1

Scegliere la propria strumentazione astrofotografica

Muoversi nel mercato dell’astronomia ed in particolare in quello dell’astrofotografia può risultare difficile, specialmente per chi si affaccia per la prima volta a queste discipline. In questo post cercheremo di chiarirci le idee e “costruire” insieme la nostra prima strumentazione astronomica.
Il principiante si avvicina al mondo dell’astrofotografia sfogliando riviste e siti internet specializzati oppure come diretta conseguenza dei primi successi ottenuti con reflex digitale e cavalletto fisso utilizzando una di quelle tecniche descritte nell’articolo “L’astrofotografia di tutti i giorni”.
Recandosi nel primo negozio di ottica (e spesso anche di astronomia) quello che verrà proposto è un telescopio super-tecnologico in grado di puntare migliaia di oggetti celesti automaticamente. Il neofita, felice di non dover “studiare” il cielo delegando tutto al software del telescopio, lo acquista entusiasta pensando di aver speso molto per avere una strumentazione astronomica professionale. Inoltre le specifiche tecniche garantiscono ingrandimenti elevati e prestazioni di altissimo livello.
L’entusiasmo si trasforma regolarmente in delusione appena il giovane astrofilo cercherà di puntare il primo oggetto celeste. Questo non si troverà nel campo e richiederà una ricerca manuale, spesso complicata, da effettuare con uno strumento otticamente buio e montato su un cavalletto (in astronomia si parla di montatura) traballino. A questo punto c’è chi si rassegna, rimettendo il tutto nello scatolone e per sempre in cantina, chi insiste spinto dalla passione impazzendo definitivamente e chi vende tutto al fine di comprare un nuovo telescopio. Quanto state leggendo è pensato proprio per queste persone: astrofotografi potenziali uccisi dal mercato. Prima di pensare all’acquisto dello strumento bisogna però comprendere quali sono le parti più importanti di un setup astrofotografico:

M31 – 23/11/2009 ore 23.55 U.T., Canon 40D + Tamron CF 80-210 mm f/4.0 utilizzato a 210 mm, 90 secondi a 3200 ISO su EQ3.2. Filtro Tamron 58 mm Skylight A1.

Digital Single Lens Reflex (DSLR) – Reflex Digitale
Non è vero che per cominciare a riprendere il cielo è strettamente necessario avere una DSLR professionale o una camera CCD da migliaia di euro. È possibile infatti appoggiare una semplice fotocamera compatta all’oculare del telescopio riprendendo così le prime immagini di oggetti deep sky come ammassi stellari e nebulose nonché Luna e pianeti. Questo metodo, noto come metodo afocale, richiede l’acquisto di un apposito sostegno in grado di collegare la compatta al telescopio.
Ovviamente il metodo afocale con fotocamere compatte è solo un primo passo nel mondo dell’astrofotografia ma permette di ottenere velocemente risultati spesso gratificanti, soprattutto nella ripresa del nostro satellite naturale.
Se invece siete convinti di voler intraprendere la strada della fotografia astronomica allora l’acquisto di una reflex diviene necessaria. Quale? Qualsiasi, purché sia dotata di sistema LiveView, fondamentale per la messa a fuoco dello strumento (nel mirino della reflex, di notte, è praticamente impossibile vedere qualcosa).
Le moderne ed economiche Canon EOS 1000D e 1100D soddisfano già tutti i criteri astrofotografici.
Comprare una DSLR professionale per utilizzo prettamente astronomico ha un senso? La risposta è no. Con la stessa spesa è infatti possibile acquistare una camera CCD economica in grado di fornire immagini migliori.
Una volta che avrete cominciato a riprendere il cielo notturno vi accorgerete che le nebulose appariranno sempre di un rosa pallido. Questo è dovuto alla presenza di un filtro montato di fronte al sensore delle DSLR che, se per la fotografia diurna è importante al fine di ottenere immagini nitide, di notte diminuisce la sensibilità della camera alle lunghezze d’onda del rosso e quindi, di conseguenza, alla lunghezza d’onda di emissione delle nebulose (linea Hα). L’unico modo per aumentare la sensibilità della DSLR al rosso è quello di rimuovere il filtro originale e montare un filtro “astronomico”. Questa modifica prende il nome di “modifica Baader” in onore della principale ditta produttrice di filtri astronomici per DSLR.

Montatura
Una volta acquistata una camera digitale, il secondo e più importante step è la scelta della montatura. Il mercato offre molti modelli i cui prezzi variano da poche centinaia di euro a qualche decina di migliaia. Come orientarsi in questo zoo? Dato che questo post è pensato per neofiti, supponiamo che il budget a vostra disposizione sia comunque inferiore ai 1’500 €. In questo range non sono molte le montature a disposizione e ASTROtrezzi vi consiglia quelle prodotte dall’azienda SkyWatcher. Queste sono classificate utilizzando il nome EQ che sta per montatura equatoriale (si veda l’articolo “Le montature astronomiche”) associato ad un numero che cresce all’aumentare delle prestazioni. Queste ultime si possono riassumere nella qualità dell’inseguimento degli astri e nella capacità di sostenere una strumentazione pesante. Il modello più economico presente sul mercato è la EQ2. Questa, a mio avviso, NON è adatta per sostenere telescopi se non di piccole dimensioni, risultando infatti molto ballerina. Se proprio si vuole montare un telescopio si consiglia o un corto rifrattore o un Newton con diametro massimo pari a 130 mm.
Malgrado tutto, la EQ2 può comunque essere utilizzata per l’astrofotografia a patto che sia motorizzata (almeno in A.R.). Una montatura motorizzata non punta gli oggetti automaticamente ma si limita ad inseguire gli astri. Questa è l’unica funzione richiesta in astrofotografia, dato che gli oggetti si possono individuare nel cielo utilizzando le coordinate o, come si è sempre fatto con le mappe celesti.
Ma che immagini si possono ottenere con la EQ2? Purtroppo data l’esile struttura della montatura, l’unica cosa che possiamo utilizzare per riprendere il cielo sono obiettivi grandangolari montati direttamente sulla montatura costruendosi adattatori come quello riportato in “Collegare una fotocamera ad una montatura con attacco Vixen”. A differenza del cavalletto tradizionale, con una EQ2 è possibile riprendere in modo corretto la Via Lattea oltre ad ampie zone di cielo. Soggetti interessanti sono la costellazione di Orione o il Cigno che, in condizioni di cielo buio, possono offrire uno spettacolo unico.
Lo step successivo è l’acquisto di una montatura di tipo EQ3.2. Questa è più robusta della precedente e permette di montare obiettivi anche piuttosto pesanti. In visuale può sorreggere rifrattori e Newton con diametro massimo pari a 150 mm. Se motorizzata in entrambe gli assi e dotata di mirino polare è possibile riprendere immagini utilizzando obiettivi o zoom fino a circa 70 mm di focale.
Perché malgrado la montatura EQ3.2 sorregga obiettivi con focali superiori ai 70 mm bisogna comunque limitarsi a questo valore? Una montatura stazionata correttamente purtroppo non riesce ad inseguire adeguatamente gli astri. Questo perché è impossibile allinearla perfettamente con il polo celeste nord e anche se così fosse non è detto che i motori di inseguimento non commettano errori durante la posa.
Per risolvere questo problema è possibile montare il nostro teleobiettivo in parallelo ad un piccolo telescopio (si veda l’articolo “Tecniche di ripresa del cielo notturno” e “Collegare un fotocamera in parallelo con Geoptik GK2”) e, utilizzando un reticolo illuminato ed una stella, correggere gli eventuali errori di inseguimento della montatura.
Questa tecnica è nota come guida e con una montatura EQ3.2 garantisce un inseguimento discreto fino a focali pari a 100-300 mm. Oltre i 300 mm la risposta dei motorini alla guida risulta troppo imprecisa e le riprese presenteranno stelle non puntiformi. Non pensiamo però che con un teleobiettivo da 200-300 mm non sia possibile riprendere il cielo. Molte nebulose nonché la galassia di Andromeda sono ben inquadrate solo con focali inferiori ai 500 mm, quindi già con un piccolo teleobiettivo ce n’è di lavoro!
Ma se le nebulose più grandi non vi bastano più o volete una ripresa delle stesse in alta definizione effettuata con obiettivi corretti fino ai bordi, allora non vi bastano più gli zoom e i teleobiettivi ma dovrete comprare un piccolo rifrattore apocromatico. A questo punto i telescopi diventano due: uno di ripresa costoso e di ottima qualità ed uno di guida. Il peso della coppia sicuramente supera la massima portata della EQ3.2 e quindi dovrete passare al prossimo modello sul mercato, la HEQ5. Questa supporta in visuale rifrattori di tutte le dimensioni e Newton fino a 200 mm di diametro. In fotografico è possibile invece montare un rifrattore o un piccolo newton con affiancato un leggero telescopio di guida. A differenza della EQ3.2, la HEQ5 possiede la porta autoguida. Questa permette di sostituire all’oculare con reticolo illuminato una camera (di solito con sensore CMOS) dando la possibilità, tramite l’utilizzo di un PC, di controllare automaticamente la montatura in modo da correggere l’errore di inseguimento. Questa tecnica prende il nome di autoguida, da cui il nome della porta che permette di controllare la montatura. Grazie all’autoguida, una volta stazionato correttamente lo strumento, funzionerà automaticamente lasciando a voi il tempo per prendere un buon caffè.
La massima focale consigliata rimane comunque 500 mm, oltre la quale si ottengono inseguimenti non precisi.
Siete ancora insoddisfatti? Volete riprendere le galassie che con un 500 mm di focale appaiono come piccoli batuffoli di cotone? Allora non vi resta che acquistare una NEQ6, ultima montatura della casa SkyWatcher che vi permette di montare telescopi di grandi dimensioni affiancate da leggeri rifrattori di guida. La massima focale utilizzabile rimane comunque inferiore ai 1500 mm oltre i quali il mosso può cominciare a farsi evidente. Ovviamente anche la NEQ6 è dotata di porta autoguida. Ricordiamo che tutte le montature, tranne la NEQ6 funzionano con batterie a torcia mentre a quest’ultima dovete affiancare una batteria da almeno 7Amph.

