento solare. La coda di polveri è di colore giallo dato che brilla di luce solare riflessa (spettro di assorbimento). Le particelle possono essere emesse in gruppo dalle zone attive del nucleo cometario, specialmente se questo passa molto vicino al Sole, e questo si riflette nella presenza di bande note come bande sincroniche nella coda di povere. Inoltre la distruzione di polveri e conseguente dispersioni nello spazio interplanetario possono dare luogo alla formazione di strie. La combinazione di questi fenomeni con la rotazione del nucleo cometario può produrre nelle code di polveri strutture anche complesse.

Vista da terra, la curvatura della coda di polveri può, per effetto prospettico, generare una coda opposta a quella reale. Tale coda viene chiamata anti-coda. Esiste la possibilità di anti-code reali, ovvero generati da intensi getti cometari in direzione opposta al vento solare, ma questi sono molto rari e difficilmente osservabili con strumentazioni amatoriali.




La Chioma Cometaria

Abbiamo visto come con l’avvicinarsi del nucleo cometario al Sole, le zone composte da materiali volatili cominciano ad attivarsi rilasciando nello spazio interplanetario gas e polveri. Questi vanno così a formare una tenue atmosfera, detta chioma, che può raggiungere dimensioni persino superiori ai 100’000 chilometri di diametro. La forma di quest’ultima dipende dalla natura dal materiale di cui il nucleo cometario è composto oltre che dalla dimensione delle polveri.

La chioma cometaria, aumenta al diminuire della distanza dal Sole fino a quando il vento solare non diviene così intenso da essere in grado di “soffiarla via” parzialmente alimentando quella che prendere il nome di coda cometaria. La stessa chioma modifica la sua forma assumendo esternamente quella di una goccia mentre internamente si può osservare la presenza di getti detti fontane.

Ci si potrebbe quindi chiedere quale è la distanza minima dal Sole necessaria affinché il nucleo cometario sia in grado di sviluppare una chioma. La risposta non è semplice dato che, ancora una volta, dipende dalla composizione chimico-fisica del nucleo. Infatti la chioma si sviluppa a seguito della sublimazione degli elementi volatili che avviene a temperature differenti a seconda del materiale considerato. Temperature differenti significano distanze differenti dal Sole, e questo spiega perché lo sviluppo della chioma varia da cometa a cometa. Possiamo comunque determinare un valore medio che si attesta intorno alle 3-4 UA (1 UA = 1 Unità Astronomica = Distanza Terra – Sole = 149’597’870.691 km). L’insieme della chioma e del nucleo cometario forma la testa della cometa.

Di tutti gli elementi e molecole emesse dal nucleo cometario il più leggero, l’Idrogeno, può allontanarsi nello spazio formando quello che prende il nome di nube d’Idrogeno, ovvero un alone esteso alcuni milioni di chilometri intorno al nucleo della cometa. L’Idrogeno che forma tale alone deriva dalla fotodissociazione dei vapori d’acqua ad opera dei raggi UV solari e pertanto lo sviluppo della nube d’Idrogeno avviene solo in determinate comete quando queste raggiungono la minima distanza dalla nostra stella. Purtroppo tale nube d’Idrogeno emette unicamente nell’UV e quindi non è visibile da Terra.

Se si include la nube d’Idrogeno le comete diventano gli oggetti più grandi dell’intero Sistema Solare.




Il Nucleo Cometario

Quando osserviamo o fotografiamo una cometa con strumenti amatoriali, l’unica parte che non riusciamo a scorgere a causa della luminosa chioma è il nucleo cometario. Questo ne rappresenta il vero cuore pulsante che le recenti sonde interplanetarie hanno mostrato essere costituito da un corpo solido molto scuro composto da un parte volatile (ghiacci di varia natura) ed una non volatile (polveri e rocce). Tra i ghiacci ricordiamo il ghiaccio d’acqua, che si trova spesso legato a sali mentre la parte non volatile dovrebbe essere costituita da composti chimici molto scuri a base di Carbonio, dato il basso albedo (riflessione dei raggi solari ad opera di un corpo celeste) del nucleo cometario che si attesta intorno al 4%.

Quando il Nucleo cometario si avvicina al Sole, allora la temperatura superficiale aumenta e le zone volatili cominciano a sublimare. Data la bassa densità del nucleo, inferiore persino a quella dell’acqua, e le sue dimensioni ridotte con diametri inferiori alla decina di chilometri, la velocità di fuga delle comete risulta molto bassa permettendo ai materiali volatili e alle polveri emesse con essi di abbandonare facilmente la superficie cometaria. Tali gas e polveri andranno poi a costruire quella che sarà la chioma.

I punti di sublimazione dei nuclei cometari sono detti zone attive e dai dati raccolti della sonda Giotto sulla cometa di Halley il materiale emesso, costituito per l’80% di composti dell’acqua, 10% di monossido di carbonio ed il 2%-3% di una miscela ammoniaca/metano, è pari a circa tre tonnellate al secondo.

