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Il Bias Frame

Negli articoli precedenti abbiamo visto come sia possibile creare per ogni elemento fotosensibile di un sensore a semiconduttore un segnale digitale in un certo senso proporzionale al flusso di radiazione incidente. Tale segnale rappresenterà, al termine del processo di formazione dell’immagine, il livello di luminosità di ciascun pixel di cui il sensore è costituito.

Sino ad ora abbiamo però considerato il caso in cui il sensore venga inondato da fotoni. Cosa succede se però scattiamo una fotografia al buio? Con buio intendiamo la totale assenza di luce ovvero la condizione di avere su ogni elemento fotosensibile zero fotoni. Zero fotoni significa che non abbiamo nessuna fonte di energia in grado di liberare elettroni in banda di conduzione e quindi di generare un segnale di carica. Nessun segnale si traduce infine in un segnale di ampiezza zero in uscita dell’ADC e quindi un livello di luminosità pari a 0 ADU. Riassumendo, una fotografia del buio è una matrice di pixel ciascuno con livello di luminosità pari a 0 ADU. Questo ovviamente in linea del tutto teorica. Vediamo ora cosa succede nella realtà.

DENTRO IL FOTOELEMENTO

In assenza di luce la possibilità di avere elettroni in banda di conduzione dovrebbe essere praticamente zero. Eppure l’agitazione termica degli elettroni associata al fatto che l’elemento fotosensibile a semiconduttore ha una determinata temperatura diversa da zero, permette ad alcuni di essi di “saltare” naturalmente dalla banda di valenza a quella di conduzione. Elettroni liberi si traducono al termine della catena elettronica in segnali luminosi. Ecco quindi che alcuni pixel che dovrebbero avere livello di luminosità pari a 0 ADU possono assumere valori differenti. Tale effetto aumenta all’aumentare della temperatura dell’elemento a semiconduttore la quale dipende dalla temperatura ambiente e dal riscaldamento dello stesso durante il funzionamento (effetto Joule). Ricordiamo inoltre che l’emissione di elettroni per agitazione termica è un processo continuo e quindi il numero di “cariche termiche” accumulate aumenta con il tempo di esposizione. Ridurre al minimo il tempo di esposizione significa quindi diminuire il numero di elettroni di natura termica. Inoltre, come detto prima, la temperatura del sensore dipende anche dalla temperatura ambiente. Questo significa che sistemi di raffreddamento come ventole o celle di Peltier, possono ridurre di molto il fenomeno di emissione di elettroni termici. In assenza di sistemi di raffreddamento vedremo quindi una notevole differenza tra le riprese effettuate in inverno e quelle estive. L’emissione di elettroni termici trasforma il vero segnale di buio pari a 0 ADU in un segnale con un livello di luminosità diverso da zero. Questo disturbo prende il nome di rumore termico. Nell’articolo “Il Dark Frame” vedremo come trattare questo tipo di rumore.

Se però ora effettuiamo uno scatto molto veloce al buio, allora il sensore funzionerà per un tempo così limitato da non permetterne il riscaldamento. Inoltre tempi d’esposizione brevi significano capacità nulla di accumulo delle “cariche termiche” ovvero riduzione quasi completa del rumore termico. Ecco quindi che scatti “veloci” al buio dovranno fornire in uscita dal sensore a semiconduttore segnali elettrici nulli come atteso teoricamente.

LA CATENA ELETTRONICA

Un segnale nullo in uscita dell’elemento fotosensibile corrisponde necessariamente ad un Livello di Luminosità del pixel associato pari a 0 ADU? Ovviamente no. La strada che il nostro segnale deve percorrere è lunga e piena di ostacoli. Il processo di amplificazione, conversione analogico – digitale e molti altri di natura elettronica introducono rumori. Se un sensore è progettato bene, allora tutti i rumori introdotti nel processo di formazione dell’immagine devono essere non correlati e di natura prettamente casuale. A questi possono però aggiungersi rumori non casuali come ad esempio interferenze elettroniche.

Nel caso di uno scatto “veloce” al buio quindi ogni pixel assumerà un livello di luminosità diverso da zero. La distribuzione di livelli di luminosità (istogramma) dei pixel di un sensore sarà quindi descritta da una gaussiana per i rumori di natura casuale con distorsioni più o meno consistenti nel caso in cui vi fossero rumori non casuali. Per motivi di natura tecnologica inoltre, il livello di luminosità corrispondente al buio (0 ADU) è traslato ad un valore noto come offset.