Esempio di setup astrofotografico

Ottica
Alcune delucidazioni sulle ottiche da utilizzare per l’astrofotografia sono state date nel paragrafo montatura. Vediamo ora di dare maggiori informazioni a riguardo. Se avete una compatta e volete riprendere immagini con il metodo afocale allora il problema non si pone. Se siete invece in possesso di una DSLR allora dovete cominciare a sfruttare al massimo le ottiche già a vostra disposizione. Purtroppo per riprendere le stelle servono ottiche corrette e quindi gli zoom sarebbero da evitare. Anche gli obiettivi puri (persino quelli Canon o Nikon!) non sono corretti dal punto di vista ottico e danno aberrazioni visibili, specialmente ai bordi. Consigliamo quindi di chiudere leggermente il diaframma in modo di aumentare la qualità ottica dell’obiettivo.
Per quanto riguarda i telescopi la scelta si rivolge principalmente ai tradizionali rifrattori (apocromatici) e Newton. Oggi sul mercato appaiono i primi Ritchey-Chrétien anche se i prezzi si mantengono ancora leggermente superiori al migliaio di euro. Esiste il modello Ritchey-Chrétien  da 6 pollici che costa solo 500 € ma come tutte le cose economiche è uno strumento di bassa qualità e quindi se possibile da evitare.
Rifrattore o Newton? È una domanda che l’astrofilo e l’astrofotografo si pone da decenni. Oggi possiamo affermare la seguente cosa: se volete un telescopio otticamente perfetto e leggero (ma buio) allora comprate un rifrattore altrimenti andate su un Newton. Ricordatevi che se dovete fare astrofotografia si rende necessario l’acquisto di un correttore di coma per Newton o di uno spianatore di campo per i rifrattori.
Per il telescopio guida consigliamo un rifrattore acromatico o apocromatico del diametro di 70 mm o superiore (f/7). Telescopio di ripresa e telescopio guida dovranno essere montati solidamente alla montatura e tra loro al fine di non presentare flessioni le quali possono dare del mosso durante le riprese, anche se guidate correttamente. Il collegamento con la montatura deve essere effettuato preferibilmente tramite barra tipo Vixen o Losmandy.

Accessori
In questo paragrafo riportiamo tutti gli accessori non descritti precedentemente e necessari per iniziare una sessione astrofotografica. Prima di tutto è necessario un anello T2 per collegare la DSLR ad un qualsiasi telescopio. Se si fanno riprese in parallelo con obiettivi fotografici allora questo anello non si renderà necessario.
Secondo oggetto è o un reticolo illuminato, dal costo contenuto, oppure una più costosa camera di guida.
Purtroppo la DSLR può subire vibrazioni durante lo scatto e in particolare si raccomanda di non toccare mai la camera durante l’intera sessione astrofotografica. Per fare questo è necessario utilizzare la DSLR in modalità scatto remoto. Questo può avvenire o con l’ausilio di un telecomandino oppure attraverso il cavo USB in dotazione. In questo ultimo caso si rende però necessario l’utilizzo di un PC. Consigliamo un netbook ed in ogni caso un PC con schermo non a cristalli liquidi. Questi infatti tendono a congelare durante le sessioni invernali. Inoltre il PC deve consumare pochissimo e quindi sono da evitare CPU molto potenti o schermi particolarmente grandi. Un tavolino da pic nic, una sedia portatile ed una torcia dotata di luce rossa completano infine il setup di un giovane astrofotografo.

Con questa guida speriamo di aver risposto a tutti i vostri dubbi su quale strumentazione acquistare per riprendere le vostre “prime” immagini astronomiche. A titolo di esempio riportiamo alcuni setup di ripresa oltre alla portata delle varie montature SkyWatcher:

ESEMPI DI SETUP FOTOGRAFICI
Configurazione low cost
Montatura EQ2
Motori per montatura EQ2
Reflex Canon EOS 1100D + obiettivo zoom 18-55 mm
Modifica Baader
Collegamento Montatura – Reflex
Telecomando remoto

Fotografia a grande campo < 100 mm
Montatura EQ3.2
Motori per montatura EQ3.2 (due assi)
Reflex Canon EOS 500D + obiettivo zoom 18-55 mm
Modifica Baader
obiettivo zoom Canon 75 – 300 mm non stabilizzato
Telescopio di guida
Collegamento Reflex – Telescopio di guida
Oculare a reticolo illuminato
Netbook + incremento memoria RAM

Fotografia a medio campo < 500 mm
Montatura HEQ5
Motori per montatura HEQ5 (due assi) + modifica porta autoguida
Reflex Canon EOS 500D
Modifica Baader
Telescopio di guida
Telescopio di ripresa Rifrattore Tecnosky ED carbon fiber 80mm f/7
Spianatore di campo
Collegamento Telescopio di ripresa – Telescopio di guida
Camera di guida
Netbook + incremento memoria RAM
Flat box

Fotografia a campo stretto < 1500 mm
Montatura NEQ6
Reflex Canon EOS 550D
Modifica Baader
Telescopio di guida
Telescopio di ripresa Rifrattore Tecnosky Tripletto 130mm f/7
Spianatore di campo
Collegamento Telescopio di ripresa – Telescopio di guida
Camera di guida
Netbook + incremento memoria RAM
Flat box

PORTATA DELLE MONTATURE SKYWATCHER
EQ2: 2.8 kg
EQ3.2: 5.1 kg
HEQ5: 10.2 kg
NEQ6: 15.3 kg




M39 (NGC 7092) – 02/10/2012

Briosco (MB), 02/10/2012 – M39

Somma di 22 immagini da 70 secondi 400 ISO + 40 bias + 17 dark + 40 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Rifrattore ED 80 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Telescopio di ripresa: Newton 150 mm f/5 + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility.

Ripresa effettuata con Luna quasi piena.

M39 (NGC 7092) - 02/10/2012




Telescopio riflettore Newton SkyWatcher 150 mm f/5

Riportiamo di seguito l’analisi dettagliata di questa ottica acquistata il 31/10/2008 da Miotti Ottica (Milano).

Specchio primario
Lo specchio primario si presenta circolare, del diametro pari a 15 cm con disegnato nel centro un anello utile ai fini della collimazione. Questo è stato sottoposto dal 2008 al 2012 ad ogni tipo di condizione atmosferica. La pulizia dello specchio è stata effettuata il giorno 25 Settembre 2012. Questa ha rimosso ogni tipo di sporco tranne un granello nero di vernice (quella che riveste il supporto dello specchio secondario, vedi figura 1), che si è ancorato alla superficie dello specchio. Per rimuoverlo sarebbe stato necessario applicare un mezzo abrasivo (o contundente) che avrebbe rovinato la superficie dello specchio. Pertanto, date le piccolissime dimensioni del grano si è deciso di non procedere accettando una perdita di luce stimata inferiore allo 0.001%.

Figura 1 : Il piccolo granello di vernice nera depositata sullo specchio primario

La cella dello specchio primario è ben fatta con tre viti di regolazione dotate di buona mobilità (si consiglia di allentarle leggermente prima di procedere con la collimazione dello strumento). Lo specchio è appoggiato su tre spessori di sughero come mostrato in Figura 2.

Figura 2 : cella di sostegno dello specchio primario. Ben visibili sono i tre spessori di sughero.

Una volta collimato lo strumento una piastra in metallo ricopre le viti di collimazioni proteggendo lo specchio da possibili urti accidentali.