Malgrado non ci siano ancora misure precise, oggi possiamo dire che le comete hanno un moto di rotazione piuttosto complesso dettato dalla struttura irregolare del nucleo nonché dalla distribuzione non omogenea delle zone attive. Dato che la crosta superficiale del nucleo non è uniforme e alcune regioni rimangono non attive finché non vengono riscaldate dalla radiazione solare, durante il moto di rotazione e di avvicinamento al Sole possono manifestarsi fenomeni noti come outburst. Questi sono dovuti all’attivazione di alcune zone superficiali con conseguente sublimazione ed emissione di materiali volatili. Ovviamente un outburst è un fenomeno nella cui apparizione gli astrofili spesso sperano. Infatti gli outburst comportano sempre un aumento di luminosità della cometa.

Raramente è possibile che outburst particolarmente esplosivi rendano instabile il nucleo portandolo persino alla disintegrazione. Questo processo è noto come breakup. Cause comuni di breakup sono invece il passaggio ravvicinato al Sole ed a pianeti giganti. Gli effetti gravitazionali indotti da questi corpi maggiori possono infatti portare alla frammentazione del fragile nucleo cometario, che presenta una consistenza simile alla neve pressata. Ovviamente  fenomeni di breakup sono drammatici dal punto di vista osservativo e fotografico perché riducono drasticamente la luminosità della cometa.

Immagini bellissime di nuclei cometari si possono trovare sui siti delle missioni spaziali Giotto, Deep Space 1, Stardust e Deep Impact . Per studiare più a fondo i nuclei cometari bisognerà però aspettare i risultati che fornirà la sonda ESA Rosetta, lanciata il 02 marzo 2004 e che raggiungerà la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko in gennaio 2014. Il lander Philae, trasportato dalla sonda, potrà così atterrare sul nucleo cometario (novembre 2014) e lì vi rimarrà vincolato al fine di studiarne la composizione chimica e fisica oltre alla sua attività.




Storia e Caratteristiche Fisiche delle Comete

Non c’è oggetto celeste visibile ad occhio nudo tanto affascinante e misterioso quanto le comete.

Stelle dotate di chioma (da cui l’etimologia del termine) che appaiono improvvisamente nel cielo seguendo traiettorie differenti da quelle seguite dagli altri corpi celesti erranti: i pianeti, il Sole e la Luna.

Sarà proprio per questo motivo che per secoli si credette che le comete fossero un fenomeno atmosferico e completamente distaccato dalla perfezione celeste. Basti pensare che bisogna aspettare l’avvento dell’astronomo Tycho Brahe (1546-1601) per provare sperimentalmente la vera natura cosmica delle comete.

Oggetti imprevedibili e disordinati e come tali ritenuti nel Medioevo portatrici di sventura; ma allo stesso tempo fenomeni affascinanti e grandiosi, tanto che a partire dal 1303 sarà proprio una cometa a diventare la “stella di Natale”. Quello è infatti l’anno in cui Giotto rappresentò per la prima volta una stella cometa sopra la capanna della Natività, forse colpito dal passaggio nel 1301 della cometa di Halley.

Ancora oggi, dopo migliaia di anni, le comete risultano enigmatiche: non tanto per la loro struttura fisica quanto per la loro origine, il loro destino e il legame che queste hanno con la presenza di vita nell’Universo.

Alla luce dei dati forniti dalle numerose sonde interplanetarie quali la Giotto, Vega1, Vega2, Deep Space 1, Stardust e Deep Impact; possiamo oggi descrivere le comete come “palle di neve sporca”, riprendendo così le parole originali dell’ideatore di tale ipotesi: l’astronomo statunitense Fred Lawrence Whipple (1906 – 2004). Secondo questo modello le comete o meglio i nuclei cometari sarebbero costituiti principalmente da ghiacci d’acqua e da altre sostanze mischiate a roccia e polveri. Sono proprio queste ultime a ricoprire la superficie delle comete rendendole tra gli oggetti più scuri del Sistema Solare. Infatti, l’albedo medio delle comete ovvero la capacità di riflettere i raggi solari, è solo il 4% rispetto ad esempio al 7% dell’asfalto!

Le varie parti che costituiscono una cometa. Il nucleo cometario non è visibile, coperto dalla luminosità della chioma.

La dimensione media del nucleo cometario è stimata essere intorno ai 16 chilometri anche se si conoscono comete con dimensioni ben superiori, fino a 40 chilometri.

Ma se le comete sono oggetti così scuri, perché appaiono luminose in cielo? La risposta è semplice. Quando una cometa si avvicina al Sole, la temperatura del nucleo cometario aumenta, e i ghiacci cominciano a sublimare. Tale gas va a formare un’atmosfera temporanea che prende il nome di chioma.

Lo sviluppo della chioma comincia quando la cometa si trova ad una distanza dal Sole inferiore ai 800 milioni di chilometri. La chioma può assumere anche dimensioni molto grandi fino ad oltre un milione di chilometri di diametro. È proprio la chioma a rendere la cometa così luminosa. Quando le comete sono lontane dal Sole allora la chioma cessa di esistere e la luminosità precipita drammaticamente rendendone difficile una loro individuazione. Questo spiega perché gli astronomi scoprono le comete solo a pochi anni dal loro incontro ravvicinato con il Sole.