Se volessimo riassumere l’effetto dei rumori fin qui analizzati su un pixel per uno scatto “veloce”, ovvero con tempi di esposizioni prossimi a zero secondi, effettuato al buio potremmo dire:

Livello di Luminosità = valore teorico + offset + rumore termico + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Per quanto detto in precedenza, facendo tendere il tempo di esposizione a zero si ha una riduzione drastica del rumore termico che diventa quindi trascurabile. Inoltre il valore in ADU teorico è 0, dato che non ci aspettiamo elettroni. Quindi la nostra espressione diventa.

Livello di Luminosità = offset + rumore elettronico casuale + rumore elettronico non casuale.

Cosa succede ora se effettuiamo N scatti “veloci” al buio e facciamo la media pixel per pixel del Livello di Luminosità associato? In questo caso ci viene in aiuto la statistica. La media dei valori assunti da una variabile casuale effettuata su un numero di campioni N che tende all’infinito tende al valore vero. Dato che nel nostro caso il rumore elettronico casuale fluttua intorno al valore zero, allora mediando su N scatti con N sufficientemente grande avremo che il rumore elettronico casuale diviene nullo. Pertanto:

Livello di Luminosità [mediato su N scatti] = offset + rumore elettronico non casuale.

Se l’elettronica così come il sensore utilizzato è stata progettata bene e la camera risulta isolata dal punto di vista elettromagnetico, allora il rumore elettronico non casuale dovrebbe essere nullo e il Livello di Luminosità mediato dovrebbe tendere al valore dell’offset del pixel. In caso contrario tale rumore elettronico non casuale, noto come rumore di lettura, sarà presente e non eliminabile dalle nostre immagini astronomiche. Questo può essere ottenuto sottraendo al Livello di Luminosità di un pixel il Livello di Luminosità mediato.

IL BIAS FRAME

Ciascun pixel di un sensore, sia esso CCD o CMOS, possiede quindi un offset. Siamo sicuri che tale offset sia lo stesso per tutti i pixel? Ovviamente no. Ogni pixel (dall’elemento fotosensibile alla catena elettronica) è diverso l’uno dall’altro e pertanto presenta un proprio offset, che mediamente è quello riportato nelle schede tecniche dei sensori. Come fare quindi a normalizzare i nostri pixel, in modo che se fotografiamo il buio otteniamo 0 ADU in ogni pixel? Per fare questo dobbiamo conoscere il valore dell’offset per ogni pixel e sottrarlo ai rispettivi pixel dell’immagine astronomica ripresa. Come fare?

Prendiamo la nostra macchina fotografica digitale (DSLR) o la nostra camera CCD astronomica e poniamo il tappo di fronte all’ottica al fine di non far arrivare fotoni sul sensore ricreando pertanto la condizione di buio. Settiamo come tempo di esposizione il minimo imposto dalle specifiche tecniche della nostra DSLR o camera CCD astronomica (ad esempio 1/8000 secondo per una Canon EOS 40D o 1/1000 di secondo per una ATIK 314L+ B/W). Ricordiamo che per le reflex dobbiamo impostare gli stessi ISO utilizzati per riprendere la nostra immagine astronomica al fine di porsi nelle stesse condizioni di scatto (la catena elettronica funziona in modo diverso a seconda degli ISO impostati). Per lo stesso motivo anche il binning della nostra camera CCD non dovrà essere modificato. Con questi settaggi si riprendano un certo numero di immagini che verranno successivamente mediati al fine di ottenere il Livello di Luminosità medio e quindi l’offset per ciascun pixel del sensore. Tali scatti prendono il nome di bias frame. Quindi, maggiore sarà il numero di bias frame acquisiti, minore sarà l’entità del rumore casuale presente nell’immagine e quindi migliore sarà la determinazione dell’offset. Ricordiamo infatti che, dal punto di vista statistico, la precisione con cui determiniamo l’offset aumenta come la radice quadrata del numero di bias frame acquisiti.

La presenza di rumori non casuali purtroppo va ad aumentare aumentando il numero di bias frame acquisiti e pertanto un basso rumore di lettura è una richiesta importante per un astrofotografo esigente.

Riportiamo di seguito lo studio di un bias frame e della media di 50 bias frame, nota con il nome di master bias frame, per una ATIK 314L+ B/W (sensore CCD) e per una Canon EOS 40D (sensore CMOS).