Specchio secondario
Lo specchio secondario, del diametro di 35 mm, è ancorato a quattro razze di colore nero. Come il primario anche questo è stato sottoposto a diverse condizioni atmosferiche richiedendone pertanto la pulizia, effettuata il giorno 27 settembre 2012. Il sostegno del secondario non è mai stato smontato; si presenta stabile con le tre viti di fissaggio dotati di buona mobilità (Figura 3).

Figura 3 : Il sostegno dello specchio secondario

Se le razze di soli 0.5 mm di spessore, riducono (insieme alle dimensioni del secondario) l’ostruzione dello strumento fissato a 0.23, di contro rendono la collimazione  piuttosto difficile a seguito della possibile torsione del sistema. Si consiglia pertanto di non stringere mai energicamente le viti di regolazione dello specchio.

Fuocheggiatore
Il fuocheggiatore è molto economico e diversifica questo modello da quello identico più costoso (SkyWatcher Black Diamond). Ospita oculari da 31.8 mm e svitandone il sostegno è possibile avvitare un anello T  per il raccordo con fotocamere digitali (vedi figura 4).

Figura 4 : il barilotto porta oculari

Data la scarsa qualità della cremagliera è consigliabile fuocheggiare lasciando allentata la vita di fissaggio e bloccare il tutto solo quando lo strumento si trova nella posizione definitiva. Quando collimate il telescopio ricordatevi quindi di serrare la vita di fissaggio del fuocheggiatore riproducendo così la condizione di ripresa fotografica.

Intubazione
Il cammino ottico è completamente protetto da un tubo metallico di lunghezza 67 cm e diametro 18 cm.  Questo presenta esternamente un graffio lungo un lato, appena visibile tra gli anelli di supporto del telescopio, mentre internamente è verniciato uniformemente di color nero opaco. Il materiale che costituisce il tubo è economico ma leggero (un banale lamierino piegato). La struttura è praticamente identica alla versione più costosa con la differenza che invece di essere verniciata con del nero metallizzato in questo caso è stato utilizzato un blu. Il lamierino si incastra con precisione nella cella del primario e nel supporto del secondario il quale purtroppo perde dei pezzetti di vernice nera in prossimità del tappo di copertura (gli stessi che poi nel corso degli anni sono caduti sugli specchi).
Il telescopio è sostenuto da una coppia di anelli in metallo uno dei quali presenta una vite con passo fotografico per collegare una eventuale camera digitale in parallelo. Questi sono collegati tra loro da una barra a coda di rondine tipo Vixen.

Cercatore
Il cercatore è un 6 x 30 originale dello stesso colore del telescopio. Il sostegno invece è stato sostituito con quello di un rifrattore acromatico Antares Venere del 1998. Questo presenta tre viti di regolazione ed al suo interno il cercatore è fissato con un elastico invece della guarnizione originale (OR) andata distrutta a seguito di un forte sbalzo termico. L’immagine del cercatore è riportata in figura 6.

Figura 6 : Immagine del cercatore 6 x 30 SkyWatcher.

Collimazione
La collimazione del telescopio è piuttosto semplice anche se bisogna serrare completamente la vita di fissaggio del fuocheggiatore. Questa viene poi mantenuta a lungo nel tempo anche a seguito di lunghi spostamenti in auto. Le dimensioni ridotte dello specchio fanno si che la messa a fuoco e la collimazione non cambino molto riducendo a pochi minuti il tempo di climatizzazione delle ottiche. L’ultima collimazione effettuata con oculare di Cheshire e collimatore laser è stata effettuata il giorno 27 settembre 2012.

Osservazione visuale
Il basso rapporto focale di questo strumento lo rende molto luminoso e quindi adatto per osservazioni del profondo cielo. Allo stesso tempo il diametro modesto ma non grandissimo dell’ottica (e quindi del tubo) non degradano eccessivamente le immagini planetarie che si presentano comunque nitide e ricche di dettagli. Per confronto, la quantità e qualità di dettagli di questo Newton 150 mm f/5 è di gran lunga superiore a quella che si ottiene con un rifrattore acromatico da 10 cm f/10. Il piccolo diaframma presente sul tappo del telescopio aumenta il rapporto focale, utile durante le osservazioni lunari.
Il barilotto da 31.8 mm permette di utilizzare tutti gli accessori di questo diametro, meno costosi dei parenti da 50.8 mm (due pollici). Il cercatore 6 x 30 fornisce invece il giusto ingrandimento per il neofita che si avvicina per la prima volta ad un telescopio. La sostituzione con un cercatore 8 x 50 o superiore può essere utile per gli astrofili visualisti più esigenti.

Ripresa con fotocamere digitale
Pensato probabilmente come un ripiego dalla ditta costruttrice, l’utilizzo di questo strumento per riprese astronomiche è tutt’altro che sconsigliato. Il rapporto f/5 garantisce infatti alta luminosità e allo stesso tempo permette di contenere il coma. Persino la collimazione degli spechi non si presenta drammatica rispetto ai suoi parenti con rapporti focali f/4 o inferiori. Unico punto debole, come detto precedentemente, è il fuocheggiatore. Questo limita l’utilizzo di accessori da 31.8 mm, escludendo di fatto il possibile utilizzo di un correttore di coma. Pertanto l’astrofotografo più esigente dovrà accontentarsi di un leggero coma ai bordi (comunque inferiore di quello presente in un Newton SkyWatcher 200 mm f/4 + correttore di coma Baader MPCC). È sempre il fuocheggiatore ad aumentare la difficoltà di messa a fuoco dello strumento dato che la cremagliera introduce un movimento alto – basso alla camera. Però sino ad ora abbiamo parlato di DSLR. Il problema non si pone se si utilizza una camera CCD a sensore piccolo dotata di connessione 31.8 mm (tipo la CCD ATIK 314L+). Il perno per la fotografia in parallelo è invece una buona soluzione per fotocamere leggere e dotate di obiettivi a corta focale.
Infine, malgrado la relativa corta focale (750 mm), questo strumento è risultato buono anche per riprese lunari e dei maggiori pianeti del Sistema Solare. In questo caso è comunque consigliabile una buona lente di Barlow (come le Powermate della TeleVue).
Di seguito portiamo alcuni esempi di immagini astronomiche riprese con questo strumento: Giove, Saturno, Luna, Sole, Galassia M101 e persino Plutone!




La tecnica LRGB

Abbiamo visto in “Costruire un’immagine a colori” come il processo di debayerizzazione produca immagini di dimensioni pari a quelle del sensore ma di qualità inferiore. Algoritmi sempre più sofisticati cercano di interpolare sempre meglio i pixel di diverso colore al fine di ottenere immagini nitide. Se invece di una DSLR utilizziamo un CCD monocromatico (quindi senza filtri applicati al sensore) il processo di debayerizzazione viene bypassato ottenendo immagini a colori di ottima qualità. Questo comporta la ripresa di 3 immagini in bianco e nero con filtri rispettivamente R, G e B. Ottenere un’immagine a colori a partire da un CCD monocromatico è quindi possibile ma molto dispendioso in termini di tempi di ripresa che vengono triplicati. Nel 1996 è però stata sviluppata una tecnica, detta LRGB, in grado di combinare un’immagine a colori ad alta risoluzione cromatica e bassa risoluzione spaziale con un’immagine in bianco e nero ad alta risoluzione spaziale nota come immagine di luminanza. Dal punto di vista patico, questo significa che è possibile riprendere le tre immagini in bianco e nero con filtri R,G e B a alta risoluzione cromatica e bassa risoluzione spaziale. La prima condizione si ottiene aumentando il rapporto segnale/rumore e quindi il tempo di esposizione (o utilizzando ottiche più luminose) o utilizzando un bin 2 x 2. In quest’ultimo caso si ha una riduzione della risoluzione spaziale che però, per quanto detto prima, non è importante.
L’immagine di luminanza L invece deve contenere il maggior numero di informazioni sulla distribuzione spaziale degli oggetti e quindi è consigliabile utilizzare un’immagine in B/W senza applicazione di nessun filtro. Solitamente, per evitare di sporcare il sensore si utilizza un filtro taglia IR-UV. In questo caso ovviamente è richiesto l’utilizzo di un bin 1 x 1 in modo da minimizzare la perdita di particolari. Le quattro immagini LRGB verranno poi composte formando l’immagine a colori finali. Nulla vieta di utilizzare differenti combinazioni di filtri per costruire l’immagine a colori che comunque deve soddisfare le condizioni precedentemente illustrate. Non si è neppure vincolati ad utilizzare lo stesso tipo di telescopio per le riprese a colori ed in luminanza.