Ma la nostra stella non è solo responsabile della chioma delle comete. I gas e polveri emessi dal nucleo e che formano la chioma cometaria, vengono colpite dal vento solare che le allontana dalla cometa formando quella che prende il nome di coda. La coda cometaria risulta quindi costituita da polveri che assumeranno una colorazione bianco-gialla dovuta alla riflessione dei raggi solari, e da gas che a seguito del processo di ionizzazione ad opera del vento solare, risulterà di colore azzurro. A seconda del punto di vista e della composizione del nucleo cometario, una cometa può presentare due code: quella di gas in direzione opposta al vento solare e quella di polveri, inclinata lungo la direzione orbitale.

La dimensione della coda cometaria è variabile e può raggiungere persino 1 UA ovvero 150 milioni di chilometri.




L’Universo a portata di mano

13.75 miliardi di anni fa, tutto lo spazio che oggi possiamo “osservare” con i nostri telescopi aveva dimensioni infinitesime, ben più piccole di un atomo. In questo microcosmo era concentrata tutta la materia (energia) che oggi ritroviamo nell’Universo sotto forma di pianeti, stelle e galassie.

Non ha senso quindi parlare di cosa ci fosse prima od oltre l’Universo dato che il tempo e lo spazio nacquero proprio in quell’istante, noto come Big Bang.

In realtà Big Bang è una parola fuorviante, dato che 13.75 miliardi di anni fa NON esplose proprio nulla. Semplicemente lo spazio (tempo) iniziò a dilatarsi; un processo tuttora in atto.

Molta materia in poco spazio si traduce in urti violenti e quindi altissime temperature. Sono proprio questi urti che nei primi istanti dopo il Big Bang hanno dato luogo alla produzione di tutte le particelle elementari che oggi vengono ricreate, dopo quasi 14 miliardi di anni, nei grandi acceleratori quali, ad esempio, LHC al CERN di Ginevra.

Dopo un minuto dal Big Bang la temperatura ha cominciato ad abbassarsi permettendo la fusione nucleare tra le particelle sopravvissute alle prime fasi turbolenti di vita dell’Universo: protoni e neutroni. In circa 20 minuti vennero sintetizzati i primi elementi chimici presenti nel cosmo: Idrogeno, Elio, Litio e Berillio. Dopo 20 minuti l’espansione fece si che gli spazi divennero sufficientemente grandi da abbassare la temperatura dell’Universo fino alla soglia necessaria per innescare la fusione nucleare. La grande fornace cosmica così si fermò e per 400 mila anni l’Universo cominciò a brillare di luce come un Ferro rovente appena uscito da un forno, senza però produrre nessun nuovo elemento chimico.

Questa fase di “Universo luminoso” finì dopo 379 mila anni quando lo spazio, sempre più grande, permise agli elettroni di legarsi ai nuclei sintetizzati nei primi 20 minuti di vita dell’Universo. Si passa così dal plasma all’atomo: il cosmo cade nell’oscurità; un’oscurità che durerà circa 400 milioni di anni, periodo in cui l’Universo rimase uno spazio buio, senza stelle, riempito da immense nube di Idrogeno ed Elio.

M42 - Nebulosa di Orione

Per motivi ancora non del tutto chiari, queste nubi ad un certo punto cominciarono ad addensarsi, così come fanno le nuvole in un cielo sereno. Al loro interno si formarono delle piccole “gocce”, ovvero dei punti dove i gas cominciarono ad addensarsi maggiormente. Compressi dalla forza di gravità, in poco tempo i gas si portarono a temperature di qualche milione di gradi innescando nuovamente la fusione nucleare. Dopo 400 milioni di anni, al centro di quegli ammassi condensati, l’Universo ricominciò a sintetizzare gli elementi chimici.

Il processo di fusione nucleare libera energia sotto forma di radiazione la quale, passando attraverso il gas compresso dalla gravità, diviene luce. Il gas così si “accende” mantenendosi in un fragile equilibrio: nascono le stelle.

Oggi possiamo vedere in diretta il processo di formazione stellare osservando in dettaglio il centro della nebulosa di Orione (M42) come mostrato recentemente dall’Hubble Space Telescope. Un processo iniziato circa 13 miliardi di anni fa e tuttora in atto.

Una volta nate, le stelle continueranno nel loro centro a dar luogo alla fusione sintetizzando, passo dopo passo, tutti gli elementi chimici presenti nella tavola periodica fino al Ferro.

Tutte le stelle che osserviamo nel cielo si trovano in questo stato. Una volta giunte alla fine della loro vita (ovvero sintetizzato l’elemento più pesante permesso), queste possono o spegnersi dolcemente rilasciando nello spazio il gas che le costituisce oppure esplodere violentemente dando luogo a quei fenomeni noti come esplosioni di supernova. Nel primo caso, l’oggetto che possiamo osservare con i nostri telescopi è un ammasso di gas sferico con al centro quel che rimane del nucleo stellare (nana bianca). Questo tipo di nebulosa è detta nebulosa planetaria.

M27 - Esempio di nebulosa planetaria

L’aggettivo “planetario” è fuorviante, dato che queste nebulose non hanno nulla a che fare con i pianeti. L’origine del nome è da ricercarsi nella difficoltà che i primi astronomi trovarono nel risolvere questi oggetti che apparivano, ai loro telescopi, come dei dischi luminosi immersi nell’oscurità del cielo; dischi del tutto simili a quelli planetari.