ATIK 314L+ B/W

L’ATIK 314L+ monocromatica monta un sensore CCD da 1392 x 1040 pixel. Abbiamo ripreso 50 bias frame con binning 1 x 1 e tempo di esposizione pari a 1/1000 secondo. In figura 1 è mostrato il livello di luminosità di un pixel del sensore CCD. Come si vede questo fluttua intorno al valore medio pari a 262.9 ADU con una varianza pari a 15.4 ADU. Lo stesso comportamento è stato mostrato da tutti gli altri pixel che costituisce la matrice del sensore.

Figura 1: Il Livello di Luminosità al variare del bias frame. Come descritto in precedenza questo fluttua intorno al valore “vero” dell’offset pari a circa 262 ADU.

In Figura 2 mostriamo invece la distribuzione dei Livelli di Luminosità (istogramma) dei pixel che costituiscono il sensore per un dato bias frame. La distribuzione è dominata da un rumore di tipo casuale, come dimostra il buon accordo con un fit di tipo gaussiano. Il valore medio della distribuzione è 265.999 ± 0.015 ADU con larghezza pari a 17.774 ± 0.012  ADU. Come atteso, mediando su 50 si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 5.77. Questo non è esattamente quanto previsto teoricamente (7.07) a causa della presenza nel picco gaussiano di contributi non gaussiani (rumori non casuali).

Figura 2: in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CCD in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. Ricordiamo che la larghezza della distribuzione del bias frame è spesso detta readout noise.

Al fine di comprendere l’entità di tali rumori non gaussiani si riporta in figura 3 la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. Come si può notare esistono delle piccole code non gaussiane sicuramente imputabili a del rumore di tipo non casuale. Al fine di determinare se tale rumore è dovuto a fenomeni di interferenza elettronica, abbiamo deciso di sottrarre al bias frame il bias frame mediato (su 50 immagini) e di effettuare su tale differenza l’analisi di Fourier FFT. Il risultato, riportato sempre in figura 3 è uno spettro bianco, sintomo di totale assenza di rumore a frequenza spaziale.

Figura 3: a sinistra la distribuzione dei Livelli di Luminosità del master bias frame in scala semi-logaritmica. A destra lo spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ

 Interessante è l’analisi del master bias. In particolare (Figura 4) è possibile vedere un gradiente tra la zona alta e bassa del sensore. Questo perché durante il seppur breve periodo di trasporto delle cariche, queste stazionano con tempi diversi a seconda della loro posizione sul sensore. I pixel più vicini all’HCCD risultano quindi meno soggetti al rumore termico rispetto a quelli più lontani che integrano tale rumore su un tempo effettivamente maggiore. Questo effetto è invece invisibile nel caso di bias frame acquisiti con sensori di tipo CMOS dove i pixel vengono “svuotati” tutti nello stesso istante. Per maggiori informazioni si legga l’articolo “La Generazione del Segnale: CCD e CMOS”.

Figura 4: master bias. Si osservi come la regione più bassa e vicina al HCCD sia più buia (minor rumore di tipo termico) della regione più alta. A destra inoltre è visibile ad un pattern legato al supporto del sensore.

Concludendo la camera ATIK 314L+ monocromatica risulta tecnologicamente ben realizzata sia dal punto di vista fisico che elettronico. In particolare il rumore è sostanzialmente di natura casuale mentre la componente dovuta al rumore di lettura risulta praticamente trascurabile.

CANON EOS 40D

Anche nel caso della DSLR Canon EOS 40D, dotata di sensore CMOS da 3888 x 2592 pixel, il Livello di Luminosità dei singoli pixel fluttuano intorno al valor medio dell’offset. La distribuzione di tali valori all’interno di un singolo bias frame è mostrato in figura 5. Il valore medio della distribuzione è 1025.66 ± 0.002 ADU con larghezza pari a 7.631 ± 0.002  ADU (il valore più basso di quello ottenuto per la camera astronomica ATIK314L+ è dovuto alla minor dinamica della Canon EOS 40D). Come atteso, mediando su 50 frame si ottiene una riduzione della larghezza pari a circa 7.86. Questo è paragonabile a quanto previsto teoricamente (7.07) dovuto molto probabilmente al maggior numero di pixel presenti rispetto al CCD precedentemente preso in esame.