La composizione LRGB

La tecnica LRGB può ad esempio essere applicata utilizzando come filtro di luminanza un filtro a banda stretta al fine di enfatizzare le zone di una determinata nebulosa che emettono in una riga specifica dello spettro elettromagnetico (si parla ad esempio di HαRGB) oppure si possono usare tricromie differenti come “l’Hubble Palette” SII Hα OIII che utilizza invece dei filtri RGB quelli a banda stretta dello Zolfo, dell’Idrogeno e dell’Ossigeno.




Costruire un’immagine a colori

Alla luce di quanto riportato nei post precedenti, DSLR e CCD producono  una matrice di pixel. Ciascun pixel è un numero intero proporzionale al numero di fotoni che si sono depositati in quel determinato elemento fotosensibile. A questo punto, come descritto in “ADC: dal mondo analogico a quello digitale” ad ogni valore di luminosità del pixel è possibile associare un tono di grigio. Questo può essere poi visualizzato a monitor o stampato su pellicola fotografica. L’insieme di tutti i pixel costituisce così l’immagine digitale. Questa risulta però essere un’immagine in bianco e nero. Come è possibile? Abbiamo analizzato solo il caso di sensori in bianco e nero? Ed i sensori a colori?
Cominciamo subito con il dire che i sensori a colori non esistono. Tutti i sensori, siano essi CCD o CMOS sono in grado di generare immagini in bianco e nero. Allora come è possibile costruire un’immagine a colore?
Si sfrutta un particolare modello di colori di tipo additivo noto come RGB. Questo dice che “ogni” colore è descrivibile come la somma adattiva di tre colori primari. Per motivi fisiologici legati alle frequenze cui sono più sensibili i fotorecettori dell’occhio umano (coni) si è deciso di utilizzare il rosso 700 nm (R), verde 546.1 nm (G) e il blu 455.8 nm (B) da cui il nome del modello RGB.
Ma cosa comporta questo dal punto di vista pratico? Ogni colore è visto come la somma, pesata dal livello di luminosità, dei tre colori primari RGB. Se ora ho tre immagini in bianco e nero, ciascuna delle quali rappresenta la componente R, G e B dell’oggetto reale, allora posso costruire l’immagine a colori a partire da queste.
Come avrete capito il gioco è fatto. Basta riprendere con il nostro sensore in bianco e nero tre immagini: una con un filtro rosso, una con un filtro verde ed una con un filtro blu. La combinazione delle tre fornirà l’immagine a colori. Quanti colori? Se ogni immagine in bianco e nero ha 2^bit toni, l’immagine risultate sarà data da 2^bit x 2^bit x 2^bit = 2^3 x bit colori. Questa tecnica di costruzione delle immagini è quella che viene normalmente utilizzata nei sensori CCD astronomici dove per ogni oggetto celeste si effettuano tre riprese applicando rispettivamente filtri RGB.
Per le reflex però ci troviamo di fronte ad un problema di tipo tecnologico. Risulta infatti impossibile effettuare tre scatti per ciascuna ripresa a colori (considerando anche il tempo di sostituzione del filtro). Vi immaginate riprendere un’auto in corsa in queste condizioni?
Il problema è stato risolto montando di fronte ad ogni fotoelemento un opportuno filtro colorato. Può sembrare impossibile eppure la tecnologia attuale è in grado di realizzare filtri colorati con dimensioni veramente infinitesime.
La distribuzione dei filtri sulla matrice di fotoelementi (ovvero sul sensore) è nota come Matrice CFA (Color Filter Array). Ci sono molteplici possibili combinazioni. Preso un gruppo di quattro pixel allora abbiamo:

  • Matrice di Bayer RGGB: filtri rosso, verde, verde e blu (Figura 1).
  • Matrice RGBE: filtri rosso, verde, blu e smeraldo.
  • Matrice CYYM: filtri ciano, giallo e magenta.
  • Matrice CYGM: filtri ciano, giallo, verde e magenta.
  • Matrice RGBW: filtri rosso, verde, blu e trasparente.

Figura 1: le varie configurazioni della matrice di Bayer: a) RGGB, b) GRBG, c) GBRG e d) BGGR.

In questo articolo parleremo in particolare della Matrice di Bayer o RGGB (spesso riportata come RGB). Cominciamo con il notare che la scelta di due filtri verdi non è casuale. L’occhio umano è più sensibile al verde e pertanto, per avere una migliore risposta della DSLR, si è deciso di aumentare il numero di filtri di questo colore.
Ad ogni scatto quindi il 25% del sensore riprenderà un’immagine in bianco e nero filtrata rossa, un altro 25% del sensore riprenderà un’immagine in bianco e nero filtrata blu ed infine il restante 50% riprenderà un’immagine in bianco e nero filtrata verde. Ora però, se prendiamo un determinato pixel questo avrà solo un valore dei tre canali RGB. Come ottenere il colore?
È necessario creare un algoritmo in grado di “stimare” il valore che un pixel avrebbe assunto con un determinato filtro, partendo da quello realmente assunto dai pixel vicini. Tale processo è noto come demosaicizzazione o debayerizzazione. Esistono ovviamente molteplici modi per demosaicizzare un’immagine RGB tra cui ricordiamo:

  • Variable Number of Gradients (VNG): calcola i gradienti vicino al pixel di interesse e sceglie il minimo ovvero quello che si traduce nel più morbido in termini di immagine.
  • Pixel Grouping: calcola il valore di un pixel come opportuna combinazione dei vicini.
  • Adaptive Homogeinity – Directed: questo metodo seleziona la direzione di interpolazione in modo da massimizzare l’omogeneità.
  • Advanced Chroma Corrective: è una delle più accurate quanto complesse routine di demosaicizzazione.

Tutte queste tecniche (ne esistono altre non discusse in questo post) permettono così di ottenere un’immagine a colori a partire da un singolo scatto. Il prezzo da pagare è una perdita in qualità a seguito del processo di demosaicizzazione. Per quanto riguarda le DSLR Canon, il processo di demosaicizzazione è effettuato dal processore Canon DIGIC o da software dedicati nel caso in cui si decida di scattare in RAW. In Figura 2 sono riportati i canali R,G e B di un’immagine ripresa con una Canon EOS 500D.

Figura 2: scomposizione dell'immagine nei canali RGB. Si noti come il canale più luminoso sia il rosso associato alla nebulosa (riga Hα). Il canale verde invece presenta meno strutture ma con un'ottima risoluzione grazie al numero doppio di pixel dotati di filtro G. Il canale blu è spesso il peggiore sia in termini di qualità a causa sia del minor numero di pixel utilizzati durante il processo di debayerizzazione che del minor numero di dettagli presenti.




NGC 7380 – 19/09/2012

Briosco (MB), 16/09/2012 – NGC7380
Composizione LRGB [HαSIIHαOIII] effettuata con IRIS + Photoshop (in HST Palette) dove:

  • L: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 4 immagini da 800 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 26 dark + 100 flat effettuata con IRIS.
  • R: Filtro Astronomik SII 13nm. Somma di 4 immagini da 900 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 23 dark + 100 flat effettuata con IRIS.
  • G: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 4 immagini da 800 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 26 dark + 100 flat effettuata con IRIS.
  • B: Filtro Astronomik OIII 12nm. Somma di 4 immagini da 800 secondi bin 1 x 1 + 100 bias + 26 dark + 100 flat effettuata con IRIS.

Telescopio di guida: Newton 200 mm f/4 SkyWatcher + Camera Magzero MZ-5m.
Obiettivo di ripresa: Rifrattore ED 80 mm f/7 Tecnosky Carbon Fiber + Spianatore/Riduttore 0.8x + filtro Astronomik +  CCD Atik 314L+ B/W.

NGC 7380 - 19/09/2012

Riportiamo di seguito anche i tre canali separatamente (SII, Hα ed OIII). L’immagine ripresa in SII mostra un leggero mosso dovuto al cattivo inseguimento della montatura NEQ6 per tempi di posa superiori ai 14 minuti. L’immagine ripresa in OIII mostra invece una leggera sfocatura dovuta all’aberrazione cromatica del rifrattore ED (o al fatto che i filtri Astronomik non sono perfettamente afocali… verificheremo in futuro).

NGC 7380 (SII) - 19/09/2012

NGC 7380 (Hα) - 19/09/2012

NGC 7380 (OIII) - 19/09/2012




NGC 7380 – 16/09/2012

Briosco (MB), 16/09/2012 – NGC7380

Somma di 12 immagini da 15 minuti bin 1 x 1 + 100 bias + 23 dark + 100 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Newton 200 mm f/4 SkyWatcher + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding 1s.

Obiettivo di ripresa: Rifrattore ED 80 mm f/7 Tecnosky Carbon Fiber + Spianatore/Riduttore 0.8x + filtro Atik Hα 13nm +  CCD Atik 314L+ B/W, software Artemis Atik Capture

NGC7380 - 16/09/2012




Concorso ASTROfotografico 2012

Concorso ASTROfotografico 2012 è il primo “concorso fotografico” organizzato da ASTROtrezzi.it . Nulla di formale, solo un modo alternativo di far conoscere ASTROtrezzi.it e stimolare il vostro interesse per la ripresa del cielo notturno (diurno). NON è necessario avere una strumentazione astronomica professionale come descritto in questo post. Serve solo tanta fantasia… Ovviamente il concorso non ha tema se non banalmente: il cielo.