Le esplosioni di supernova generano invece nebulose più irregolari. Gran parte delle nebulose ad emissione e oscure hanno avuto origine da un’esplosione di supernova. La stessa nebulosa granchio o M1, nella costellazione del Toro, è il resto di una stella esplosa nel 1054.

Durante un’esplosione di supernova vengono rilasciati nello spazio interstellare tutti gli elementi sintetizzati all’interno della stella e quindi tutti gli elementi chimici dall’Idrogeno al Ferro. Gli altri elementi pesanti, come ad esempio l’Uranio, verranno invece prodotti durante l’esplosione stessa.

Questo gas “sporco” va così a contaminare l’Universo. Stelle che nasceranno dalla contrazione di questo gas partiranno con degli elementi pesanti al loro interno oltre ai sempre abbondanti Idrogeno ed Elio. Tali stelle prendono il nome di stelle di “seconda” generazione. Una stella di questo tipo è ad esempio il nostro Sole. Nel Sole infatti troviamo tracce di elementi pesanti, tra cui il Ferro, necessariamente sintetizzati in passato nel cuore di una stella (più massiva) poi esplosa.

M33 - Esempio di galassia a spirale


Tornando alla storia dell’Universo abbiamo visto come, dopo 400 milioni di anni, all’interno di enormi nubi di gas hanno cominciato ad accendersi le prime stelle. L’insieme di tutte le stelle di una “nube primordiale” è detto galassia. All’interno di ciascuna galassia le stelle possono poi nascere in piccoli aggruppamenti noti come ammassi aperti. Un esempio di ammasso aperto sono le Pleiadi o M45 nella costellazione del Toro, nate da un’unica nebulosa circa 100 milioni di anni fa.

Tra le tante “nubi primordiali” una ha cominciato a originare le prime stelle circa 1 miliardo di anni dopo il Big Bang: si tratta della Via Lattea, la galassia di cui il Sole è una delle 300 miliardi di stelle che oggi la compongono. Se guardate il cielo estivo (ma anche autunnale o invernale) vi accorgerete che questo è attraversato da una grande striscia bianca: la Via Lattea appunto. Se la ingrandite con un binocolo vi accorgerete che questa è composta da tantissime stelle.

La Via Lattea non è nient’altro che una galassia “vista dall’interno”.

M13 – Esempio di ammasso globulare

Intorno alle galassie abbiamo spesso anche la condensazione contemporanea di altre piccole nube di gas che danno luogo a quegli ammassi noti come ammassi globulari.

M45 - ammasso aperto delle Pleiadi

Malgrado è usanza parlare in generale di ammassi stellari, bisogna notare che mentre quelli aperti si trovano dentro le galassie quelli globulari sono di natura extra-galattica. Esempio di ammasso globulare è il grande ammasso dell’Ercole o M13 nella costellazione omonima.

Ma quante sono le galassie nell’Universo? Ad oggi conosciamo qualcosa come 100 miliardi di galassie che si muovono nello spazio (sempre più grande a seguito dell’espansione) obbedendo praticamente alla sola forza di gravità. Questa a volte spinge le galassie le une contro le altre dando luogo a veri e propri scontri galattici.

Per comprendere le distanze e le dimensioni di tutti questi oggetti cosmici che abbiamo fin qui descritto ne riportiamo alcuni esempi.

  • Diametro della Terra: 12’700 km
  • Diametro della Luna: 3’500 km
  • Diametro del Sole: 1’400’000 km
  • Dimensione delle stelle più grandi: 1’960’000’000 km
  • Distanza Sole – Plutone: 7’300’000’000 km
  • Distanza Sole – Proxima Centauri (stella più vicina): 39’700’000’000’000 km = 4.2 ly (anni luce)
  • Distanza Sole – M42: 1’344 ly
  • Diametro Via Lattea: 100’000 ly
  • Distanza Sole – M13: 22’000 ly
  • Distanza Sole – Galassia di Andromeda (galassia più vicina): 2’540’000 ly
  • Distanza Sole – galassia più distante: 13’200’000’000 ly

Vediamo ora cosa è successo 4.568 miliardi di anni fa, quando da una nebulosa della Via Lattea, nacque il Sole. Per 10 milioni di anni intorno al Sole è stata presente una nube di gas e polveri che piano piano hanno cominciato a condensare formando corpi minori molto simili a piccoli asteroidi. Questi hanno cominciato a collidere gli uni contro gli altri per 100 milioni di anni, formando a mano a mano corpi di dimensioni sempre maggiori. Al termine di questo processo vennero a costituirsi otto pianeti: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

Il pianeta Giove

Quelli più esterni riuscirono inoltre a raccogliere intorno a se il gas presente, andando ad aumentare sempre più il loro volume. Oggi Giove, Saturno, Urano e Nettuno sono infatti dotati di atmosfere molto estese tanto da dare loro il nome di pianeti gassosi.