Figura 5: a sinistra in azzurro la distribuzione dei Livelli di Luminosità di un sensore CMOS in un bias frame. In rosso il risultato di un fit gaussiano della distribuzione. A destra lo stesso grafico in scala semi-logaritmica.

In questo caso la distorsione dello spettro è più evidente rispetto alla CCD ATIK sintomo della presenza non trascurabile di rumori non casuali. Questo è evidenziato dal medesimo plot in scala semi-logaritmica dove si nota la presenza di code a bassi e alti valori di ADU. Per un’analisi dettagliata del rumore di lettura si è proceduto come in precedenza attraverso la sottrazione degli spettri e l’analisi di Fourier. In questo caso si osserva però un rumore a frequenza spaziale fissata di tipo sinusoidale (Figura 6).

Figura 6: spettro di Fourier ottenuto con il software ImageJ. In questo caso l’immagine non è uniforme e si vede un rumore di tipo sinusoidale con frequenza spaziale fissata.

Riassumendo quindi, sia la ATIK 314L+ che la Canon EOS 40D mostrano un bias frame dominato sostanzialmente dal rumore casuale, quindi riducibile mediando molti frame. Per quanto riguarda la componente non casuale (rumore di lettura) nel caso dell’ATIK non presenta pattern spaziali, mentre per la Canon è stata verificata la presenza di un rumore spaziale di tipo sinusoidale.

CONDIZIONI DI BIAS FRAME

Sino ad ora abbiamo considerato completamente trascurabile il rumore termico presente in ciascun bias frame. Tale assunzione è corretta dato che la variazione della larghezza della distribuzione dei Livelli di Luminosità nel bias frame in funzione della temperatura del sensore è praticamente trascurabile e stimabile intorno allo 0.52%/°C . Purtroppo però spesso non si considera un altro fattore molto importante. Al variare della temperatura del sensore anche l’elettronica ad esso connesso risponde in modo differente ed in particolare abbiamo una variazione del valore assoluto dell’offset in funzione della temperatura. Tale confronto è ben visibile in Figura 7 dove si riporta la distribuzione dei Livelli di Luminosità per bias frame effettuati a diverse temperature del sensore.

Figura 7: Distribuzione dei Livelli di Luminosità in bias frame effettuate a diverse temperature del sensore CCD ATIK 314L+ B/W.

In particolare si osserva una variazione della posizione dell’offset pari al 3.47% in soli 5°C di escursione da +10°C a +5°C. Tale variazione è stata osservata anche per lunghe esposizioni (con conseguente aumento della temperatura del sensore) come riportato nell’articolo Canon EOS 40D”.

Ulteriori test saranno effettuati per verificare nuovamente ed in modo più dettagliato questo tipo di fenomeno. Per il momento possiamo comunque affermare che, data la dipendenza dalla temperatura del valore dell’offset, è sempre consigliabile acquisire i bias frame nelle stesse condizioni ambientali presenti al momento della ripresa astronomica.

MEDIA O MEDIANA?

Sino ad ora abbiamo parlato di rumori, ovvero fenomeni fisici sempre presenti in ogni singolo bias frame. Esistono però altri fenomeni che possono verificarsi solo in alcuni bias frame e non in tutti. Questi fenomeni sporadici rischiano però di introdurre un segnale nella media spurio che al netto andrà a peggiorare la qualità dell’immagine astronomica finale. Un segnale sporadico è ad esempio quello generato dai raggi cosmici (per maggiori informazioni si legga l’articolo “I raggi cosmici e l’astrofotografia digitale”) i quali possono rilasciare parte della loro energia in uno o più pixel liberando un gran numero di elettroni.

Un modo per non considerare in una media i pixel che subiscono solo sporadicamente una grossa variazione del loro Livello di Luminosità è utilizzare invece della classica media aritmetica delle immagini, la mediana. Per maggiore informazioni sui vari algoritmi di media di immagini o più precisamente stacking delle immagini si legga l’articolo “Metodi di Stacking.