Non esiste nessuna commissione giudicatrice, targhette o diplomi. Le immagini che invierete a davide@astrotrezzi.it saranno giudicate da Davide Trezzi in funzione dell’età dell’autore (bambino o adulto), della strumentazione utilizzata e della qualità dello scatto.

Il vincitore riceverà una stampa di una delle foto presenti su ASTROtrezzi. Infine l’immagine prescelta diventerà la foto bacheca di ASTROtrezzi su facebook. Cosa aspettate… inviate le vostre foto!!!

locandina del concorso

Riportiamo di seguito le immagini dei partecipanti in ordine di sottomissione.

Maia Mosconi (04/10/2012)

Simona Danielli (09/10/2012)

Boris Mosconi (09/10/2012)

Paolo Mori (15/10/2012)

Rosario Magaldi (16/10/2012)

Ilea Valentin (23/10/2012)

Rocco Parisi (05/12/2012)

Emiliano Riva (24/12/2012)

Giuseppe Alvaro (28/12/2012)




Canon EOS 40D

Questo post, in continuo aggiornamento, riporta una serie di test effettuate su una DSLR modello Canon EOS 40D acquistata nel 2009.

Rumore in funzione del tempo di esposizione
Questo test si prefigge di studiare la variazione del rumore in funzione del tempo di esposizione (e quindi della temperatura) per sensibilità fissata, pari a 100 ISO. Con rumore intendiamo la larghezza della gaussiana relativa al valore di buio. Infatti se riprendiamo un’immagine di buio (dark), effettuata ad esempio ponendo il tappo di fronte all’obiettivo, dovremmo ottenere in linea teorica una riga a 0 ADU corrispondente alla situazione di zero fotoni raccolti in ciascun fotoelemento. Per questioni di natura fisica ed elettronica, si è deciso di associare al valore di buio un certo numero di ADU noto come offset. Inoltre vari rumori (casuali) associati al processo di fotorivelazione fanno si che lo spettro di buio non sia una riga ma una distribuzione gaussiana centrata nell’offset e con larghezza pari al rumore. Lo spettro di buio a 100 ISO a macchina “fredda” (25 °C) e a tempo di esposizione pari a 1/8000 secondo è riportato in figura 1.

Figura 1: Spettro di buio di una Canon EOS 40D (1/8000 secondo, 25°C @ 100 ISO)

Un fit gaussiano dello spettro di buio mostrato in figura 1 fornisce un valore del rumore pari a σ = 5.55 ADU, confrontabile con il valore del readout noise di 5.74 ADU misurato da Christian Buil (http://www.astrosurf.com/buil/eos40d/test.htm). Questo valore dipende evidentemente dalla sensibilità utilizzata e dal tempo di esposizione. In figura 2 è riportato il valore del rumore in funzione del tempo di eposizione. Come si vede si ha un aumento esponenziale in scala semilogaritmica che si traduce in un andamento lineare in funzione del tempo di esposizione. Un fit lineare fornisce un coefficiente angolare pari a 0.003774 ADU/s ed un valore di rumore zero pari a 5.46 ADU. Questo porta ad un aumento del rumore pari a 0.23 ADU/min pari al 4.1% del valore zero.

Figura 2: rumore in funzione del tempo di esposizione per sensibilità pari a 100 ISO (punti rossi). In blu è stato sovrapposto il fit lineare.

Durante la prova è stata monitorata anche la temperatura della camera (estraendola dai dati EXIF), il cui andamento in funzione del tempo è riportato in figura 3.

Figura 3: andamento della temperatura della camera in funzione del tempo.

Rumore in funzione degli ISO
Il rumore non è solo funzione del tempo di esposizione ma anche della sensibilità utilizzata. Si è pertanto effettuata una misura di rumore mantenendo costante la quantità di luce raccolta. Questo si traduce nella scelta dei seguenti tempi di esposizione: 480 sec. @ 100 ISO (33°C), 240 sec. @ 200 ISO (36°C), 120 sec. @ 400 ISO (36°C),  60 sec.  @ 800 ISO (38°C), 30 sec. @ 1600 ISO (38°C) e 15 sec. @ 3200 ISO (38°C). L’andamento del rumore in funzione degli ISO è mostrato in figura 4.

Figura 4: andamento del rumore in funzione della sensibilità (ISO).

Offset in funzione del tempo di esposizione
L’offset o bias è il valore in ADU associato al segnale di buio. Il fit dello spettro mostrato in figura 1 con una distribuzione gaussiana fornisce un valore del centroide, corrispondente all’offset, pari a 1024.72 ADU compatibile con il valore 1024 ADU misurato da Christian Buil (http://www.astrosurf.com/buil/eos40d/test.htm). Purtroppo l’offset ha una leggera dipendenza dal tempo di esposizione (e quindi dalla temperatura) riportata in figura 5. Da un fit lineare si evince un coefficiente angolare pari a – 0.0095 ADU/s ed un valore di offset zero pari a 1024.82 ADU. Questo porta ad una variazione dell’offset di 0.57 ADU/min pari al 0.056% del valore zero.

Figura 5: posizione dell'offset in funzione del tempo di esposizione per sensibilità pari a 100 ISO (punti rossi). In blu è stato sovrapposto il fit lineare.




Gli ISO e l’immagine astronomica

Il mondo dell’astrofotografia è molto diverso da quello della fotografia tradizionale. Una delle caratteristiche peculiari è che, nel primo caso, focale e diaframma dell’ottica sono fissati. Quindi l’unica libertà che rimane all’astrofotografo è quella di variare tempo di esposizione e gli ISO della propria fotocamera digitale.
Come abbiamo letto nel post “il significato degli ISO nelle fotocamere digitali” maggiori sono gli ISO e maggiore sarà la sensibilità del sensore nel raccogliere la luce. Questo a scapito di un aumento del rumore. Questo rumore è principalmente di tipo casuale e quindi può essere limitato combinando più scatti del medesimo soggetto come riportato nei post “somma di immagini astronomiche” e “guida all’astrofotografia digitale”. Alla luce di queste argomentazioni nasce una delle questioni più dibattute: meglio riprendere poche pose a bassi ISO oppure molte pose ad alti ISO?
Dal punto di vista teorico utilizzare bassi ISO significa utilizzare bassi valori di amplificazione. Questo oltre a ridurre il rumore elettronico associato al processo di amplificazione migliora le performance dell’amplificatore stesso. Purtroppo però minori ISO significa minore sensibilità e quindi per ottenere un’immagine analoga a quella ottenuta ad alti ISO è necessario aumentare il tempo di esposizione. Aumentare il tempo di esposizione significa purtroppo riscaldare il sensore aumentandone così il rumore.
A basse temperature o in condizione di oggetti molto luminosi l’utilizzo di bassi ISO è vivamente consigliato. Per la Luna si consiglia 100 ISO, mentre per gli oggetti deepsky un valore tra 200 e 400 ISO è l’ideale. Sotto i 200 ISO infatti l’aumento in termini di performance dell’amplificatore è trascurabile e il rumore associato non diminuisce sensibilmente.
Cosa succede quando però la temperatura è elevata e/o l’oggetto ripreso è molto debole? In questo caso dobbiamo comprendere quale componente del rumore (dovuto al riscaldamento od elettronico) è dominante.
Come detto in precedenza, gran parte del rumore, sia esso termico o elettronico, può essere ridotto sommando più immagini riprese nelle medesime condizioni di scatto. A parità di tempo disponibile per la ripresa, ad alti ISO è possibile riprendere un maggior numero di scatti dato il ridotto tempo di esposizione.
Esiste poi una seconda componente di rumore termico che produce un pattern di pixel “stranamente caldi” che può essere solo limitatamente ridotto con la tecnica del dark (si vedano i post “la calibrazione delle immagini astronomiche” e “guida all’astrofotografia digitale”). Questi pixel diventano sempre via via maggiori all’aumentare del tempo di esposizione. Quindi utilizzare poche pose con tempi di esposizione lunghi, necessario per pose a bassi ISO, comporta un aumento globale del rumore.
Una buona performance dell’amplificatore si ottiene stando a metà o meglio un quarto dei massimi ISO messi a disposizione della fotocamera digitale. Per la Canon EOS 40D ad esempio, questo valore è pari a 800 – 1600 ISO. Riassumendo quindi: Ad alte temperature o in condizione di oggetti deboli l’utilizzo di alti ISO è vivamente consigliato.
Infine l’utilizzo di ISO elevati e quindi brevi tempi di esposizione può essere importante nel caso di montature non particolarmente preciso o in condizioni di forti raffiche di vento.
Un confronto sperimentale è stato ottenuto con Canon EOS 40D, riprendendo un’immagine di IC1396 stampata su un libro di astronomia. Con un tempo di ripresa equivalente pari a 34 minuti sono state ottenute queste due immagini somma rispettivamente di 4 immagini da 8 minuti a 200 ISO e 30 immagini da 1 minuto a 1600 ISO. Le prime intervallate da pause da 30 secondi, le seconde da 10. Il test ha mostrato come l’immagine a 1600 ISO sia decisamente meno rumorosa.