Ancor oggi è rimasto qualcosa di quell’insieme di piccoli corpuscoli primordiali: sono gli Asteroidi e i corpi minori della fascia di Kuiper e della nube di Oort.

Dal 24 Agosto 2006 esiste infine una nuova classificazione dei corpi celesti del Sistema Solare. In particolare esistono corpi che sono dei “pianeti” mancati, ovvero oggetti troppo piccoli per essere chiamati pianeti ma troppo grandi e regolari per essere chiamati asteroidi o corpi minori. Tali pianeti mancati prendono il nome di pianeti nani. Ad oggi (2012) i pianeti nani del Sistema Solare sono cinque: Cerere, Plutone, Eris, Makemake e Haumea. Plutone che prima del 2006 era catalogato come pianeta è quindi stato “declassato” al titolo di pianeta nano.

Nella lontana nube di Oort si trovano invece le comete. Ovvero corpuscoli primordiali delle dimensioni variabili da 100 m a diverse decine di chilometri, costituiti prevalentemente da ghiaccio. Questi oggetti, perturbati dalle loro orbite possono cadere verso il Sole. In prossimità della nostra stella il ghiaccio comincia a sublimare lasciando dietro al corpo la nota coda. Sono le comete, che in modo più o meno prevedibile attraversano i nostri cieli notturni. La zona luminosa, costituita dal corpo in sublimazione, è nota come chioma.

La cometa Garradd

Il Sistema Solare è l’unico sistema planetario della Via Lattea? Se si ipotizza che il Sole è una delle tante stelle che costituiscono la nostra galassia, allora è ovvio che il Sistema Solare è solo uno dei tanti. Fino a pochi anni fa questa era però solo una speculazione filosofica. Oggi, grazie alle più recenti tecniche astronomiche è stato possibile “vedere” per la prima volta pianeti che ruotano intorno ad altre stelle. Ad oggi sono stati osservati più di 1000 pianeti detti esopianeti, di cui 8 di dimensioni (e posizioni) simili alla Terra ed altri 8 leggermente più grandi. Se questo fosse generalizzabile a tutta la Via Lattea, avremmo ben 48’000’000 di pianeti simili alla Terra solo nella nostra galassia!

In questo post sono stati riportati solo i concetti base utili al neofita per un’osservazione consapevole dell’Universo attraverso il proprio telescopio. Informazioni più dettagliate le trovate in rete o tra poco anche su ASTROtrezzi.it, sezione ASTROnomia. Non vi resta che augurarvi una buona osservazione e cieli sereni!




Come individuare la stella Polare

INTRODUZIONE
La stella Polare gioca un ruolo importantissimo per gli osservatori dell’emisfero Boreale. Infatti a differenza di tutte le altre stelle questa si trova molto vicino al polo celeste nord apparendo quindi “immobile” durante il passare delle ore e delle stagioni. Su un breve periodo di tempo però diviene impossibile accorgersi della rotazione terrestre e quindi del movimento relativo delle stelle sulla sfera celeste. Questa condizione fa si che un osservatore non riesce a distinguere la stella Polare dalle altre stelle a partire dal loro moto. Inoltre la stella Polare NON è la stella più luminosa del cielo. È necessario quindi trovare un metodo per identificare questo astro così importante dalla miriade di stelle che ricoprono la volta celeste.

ORSA MAGGIORE E CASSIOPEA
Consigliamo di imparare a distinguere la stella Polare dalle altre stelle in una qualunque notte dell’anno escluso il periodo compreso tra settembre e dicembre. Questo perché in tale periodo una importante costellazione, l’Orsa o Carro Maggiore, apparirà bassa sull’orizzonte nord e quindi potrà essere facilmente nascosta alla nostra vista da palazzi, colline, alberi o montagne.
L’Orsa Maggiore è forse la costellazione più conosciuta. La sua forma di carro gli ha attribuito il “secondo nome” di Carro Maggiore. Per i pochi che non l’avessero mai vista ne riportiamo il disegno in figura a.

Figura a: Costellazione dell’Orsa Maggiore. In rosso la freccia che indica la direzione da seguire per trovare la stella Polare (vedi testo). - Stellarium.org tutti i diritti sono riservati

Le stelle e quindi le costellazioni cambiano la loro posizione rispetto all’orizzonte durante la notte e durante le stagioni e quindi la stessa immagine dell’Orsa Maggiore può trovarsi ruotata rispetto a quella riportata in figura a.
Nel caso non trovaste questa importante costellazione fatevi aiutare o da un simulatore del cielo notturno come Stellarium (www.stellarium.org) oppure contattate l’associazione di astrofili più vicina a casa vostra.
Identificata l’Orsa Maggiore andiamo a cercare le due stelle Dubhe e Merak e creiamo una linea immaginaria che passa tra queste. Ora muoviamoci su questa linea nella direzione indicata dalla freccia identificata dalle stelle Alioth, Mizar e Alkaid. La prima stella luminosa che troveremo è la stella Polare (figura b).