IRIS ED IL BIAS FRAME

IRIS permette di creare il master bias, partendo dai singoli bias frame. Il metodo utilizzato per combinare le singole immagini è il metodo della mediana. Per quanto riguarda la procedura operativa da seguire si rimanda alla Guida per l’elaborazione delle immagini astronomiche con IRIS. Chi fosse interessato allo studio metodico del bias frame o semplicemente vuole integrare questo articolo con ulteriori considerazioni e schede teniche, è pregato di invare una e-mail a ricerca@astrotrezzi.it




C/2012 K5 (LINEAR) – 29/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 200 mm f/5 [Sartori Olga]

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 314L+ color [6.45 μm] [Rosario Magaldi]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6 [Sartori Olga]

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter):  non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1391 x 1039 (originale/original), 1235 x 923 (finale/final)

Data (Date): 29/12/2012

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 7 x 60 sec bin 1×1 a/at -20.0°C.

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 90%

Campionamento (Pixel scale): circa 1.3212 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 1000 mm

Note (note): copyright GRUPPO AMICI DEL CIELO.

C/2012 K5 (LINEAR) - 29/12/2012

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Vincitore Concorso ASTROfotografico 2012

Il vincitore del Concorso ASTROfotografico 2012 organizzato da ASTROtrezzi va a ROCCO PARISI con l’immagine dal titolo Centro Via Lattea effettuata con una fotocamera reflex digitale modello Canon EOS 550D modificata Baader BCF + Obiettivo Yashica ML 50mm f/2 utilizzato ad f/4. La ripresa è stata inseguita il giorno 23/06/2012 dai Monti Nebrodi (Sicilia, 1600 m s.l.m.) con Montatura SkyWatcher HEQ5 Synscan. Il risultato ottenuto è somma di 22 immagini da 180 secondi a 1600 ISO calibrata con 7 dark, 21 flat e 21 bias per un tempo integrato pari a 1h 6min. Elaborazione effettuata con il software DeepSkyStacker e Photoshop CS3.

Immagine vincitrice del Concorso ASTROfotografico 2012 (ROCCO PARISI)

ASTROtrezzi.it ha valutato tutte le immagini inviante dai lettori sia dal punto di vista tecnico che soggettivo assegnando a ciascuna un punteggio in centesimi. La vincitrice del concorso ha ottenuto 90/100 rispecchiando da un lato le ottime qualità tecniche della ripresa (dallo scatto alla post produzione) e dall’altro l’idea che si cela dietro tale immagine ovvero la capacità di ottenere immagini fantastiche del cielo notturno anche con strumenti semplici. Questo sia di stimolo per quanti vogliono cominciare a muovere i primi passi nel mondo dell’astrofotografia, spesso scoraggiati dai prezzi e dalle complesse tecnologie dell’era digitale.

Davide Trezzi ringrazia tutti i partecipanti ed in particolare Maia Mosconi, Simona Danielli, Boris Mosconi, Paolo Mori, Rosario Magaldi, Ilea Valentin, Emiliano Riva, Giuseppe Alvaro ed ovviamente Rocco Parisi. Scegliere tra le 34 foto in gara non è stato semplice dato che tutte si sono dimostrate di elevata qualità tecnica ed espressiva. Non mi resta di augurarvi un Buon Anno e sperare di rivedervi con fantastiche immagini nella prossima edizione del Concorso Astrofotografico di ASTROtrezzi.it

Di seguito riportiamo per ciascun autore l’immagine che ha ottenuto il punteggio maggiore: buona visione! Per visualizzare tutte le altre immagini in concorso clicca qui.

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Notturno a Sormano – 28/12/2012

Riportiamo alcune immagini riprese da Sormano (CO) il 28/12/2012 in condizione di Luna Piena. La camera di ripresa è una Canon EOS 40D + Obiettivo Samyang FishEye 8mm su cavalletto. I dati tecnici sono riportati sotto ciascuna immagine.

We post some pictures taken in Sormano (CO) the 28th of December 2012 with full moon. Camera was a Canon EOS 40D  + Samyang FishEye 8mm lens on tripod. Technical data are reported under each picture.

 

218 sec, 400 ISO, f/22

270 sec., 400 ISO, f/22

300 sec, 400 ISO, f/22

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Sole in Hα – 09/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): LUNT H-alpha 60mm BF1200 [Gruppo Amici del Cielo]

Camera di acquisizione (Imaging camera): Imaging Source DBK31.AU03 colori [4.65 μm] [Gruppo Amici del Cielo]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): non presente (not present)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1024 x 768

Data (Date): 09/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): mosaico di 17 pose, ciascuna somma di 1000 frames per l’immagine a colori (mosaic of 17 pictures, each one is sum of 1000 frames for the true color image) / mosaico di 12 pose, ciascuna somma di 1000 frames per l’immagine solar nirvana (mosaic of 17 pictures, each one is sum of 1000 frames for the solar nirvana image).