Confronto tra la somma rispettivamente di 4 immagini da 8 minuti a 200 ISO e 30 immagini da 1 minuto a 1600 ISO.




Il significato degli ISO nelle fotocamere digitali

Molti concetti come il tempo di esposizione o il diaframma hanno resistito al passaggio dal mondo analogico a quello digitale. Uno però ha dovuto radicalmente cambiare il proprio significato: la velocità della pellicola. Infatti nell’universo analogico le pellicole fotografiche si differenziavano a seconda della loro sensibilità alla radiazione luminosa. Pellicole sensibili venivano dette “veloci” altrimenti si parlava di pellicole “lente”. Questa definizione dipendeva dal fatto che a parità di luce raccolta le pellicole sensibili avevano bisogno di un minore tempo di esposizione e quindi erano per l’appunto più “veloci”. Lo standard ISO 5800:1987 definì due scale per misurare la velocità delle pellicole. Una lineare detta ASA o ISO mentre una seconda logaritmica detta scala DIN (oggi non più in uso).
È possibile trovare oggi un analogo digitale? Purtroppo la sensibilità di un fotoelemento nel raccogliere fotoni (radiazione luminosa) è costante. Quindi, se volessimo utilizzare la definizione analogica di ISO, dovremmo dire che questi non cambiano dato un determinato sensore CCD o CMOS.
Però un nuovo concetto è stato introdotto nel mondo digitale: l’amplificazione. Un segnale generato da un fotoelemento può (deve) venire amplificato ed il numero di ADU finali associato al pixel sarà proporzionale al numero di fotoni realmente incidenti sul fotoelemento. La costante di proporzionalità è appunto il fattore di amplificazione del segnale. Come il volume per una radio, amplificando maggiormente il segnale di un fotoelemento sarà possibile raccogliere le sfumature più deboli e “vedere” quei pochi fotoni che hanno raggiunto il nostro sensore. A parità di tempo di esposizione, aumentando l’amplificazione il sensore diventerà pertanto più sensibile alla radiazione luminosa. Ecco quindi trovato un analogo al concetto di ISO, noto oggi come ISO equivalente o semplicemente ISO.
Per aumentare la sensibilità delle pellicole fotografiche si aumentava fisicamente la grandezza degli agglomerati di nitrato di Argento presenti sulla pellicola (noti come grani) che fornivano pertanto delle immagini meno continue. Si diceva così che pellicole ad alti ISO presentavano una “grana” maggiore.
Con la nascita della fotografia digitale il concetto di grana era destinato a sparire ma un nuovo fenomeno mostrava caratteristiche analoghe: il rumore elettronico. Infatti un amplificatore non è in grado di distinguere un segnale da un rumore (per esempio termico) e quindi amplificando il primo amplifica inevitabilmente il secondo. A differenza della grana che rendeva comunque l’immagine “morbida”, il rumore elettronico è random e genera un disturbo di fondo molto fastidioso dal punto di vista estetico.

Esempio di "grana" digitale (a sinistra) e analogica (a destra)

 Come avrete quindi imparato dalla lettura di questo articolo, ISO e grana hanno oggi definizioni completamente diverse da quelle utilizzate in passato. Il massimo valore di ISO di una DSLR sta aumentando sempre più anche se una piccola nota è ancora necessaria. Infatti a parità di ISO due fotocamere digitali possono comportarsi in modo completamente differente. Infatti il rumore elettronico non dipende solo dal fattore di amplificazione ma anche dalla qualità del fotoelemento, dell’ADC e dell’amplificatore stesso. Ecco quindi come una posa a 400 ISO effettuata con una Canon EOS 40D può avere qualità maggiore di una stessa effettuata con una Canon EOS 500D. Inoltre ricordiamo che amplificatori di buona qualità permettono la regolazione fine del fattore di amplificatore che si traduce in una maggiore disponibilità di valori di ISO.
Essendo il rumore elettronico legato anche al rumore termico del fotoelemento, ovvero al suo surriscaldamento, tempi di esposizione lunghi possono portare ad una diminuzione della qualità dell’immagine. Per una buona ripresa è quindi necessario utilizzare ISO bassi, tempi di esposizione corti e componenti elettronici di ottima qualità. Ovviamente questo non è sempre possibile e sarà l’oggetto ad esempio dell’articolo “gli ISO e l’immagine astronomica”. Test per verificare la qualità dell’elettronica di fotocamere digitali sono riportati nella sezione ASTROtecnica. Se volete testare la vostra DSLR scrivete a davide@astrotrezzi.it .




L’astrofotografia di tutti i giorni

Quando si osservano immagini di galassie o ammassi stellari ripresi da osservatori astronomici o astrofotografi professionisti si rimane spesso a bocca aperta pensando che quel mondo sia anni luce da quello che possiamo “raggiungere” noi comuni mortali con le nostre fotocamere digitali. In parte è vero in quanto per fare delle riprese in dettaglio di oggetti astronomici sono necessarie strumentazioni sofisticate e molto spesso costose ma non dobbiamo abbandonare le nostre speranze. Infatti è possibile essere astrofotografi anche con della semplice strumentazione economica. Vediamo in questo post cosa può fare un neofita di astrofotografia con la propria strumentazione.

TRAMONTI ED ALBE
Astronomia non è solo cielo stellato. Albe e tramonti sono gli oggetti più semplici da riprendere, data la richiesta minima di strumentazione, e danno la possibilità all’astrofotografo di esprimere tutta la sua personalità. Quando guardate le immagini di un ammasso di stelle, una galassia o una nebulosa cosa vi comunica l’autore? Nulla. Potete dire che una ripresa è più bella perché mostra maggiori dettagli o perché si è usata una focale corretta ma della personalità dell’autore praticamente non c’è traccia. Nel caso di tramonti e albe invece il discorso è completamente opposto. La tecnica è banale.

La posizione del tramonto al variare delle stagioni (Varenna - LC): inverno, autunno e estate.

Prendete la vostra macchina fotografica (sia essa una compatta o una reflex), inquadrate il Sole al tramonto (alba) o le luci del crepuscolo e scattate. Il gioco è fatto! Quali suggerimenti possiamo dare a questi tipi di astrofotografi?

 

  • Se riprendete con il settaggio della vostra fotocamera “automatico” (questo è sempre vero per le compatte), allora puntate il cielo, premete il tasto di scatto finché la camera non mette a fuoco; dopodiché sempre con il tasto premuto abbassate lo sguardo riprendendo anche l’orizzonte. In questo caso la fotografia rimarrà leggermente sottoesposta garantendo un bel colore del cielo a scapito di un orizzonte nero (silhouette). Potete anche fare il contrario mettendo a fuoco l’orizzonte e alzando poi la camera. In questo caso il cielo sarà sovraesposto dando un coloro azzurrino chiaro e colori smorti, mentre il paesaggio sarà correttamente esposto.
  • Se riprendete con il settaggio della vostra fotocamera “manuale” allora potete giocare con i tempi di esposizione e se necessario applicare la tecnica HDR. Se il Sole è ancora presente e molto luminoso, allora chiudete il diaframma dando luogo all’effetto stella.
  • Dopo alcuni minuti dal tramonto (o alcuni minuti prima dell’alba) le luci del crepuscolo si fanno sempre più deboli (intense) cedendo il passo alla notte (giorno). Se volete comunque riprendere il colore blu del cielo allora munitevi di cavalletto e se avete una compatta impostate l’autoscatto (in modo da evitare il mosso) se invece avete una reflex utilizzate un telecomandino per lo scatto remoto… quello che una volta si chiama flessibile.
  • Il cavalletto, utile per le riprese a tramonto (alba) avanzato (anticipata) non deve essere necessariamente di alta qualità. Basta anche un prodotto scadente da supermercato.
  • Ricordatevi che le luci del tramonto danno un colore rosato al paesaggio mentre l’alba è spesso di colore azzurro-verde.
  • Riprendete il tramonto (o l’alba) dallo stesso luogo in periodi dell’anno differenti (ad esempio in prossimità di solstizi ed equinozi) e vedrete il movimento del punto di tramonto (alba) durante l’anno. E chi ha detto che il Sole sorge sempre ad est e tramonta ad ovest? 🙂

Ovviamente ambientate il vostro tramonto (alba)! Se mettete un soggetto in primo piano ricordatevi (oltre alla regola dei terzi) di dare un colpo di flash o di illuminarlo con luce artificiale dato che altrimenti ne otterrete solo la silhouette. Per i più esperti: utilizzate ISO bassi e diaframmi chiusi al fine di ottenere la massima profondità di campo… in questo caso ovviamente dovrete utilizzare il cavalletto. Non vi resta che dare luogo alla vostra fantasia!!!