Figura b: come raggiungere la stella Polare partendo dalle costellazioni dell’Orsa Maggiore (destra) e Cassiopea (sinistra). In rosso sono indicate le “frecce” che conducono nella direzione del polo celeste. - Stellarium.org tutti i diritti sono riservati

Ma cosa facciamo se l’Orsa Maggiore è bassa sull’orizzonte ed è quindi nascosta alla nostra vista? Ci viene in aiuto un’altra costellazione: Cassiopea. Questa ha una caratteristica forma a W o a M a seconda della stagione. Il disegno è riportato in figura c. Trovata Cassiopea, bisognerà muovere lo sguardo nella direzione indicata dalla freccia identificata dalle stelle Ruchbah, γ Cas e Shedir. In un cielo sufficientemente inquinato, la prima stella luminosa sarà la stella Polare. In figura b oltre all’Orsa Maggiore è ben visibile anche la costellazione di Cassiopea.

Figura c: Costellazione di Cassiopea. In rosso la freccia che indica la direzione da seguire per trovare la stella Polare (vedi testo). - Stellarium.org tutti i diritti sono riservati

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




La scala Antoniadi

Può un astrofilo essere soddisfatto di un cielo di classe 1 della scala di Bortle ovvero buio quasi quanto lo spazio interstellare? Ovvio che no! Infatti le condizioni meteorologiche e dello strumento attraverso cui si sta osservando il cielo possono deteriorare anche in modo sostanziale la qualità delle immagini. Se però nel secondo caso possiamo rimediare riducendo gli ingrandimenti al minimo necessario e cercando di evitare flussi di aria calda nelle vicinanze dello strumento, per quanto concerne le condizioni meteorologiche poco possiamo fare.
A questo punto un astrofilo deve decidere se avere cieli bui oppure cieli poco umidi e non turbolenti. Anche un compromesso è spesso possibile. Alla luce di questo diventa evidente che un astrofilo deve scegliere in modo oculato il proprio luogo osservativo in funzione di ciò che vuole osservare e/o fotografare. Se si vuole dettaglio per osservare o riprendere pianeti, Luna o Sole allora non deve richiedere cieli bui ma piuttosto con calma atmosferica. Se si vuole osservare il cielo con un binocolo o riprendere zone vaste di cielo allora la richiesta fondamentale è un cielo buio con basso inquinamento luminoso, indipendentemente dalla turbolenza atmosferica. Infine se si vuole riprendere o osservare galassie, nebulose o ammassi globulari bisognerà cercare un buon compromesso tra bassa turbolenza e cielo buio.
Così come la scala di Bortle ci permette di classificare quanto un cielo è buio, la scala di Antoniadi ci permette di classificare quanto un cielo è buono in termini di qualità dell’immagine osservata. Nella scala di Antoniadi sono quindi inclusi fenomeni come turbolenza atmosferica, umidità e condizioni dello strumento ovvero quelli che prendono in gergo il nome “seeing”. Definire la qualità dell’immagine è però difficile dal punto di vista oggettivo, soprattutto data la strumentazione a disposizione degli astrofili (spesso solo gli occhi). Per questo motivo la scala Antoniadi risulta spesso qualitativa e molto approssimata. Un tentativo di “oggettivazione” è stato fatto da William H. Pickering basandosi sugli anelli di diffrazione delle stelle, ma data la difficoltà nell’osservare questi ultimi, la scala omonima ha avuto scarso successo nel mondo dell’astronomia amatoriale.
La scala di Antoniadi, che prende il nome dall’astronomo greco Eugène Michel Antoniadi (1870 – 1944), è costituita da 5 livelli basati sul modo in cui viene osservata un’immagine planetaria o stellare:

  • Livello I : visibilità perfetta, assenza di qualsiasi scintillio.
  • Livello II : leggeri tremolii con momenti di calma che durano anche alcuni secondi.
  • Livello III : visibilità moderata con ampi tremolii che sfocano l’immagine.
  • Livello IV : immagine non buona, soggetta a turbolenza continua con ondulazioni dell’immagine.
  • Livello V : immagine pessima, che a stento permette di realizzare uno schizzo dell’oggetto.
La scala Antoniadi è espressa in numeri romani anche se spesso è possibile trovarla indicata in numeri arabi. A differenza della scala di Bortle, dove si può stimare la magnitudine osservata (per esempio con stellarium), non esiste un metodo oggettivo per determinare la scala Antoniadi.
Una vota che gli strumenti sono messi nelle condizioni ideali per osservare il cielo, il seeing viene a dipendere unicamente dalle condizioni atmosferiche. Proprio per questo motivo è possibile realizzare delle “previsioni del seeing” analogamente a quanto già avviene per le previsioni del tempo. Questo servizio è offerto dal sito internet meteoblue (www.meteoblue.com). Una volta cercata una località vicino al luogo di osservazione, si clicca sul giorno interessato e dalla scheda seeing_5d è possibile avere le previsioni orarie del seeing. Il valore del seeing lo si trova alla voce “Seeing Index 2” ed è misurato in scala Antoniadi inversa, ovvero 1 è Livello V e 5 è Livello I. Index 1 o Index 2 fa riferimento al modello di previsione del seeing di cui il secondo da maggior peso alla fluttuazione di densità atmosferica e quindi più adatto per indicare l’effetto della turbolenza sulla qualità dell’immagine.

Non mi resta quindi che augurarvi buona osservazione e un cielo di classe 1 di Bortle e livello I di Antoniadi.