INQUINAMENTO LUMINOSO E FENOMENI ATMOSFERICI
L’inquinamento luminoso è una di quelle parole che fanno rabbrividire qualsiasi astrofotografo (che non usa filtri interferenziali). Eppure per il neofita può essere spunto per realizzare i primi lavori “notturni”. Infatti montate la vostra fotocamera digitale (compatta o reflex) su un cavalletto (anche economico) e impostate la posa autoscatto. Puntate un paesaggio cittadino visto da un punto panoramico e scattate.

La Brianza, di notte, offre il peggio di se trasformandosi in una fornace ardente di luci le quali, invece di illuminare le strade, gettano i loro raggi verso il cielo impedendoci la visione dell'Universo.

Il risultato ottenuto sarà davvero spettacolare! Alcuni suggerimenti:

  • Per chi ha una reflex valgono le regole del tramonto. Quindi dotatevi di telecomando per controllo remoto, chiudete il diaframma e utilizzate ISO bassi.
  • Usate lampioni o luci parassite per illuminare un soggetto da anteporre al paesaggio “inquinato” oppure
  • Lasciate al buio il soggetto al fine di creare l’effetto silhouette.

Quindi sfogate pure la vostra fantasia, magari mettendo la vostra silhouette o quella del vostro telescopio in primo piano.

Un altro nemico dell’astrofotografo sono le nubi. Sfruttatele comunque al meglio e in maniera analoga alle riprese dell’inquinamento luminoso riprendete nubi e velature (illuminate dalle luci cittadini), fulmini e temporali o aloni lunari. Un suggerimento? Prima di tutto portatevi l’ombrello!!! Non si sa mai. Secondo i più esperti (dotati di reflex) possono decidere se alzare gli ISO e aprire il diaframma al fine di avere nubi ferme oppure abbassare ISO e chiudere il diaframma per avere l’effetto mosso. Come nel paragrafo precedente: date sfogo alla vostra fantasia!!!

I PIANETI
Cosa sono i pianeti visti ad occhio nudo? Degli enormi stelloni!!! Quindi perché non riprenderli con le nostre fotocamere digitali (compatte o reflex)? Per i detentori di compatte la vita comincia a farsi difficile e la tecnica è quella dell’inquinamento luminoso… finché possibile. Infatti se Venere e Giove saranno di facile ripresa, per gli altri pianeti iniziano i problemi.

Venere (qui dall'isola di Madeira) è un valore aggiunto all'immagine di un fantastico tramonto. Giocate con i pianeti e ambientateli il più possibile in paesaggi indimenticabili!

Per i fotografi più esperti dotati di reflex allora il gioco si fa semplice potendo esporre ipoteticamente fino all’infinito grazie al telecomandino per il controllo remoto. Alcuni suggerimenti:
Ricordatevi di regolare ISO e diaframmi in modo che il pianeta (o lo stellone) non risulti mosso. Il cielo si muove durante la notte ed il fenomeno sarà molto più evidente a mano a mano che aumentare la lunghezza focale.
I pianeti a volte si trovano vicini (si parla di congiunzione). Non perdetevi queste occasioni per riprendere più pianeti, magari ambientati con chiese gotiche, statue o strane silhouette. Liberate pure la vostra fantasia.

  • Ricordatevi sempre di ambientare la ripresa. La foto di un pianeta con un obiettivo (persino con un 1200 mm) non ha senso. Sono necessari parecchi metri di focale per ottenere qualche dettaglio interessante.
  • Scattate una foto del pianeta dalla stessa posizione ogni giorno e sovrapponete le pose. Vedrete il movimento del pianeta con il passare dei giorni.
  • I pianeti possono andare in congiunzione anche con la Luna… non perdetevi questi momenti per realizzare dei quadretti indimenticabili.
  • I pianeti non si muovo, rispetto alle stelle fisse, con la stessa velocità della Luna. Può capitare quindi che in una stessa notte la Luna passi davanti ad un pianeta (si parla di occultazione). Non perdetevi queste opportunità per riprendere, magari con una posa ogni 5 minuti, l’intero transito.

Buon lavoro quindi e se volete sapere quando un pianeta è visibile da una determinata zona della Terra, utilizzate il software gratuito stellarium (vedi ASTROlink) o chiede ad un vostro amico o ad un gruppo di astrofili.

SOLE E LUNA
Ogni fotografo (anche professionista) che vuole iniziare il percorso dell’astrofotografia commette il solito errore: fotografare la Luna. Purtroppo, il fatto che il nostro cervello tende a far diventare più grandi gli oggetti bassi sull’orizzonte ci spinge a pensare che la Luna sia un oggetto grande e quindi facilmente fotografabile con una reflex o addirittura con una compatta. Purtroppo la Luna è piccola e se non avete un obiettivo con almeno 400-500 mm di focale abbandonate ogni speranza di riprende il nostro satellite naturale.
Non possiamo quindi fare nulla? Ovviamente no. E’ sempre possibile riprendere la Luna ambientata in un paesaggio seguendo le stesse regole del pianeta. Subito però si pone un problema. Se esponete correttamente un paesaggio o un soggetto la Luna apparirà sovraesposta (bianca). Purtroppo non ne potete uscire se non utilizzando la doppia esposizione o l’HDR. Di notte, per esporre correttamente un paesaggio avete bisogno di alcuni secondi di posa mentre per la luna bastano frazioni di secondi.
Se avete un obiettivo con focale pari a 400-500 mm allora mettete l’ottica su cavalletto (questa volta stabile, non economico) e grazie al telecomando remoto scattate. A seconda di ISO e diaframmi scegliete il corretto tempo di esposizione.

L'indimenticabile eclisse totale di Sole dell'11 Agosto 1999, ripresa in questo caso da Dachau a 420 mm di focale (full frame).

Le stesse argomentazioni utilizzate per la Luna valgono anche per il Sole. In questo caso ricordatevi di porre di fronte all’obiettivo un apposito filtro solare (chiedete ad un gruppo di astrofili) altrimenti rischiate di perdere la vista guardando nel mirino o il sensore o peggior cosa entrambi.
Un’altra ripresa interessante è l’analemma che si ottiene fotografando (con un grandangolo e senza filtri… suggerisco di non guardare nel mirino della reflex) la posizione del Sole nel cielo, vicino al punto di tramonto o alba nella stessa ora in vari periodi dell’anno. Il risultato finale è quello di un grosso 8 disegnato sul paesaggio scelto per l’ambientazione. Cercate foto dell’analemma su internet: sono veramente uno spettacolo!
Sempre con focali superiori a 400 mm potete riprende il Sole durante un’eclissi totale (senza filtro nel momento della totalità) o parziale (con filtro). Molto bello è riprendere il primo raggio di luce abbagliante dopo una totalità. Lo stesso può essere fatto per l’eclissi totali (e parziali) di Luna. Purtroppo in questo caso i tempi di posa superano il secondo e se non avete obiettivi luminosi o ISO sufficientemente elevati non riuscirete a riprendere la “Luna rossa” a meno di avere la presenza di mosso.
Interessante è la ripresa della Luna quando manca poco o quando è passata da poco la totalità. In questo caso se fate una lunga esposizione (nei limiti del mosso) potete vedere la parte “scura” (ombra) della Luna, mentre con le corte esposizione vedrete la parte “chiara” (penombra). Le due possono poi essere combinate con la tecnica della doppia esposizione o HDR.
È possibile infine anche giocare con la Luna come ha fatto il signor Lauren Laveder anteponendo al nostro satellite naturale un soggetto “bizzarro”.