La scala di Bortle

Forse non tutti gli astrofili avranno visto NGC3108 ma sicuramente un bel cielo inquinato dalle luci cittadine è un’esperienza che nessun amante del cielo ha potuto evitare. Soprattutto noi italiani siamo costretti a vivere a stretto contatto con cieli ogni anno più arancioni e sempre più poveri di stelle. Ma come fare a quantificare la salute del nostro cielo notturno? La rivista Sky&Telescope, nel febbraio 2001 ha pubblicato una scala, ideata dall’astrofilo statunitense John E. Bortle, che da allora è diventata un riferimento per tutto il panorama dell’astrofilia mondiale. Questa è divisa in nove classi che vanno da un minimo di 1, identificata con il colore nero ed indica cieli bui, ad un massimo di 9, identificata con il colore bianco ed indica cieli molto inquinati. Di seguito riportiamo in dettaglio il significato delle singole classi (tratto dall’articolo di Sky&Telescope, febbraio 2001):


Classe 1 (cielo molto scuro), nero : Visibile la luce zodiacale, gengenschein e banda zodiacale tutte visibili ad occhio nudo. La luce zodiacale appare molto luminosa e la banda zodiacale copre l’intera volta celeste. La galassia M33 è facilmente visibile ad occhio nudo. Le nubi dello Scorpione e del Sagittario generano ombre diffuse sul terreno. Ad occhio nudo la magnitudine limite è 7.6 – 8.0 (a fatica), la presenza di Giove o Venere nel cielo sembra diminuire l’adattamento dell’occhio al buio. Visibile l’airglow (debole ma evidente soprattutto nei primi 15° dall’orizzonte). Con un telescopio da 32 cm di diametro si possono vedere a fatica stelle fino alla magnitudine 17.5, mentre con un 50 cm si raggiunge magnitudo 19. Se si sta osservando da un prato circondato da alberi, il vostro telescopio, i vostri amici ed il vostro veicolo sono quasi del tutto invisibili. Questo è quanto di meglio un astrofilo possa provare nella sua vita.

 

Classe 2 (cielo buio), grigio : Vicino all’orizzonte è possibile vedere l’airglow, M33 è facilmente visibile ad occhio nudo. La Via Lattea estiva appare ben strutturata anche ad occhio nudo, ed alcune delle sue parti più brillanti appaiono come marmo venato osservate attraverso un binocolo ordinario. La luce zodiacale è brillante e genera deboli ombre sul terreno poco prima dell’alba o subito dopo il tramonto ed il suo colore appare giallastro rispetto a quello biancastro della Via Lattea. Qualsiasi nube in cielo è visibile come uno spazio nero sovrapposto ad uno sfondo stellato. Il telescopio ed i suoi dintorni sono visibili con difficoltà tranne quando sono proiettati verso il cielo. Molti degli ammassi globulari del catalogo Messier sono visibili ad occhio nudo. Ad occhio nudo si osserva sino a magnitudine 7.1 – 7.5 mentre con un telescopio da 32 cm di diametro si può raggiungere magnitudo 16.0 o 17.0.


Classe 3 (cielo rurale), blu : Si osserva un leggero inquinamento luminoso all’orizzonte. Le nubi possono apparire debolmente illuminate se basse sull’orizzonte, anche se globalmente appaiono scure. È ben visibile la complessità della Via Lattea così come gli ammassi globulari (M4, M5, M15, M22). M33 è visibile con il metodo dell’osservazione distorta. La luce zodiacale è visibile in primavera ed autunno quando si estende per 60° sopra l’orizzonte dopo il tramonto o prima dell’alba. Il colore della luce zodiacale è appena percettibile. Il telescopio è appena visibile da una distanza di 6 – 9 metri da voi. Ad occhio nudo la magnitudine limite è 6.6 – 7.0 e con un riflettore da 32 cm di diametro si può raggiungere magnitudo 16.0 .


Classe 4 (cielo rurale / periferia), verde/giallo : presenza di luce diffusa e aloni luminosi intorno ai centri cittadini. La luce zodiacale è visibile ma non si alza molto sopra l’orizzonte al crepuscolo. La Via Lattea è ancora ben visibile ma perde parte delle sue strutture. M33 è difficilmente visibile se non quando la sua altezza dall’orizzonte è superiore ai 50°. Le nubi basse sull’orizzonte sono illuminate da sotto. È possibile osservare il nostro telescopio anche a notevole distanza. La massima magnitudine visibile ad occhio nudo è 6.1 – 6.5, mentre con un riflettore da 32 cm di diametro si può raggiungere magnitudo 15.5.


Classe 5 (cielo di periferia), arancio : luce zodiacale appena accennata e visibile raramente nelle notti d’autunno. La Via Lattea è molto debole e a volte invisibile all’orizzonte. Le fonti di luce sono visibili nella maggior parte se non in tutte le direzioni. Le nuvole in qualunque posizione sono illuminate e appaiono più chiare del cielo stellato. La magnitudine limite è circa 5.6 – 6.0 mentre con un riflettore da 32 cm di diametro si può raggiungere magnitudo 14.5 – 15.0.