LE COSTELLAZIONI E LA VIA LATTEA
Passiamo ora alla parte difficile, dove purtroppo gli amici delle fotocamere compatte devono abbandonarci. Si cominciano a riprendere le stelle! Ecco alcuni consigli per gli utilizzatori di reflex:

  • Messa a fuoco: partiamo dalla cosa più semplice! Come mettere a fuoco le stelle? Stando all’infinito basta mettere l’obbiettivo sul simbolo ∞. Errore mai più grave. Per motivi di produzione, il simbolo ∞ posto sugli obiettivi NON corrisponde alla messa a fuoco per punti posti all’infinito. È necessario correggere la messa a fuoco spostandosi di poco da questo punto. Si può osservare la stella (ma va bene anche un lampione molto lontano) nel mirino della reflex o farsi aiutare con la funzione liveview oggi diffusa su quasi tutte le fotocamere digitali.
  • Diaframma: la logica suggerirebbe chiuso per avere maggiore profondità di campo. Purtroppo la luce delle stelle è poca e come vedremo poi voi non potete esporre per lunghi tempi e quindi… aprite il più possibile.
  • ISO: anche in questo caso la logica direbbe ISO bassi… però per gli stessi motivi illustrati nel punto precedente abbiamo bisogno di luce e quindi su con gli ISO!
  • Focale: fisheye o grandangoli. Scordatevi di fare foto al cielo con focali superiori ai 50 mm. Per capire il perché passate al prossimo punto.
  • Tempi di esposizione: dovete regolarvi voi. La sfera celeste ruota e quindi le stelle durante la notte si muovono. Questo produce un effetto mosso sulle vostre pose. Tale effetto sarà maggiore aumentando la focale e/o il tempo di posa. Focali piccole e tempi di posa corti sono l’ideale per avere delle immagini stellari ferme. In ogni caso (indipendentemente dal tempo di esposizione) vi serve un cavalletto stabile e il telecomando per il controllo remoto.
  • Riprendere la Via Lattea? È possibile, almeno quella estiva… le regole sono quelle riportate precedentemente. Dato che la Via Lattea “cade” sull’orizzonte, potete ambientarla mettendo soggetti illuminati (o no per avere l’effetto silhouette) di fronte oppure farla cadere sul mare, monti o laghi. Per avere Via Lattea e paesaggio correttamente esposti si consiglia la tecnica HDR o della doppia esposizione.
  • Se volete avere l’effetto stella sulle stelle più luminose, non potendo chiudere il diaframma potete utilizzare la tecnica del cavo. Prendete una corda molto spessa e formate una croce di fronte al vostro obiettivo fotografico. Riprendete in queste condizioni e vedrete come magicamente i puntini luminosi diventano stelle!

La costellazione di Orione fa capolino dietro l'osservatorio di Sormano, tra velature nuvolose illuminate dall'inquinamento luminoso.

Costellazioni e Via Lattea possono essere o meno ambientate. Decidete voi che taglio dare alla vostra fotografia utilizzando al meglio la vostra fantasia.

LA ROTAZIONE CELESTE

Avete imparato a riprendere stelle e costellazioni? Dimenticatevi tutto quello che avete letto in precedenza. Chiudete il diaframma a piacere, abbassate gli ISO (comunque non sotto i 200-400) ed esponete a piacere fino a qualche minuto di posa. Le stelle daranno il famoso “mosso”? E chi se ne frega! Non muovete la fotocamera e continuate a scattare. Alla fine della nottata otterrete tanti trattini sconnessi. Dateli in pasto al programma StraTrails e come per magia si trasformeranno in rotazioni celesti! Se poi puntate la stella polare vedrete come le strisciate (trail) diventeranno dei perfetti cerchi.

Il polo celeste nord ripreso da Sormano - CO.

 

 

 

 

Suggerimenti:

  • Non fate passare molto tempo tra una posa e l’altra, questo lascerebbe degli spazi neri tra le strisciate.
  • Utilizzate un battery grip se possibile al fine svincolarvi dalle batterie (altrimenti saranno loro a decidere quando finirete la rotazione!).
  • Sommate anche le foto con aerei o satelliti. Potrete sempre toglierli in post produzione con Photoshop!

Anche la rotazione ha bisogno di un’ambientazione e quindi via con la fantasia!!! Per maggiori informazioni si legga l’articolo “La tecnica dello star trail“.

TIME-LAPSE ASTRONOMICI
I Time-lapse sono semplicemente sequenze di immagini montate al fine di creare un video. Se le immagini sono riprese separate da intervalli di tempo superiori a 1/20 secondo allora l’effetto globale è quello di far scorrere il tempo più velocemente. In questo modo potete accelerare il tempo di tramonto o alba o il moto della sfera celeste.

LE COMETE
Anche per le comete valgono le leggi delle stelle. Se una cometa è molto luminosa (raggiungendo una luminosità confrontabile con quella dei pianeti) è possibile ambientarla con un paesaggio al fine di ottenere una bella immagine “natalizia”.

DISEGNARE CON LA LUCE

Ipotetiche strade luminose vi porteranno fino alle stelle...

Avete mai pensato di disegnare con la luce? Quando il tempo di esposizione supera la decina di secondi allora è possibile utilizzare una torcia (meglio se con luce colorata e focalizzata) per disegnare. Questa tecnica, divenuta famosa con Picasso, permette di dar sfogo alla vostra fantasia disegnando cuori, stradine immaginarie o personaggi sul fondo di un paesaggio notturno, magari persino stellato. Ricordatevi che la luce è il vostro inchiostro e quindi spegnete la luce quando non volete disegnare!

IL MONDO DEEP SKY
E cosa dire di nebulose, galassie ed ammassi di stelle? Poco. Purtroppo per riprendere le nebulose (tranne M42) è necessario modificare la fotocamera digitale sostituendo il filtro originale taglia infrarosso con uno a banda più larga. Per le galassie invece è la lunghezza focale a dominare e (tranne M31) sono necessari almeno 800 mm di focale per ottenere qualche dettaglio. Gli ammassi di stelle, così come M42 ed M31 possono essere riprese con la tecnica illustrata nel paragrafo “Le costellazioni e la Via Lattea”.

Come avrete letto non serve una strumentazione molto costosa per muovere i primi passi nel mondo dell’astrofotografia. Molto di quanto scritto lo si impara direttamente sul campo spesso sperimentando anche nuove tecniche, magari “rubati” da ambiti fotografici completamente differenti da quello astronomico. Pensiamo ad esempio alle tecniche Time-lapse e HDR appena entrate nel mondo dell’astrofotografia.
Una volta che avrete sperimentato queste prime tecniche astrofografiche illustrate in questo articolo potrete fare il prossimo step aumentando la vostra focale fino a 300 mm. Per far questo serve una montatura equatoriale motorizzata del costo approssimativo pari a circa 500 euro (anno 2012). Come vedete non ho parlato di telescopi. I telescopi sono due step più avanti… ma diamo tempo al tempo!




NGC 7000 – 18/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 18/08/2012 – NGC7000

Somma di 2 immagini da 8 minuti 400 ISO + 40 bias + 5 dark + 40 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Rifrattore acromatico 70 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Obiettivo di ripresa: Canon EF 100 mm f/2.8 L IS USM Macro utilizzato ad f/3.5 + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility

(Clicca qui per l’immagine originale in formato JPG)

NGC7000 - 18/08/2012




Via Lattea – 17/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 17/08/2012 – Via Lattea dal Sagittario al Cigno

Somma di 4 immagini da 10 minuti 400 ISO + 30 bias + 7 dark + 30 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Obiettivo di ripresa: Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 18 mm f/4.6 + Camera Canon EOS 40D. Ripresa non inseguita su montatura EQ 3.2

 

 

Via Lattea - 17/08/2012




IC 1318 – 18/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 18/08/2012 – IC1318

Somma di 5 immagini da 8 minuti 400 ISO + 40 bias + 5 dark + 40 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Rifrattore acromatico 70 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Obiettivo di ripresa: Canon EF 100 mm f/2.8 L IS USM Macro utilizzato ad f/3.5 + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility

(Clicca qui per l’immagine originale in formato JPG)

 

IC 1318 - 18/08/2012

 




M11 (NGC 6705) – 18/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 18/08/2012 – M11

Somma di 5 immagini da 8 minuti 200 ISO + 40 bias + 6 dark + 40 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Rifrattore acromatico 70 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Obiettivo di ripresa: Canon EF 100 mm f/2.8 L IS USM Macro utilizzato ad f/3.5 + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility.

(Clicca qui per l’immagine originale in formato JPG)

 

M11 (NGC 6705) - 18/08/2012




IC 5146 – 18/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 18/08/2012 – IC1805

Somma di 2 immagini da 8 minuti 400 ISO + 40 bias + 5 dark + 40 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Telescopio di guida: Rifrattore acromatico 70 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Obiettivo di ripresa: Canon EF 100 mm f/2.8 L IS USM Macro utilizzato ad f/3.5 + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility

(Clicca qui per l’immagine originale in formato JPG)

 

IC 5146 - 18/08/2012




Via Lattea – 17/08/2012

Passo dello Spluga (SO), 17/08/2012 – Via Lattea dal Cigno a Perseo

Somma di 13 immagini da 10 minuti 400 ISO + 30 bias + 7 dark + 30 flat effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3.

Obiettivo di ripresa: Canon EF-S 18-55 mm IS utilizzato a 18 mm f/4.6 + Camera Canon EOS 40D. Ripresa non inseguita su montatura EQ 3.2

 

 

Via Lattea - 17/08/2012