Classe 6 (cielo luminoso di periferia), rosso : la luce zodiacale non è visibile neppure nelle notte migliori. La Via Lattea è visibile a tracce in direzione dello zenit. Il cielo entro un altezza di 35° è illuminato di colore bianco – grigiastro. Le nubi presenti appaiono luminose. Non avete difficoltà a trovare oculari e accessori del vostro telescopio posti sull’apposito sostegno. M33 non è visibile se non attraverso un binocolo ed M31 è appena visibile ad occhio nudo. La massima magnitudine visibile ad occhio nudo è 5.5 e con un telescopio da 32 cm di diametro si può raggiungere magnitudo 14.0 – 14.5


Classe 7 (periferia / città), rosso : tutta la volta celeste ha un colore bianco – grigiastro. Sorgenti di inquinamento luminoso sono visibili in tutte le direzioni. La Via Lattea è totalmente invisibile o quasi, M44 o M31 possono essere scorte a fatica ad occhio nudo. Le nubi presenti sono molto illuminate. Anche con telescopi di dimensioni moderate gli oggetti del catalogo Messier appaiono deboli e spesso risulta difficoltoso capirne la natura. Ad occhi nudo la magnitudine limite è 5.0 mentre un riflettore da 32 cm a malapena raggiunge la magnitudine 14.


Classe 8 (città), bianco : il cielo è completamente di colore bianco – grigiastro e senza difficoltà è possibile leggere i titoli dei giornali. M31 e M44 possono essere appena intraviste da un osservatore esperto nelle notte migliori e con un telescopio modesto è possibile osservare solo gli oggetti più luminosi del catalogo Messier. Alcune stelle delle costellazioni più note sono debolmente visibili o addirittura invisibili. Ad occhio nudo è possibile individuare, in condizioni ideali, solo stelle tuttalpiù di magnitudine 4.5. Il limite per un riflettore da 32 cm si abbassa a poco più di magnitudine 13.0 .


Classe 9 (centro città), bianco : Tutta la volta celeste è illuminata a giorno, anche allo zenit. Molte stelle delle costellazioni più famigliari sono invisibili e costellazioni come il cancro e i pesci non si vedono affatto. A parte, forse, le Pleiadi, non è possibile osservare nessun oggetto del catalogo Messier ad occhio nudo. Gli unici oggetti piacevolmente osservabili attraverso un telescopio sono la Luna, i pianeti, ed alcuni dei gruppi più luminosi di stelle (se si riescono a trovare). Ad occhio numero la magnitudine scende a 4.0 o inferiore.


Come è visibile dalla mappa del Nord Italia riportata qui sotto (fonte http://www.inquinamentoluminoso.it/), noi astrofili lombardi dovremo accontentarci di una magnitudine visuale pari a 4.75 – 5.25 (giallo, azzurro) ovvero massimo classe 6.0. La classe 5 in Lombardia è quindi ormai un sogno.

inquinamento luminoso - nord Italia

 Però queste mappe sono delle indicazioni teoriche. Infatti un astrofilo con un minimo di esperienza avrà sicuramente notato come l’inquinamento luminoso dipenda anche dalle condizioni atmosferiche (nebbie, …). Ecco quindi l’importanza della scala di Bortle che ci da indicazioni non teoriche ma empiriche della bontà del nostro cielo. Purtroppo però la descrizione data da J. Bortle è molto approssimata e l’unico vincolo oggettivo risulta essere la magnitudine visuale ad occhio nudo e/o al telescopio. Determinare però variazioni di magnitudine pari a 0.5 ad occhio nudo è molto difficile. Come fare allora?

Per fortuna viene in nostro aiuto un software potentissimo, gratuito e multi piattaforma (funziona su Linux, Windows e MacOS): Stellarium.

Installare stellarium è facilissimo, basta scaricare l’eseguibile dal sito http://www.stellarium.org/it/ cliccarvi sopra e seguire le istruzioni. Una volta installato cliccate sull’icona del programma in modo da aprire il planetario virtuale. A questo punto vi si apre un mondo nuovo in cui potrete simulare il cielo giorno per giorno, ora per ora, secondo per secondo da qualsiasi punto della Terra e da altri pianeti del Sistema Solare.

Per quanto concerne il nostro problema settate stellarium in modo da simulare in tempo reale il cielo che state osservando. A questo punto spostate il mouse a sinistra; vi appariranno una serie di icone. Cliccate su “Finestra delle opzioni del cielo e della visualizzazione” oppure semplicemente premete il tasto F4. Si aprirà una finestra di dialogo. Nella sezione “Atmosfera” del tab “Cielo” troverete la voce “Inquinamento luminoso”. Modificate il numero a lato in modo che il cielo simulato sia il più verosimile possibile a quello che state osservando. Quel numero è la classe della scala di Bortle.

Per gli abitanti del Nord Italia l’inquinamento luminoso è spesso anisotropo e concentrato soprattutto nella direzione dei grandi centri urbani (Milano e hinterland, Torino, …). Per questo è consigliabile stimare la scala di Bortle ai quattro punti cardinali e farne poi una media oppure, nel caso dell’astrofotografia, stimare la scala di Bortle nei dintorni dell’oggetto ripreso.