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 13%

Campionamento (Pixel scale): 1950 sec / 1016 pixel = 1.9193 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 500 mm

Sole in Hα – 09/12/2012

Riportiamo anche l’immagine della sola Cromosfera (effetto eclisse) / Image of Chromosphere only (eclipse effect) is also reported.

Sole in Hα – 09/12/2012

Riportiamo il Solar Nirvana effettuato sul bordo nord occidentale del Sole / Solar Nirvana is also reported.

Solar Nirvana - Sole 09/12/2012




Giove – 19/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher WidePhoto 200 mm f/4

Camera di acquisizione (Imaging camera): Imaging Source DBK31.AU03 colori/color [4.65 μm] – Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax5.1/Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 1024 x 768800 x 600

Data (Date): 19/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di circa 1000 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 49.9%

Campionamento (Pixel scale): 0,21727 arcsec/pixel – 0.24599 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 4360 mm

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

 

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

 

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

 

Giove - 19/12/2012 - il satellite in figura è Io

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La “modifica Baader” per DSLR

L’avvento della fotografia digitale ha aperto un nuovo mondo all’astrofotografo che da pellicole ipersensibilizzate, tiraggi e rullini in frigorifero si è ritrovato catapultato nel pianeta del rumore elettronico, somme e flat field.

Se però in passato per riprendere il cielo era necessaria tanta esperienza sul campo e una reflex, oggi non è più cosi. Infatti gran parte dell’esperienza la si fa davanti al computer sfogliando i numerosi articoli presenti sul web mentre una reflex digitale offre si la possibilità di riprendere il cielo ma con molte limitazioni. Infatti al fine di migliorare le immagini fornite dai sensori digitali, che altrimenti risulterebbero poco definite, si è deciso di montare di fronte al sensore CMOS un filtro IR-cut. Questo è importantissimo per le riprese diurne ma è un peso insostenibile per l’astrofotografo notturno. Tale filtro è vero che taglia l’IR ma, allo stesso tempo, diminuisce notevolmente la sensibilità del sensore nella regione rossa dello spettro elettromagnetico ed in particolare in prossimità della lunghezza d’onda a 6561.1 Å nota come linea Hα dell’Idrogeno. Gran parte delle nebulose purtroppo emettono in questa frequenza e una riduzione di efficienza quantica in tale zona risulta pertanto dannosa in termini astrofotografici.

Ecco quindi che l’azienda Baader ha messo in produzione alcuni filtri che, se sostituiti a quelli ufficiali posti di fronte al sensore delle DSLR, permettono di recuperare completamente l’efficienza quantica in quella regione dello spettro. I filtri Baader rimangono dei filtri IR-cut, dato che la radiazione IR deve comunque essere bloccata al fine di salvaguardare la qualità dell’immagine, ma allo stesso tempo risultano trasparenti alla linea Hα dell’Idrogeno. Ovviamente la Baader non è l’unica azienda che produce filtri del genere ma ad oggi la sostituzione del filtro originale con uno astronomico prende generalmente il nome di “modifica Baader”. Anche Canon ha prodotto due modelli di reflex digitali con filtri modificati per l’astronomica ed esattamente la Canon EOS 20Da e la moderna Canon EOS 60Da.

Figura 1: L'efficienza quantica dei pixel rossi di una Canon EOS 40D originale (linea tratteggiata) e modificata Baader (linea continua). La banda nera rappresenta la posizione della linea Hα dell'Idrogeno, lunghezza d'onda dove emettono gran parte delle nebulose.

Escludendo questi modelli “commerciali”, la sostituzione dei filtri Baader è a carico del consumatore che può comunque fare affidamento su persone specializzate nel settore che sostituiscono il filtro ad un prezzo contenuto.

Ma quanto si guadagna in termini astrofotografici con la sostituzione del filtro? La risposta è semplice: molto. Se si considera ad esempio una Canon EOS 40D; l’efficienza quantica dei pixel rossi passa dal 8.09% originali al 24.61% del modello modificato Baader (vedi Figura 1). Un fattore 3 in efficienza quantica svolge un ruolo fondamentale nella buona riuscita di una ripresa astronomica. Un confronto tra due riprese effettuate con una Canon EOS 500D originale e modifica è riportato in Figura 2.

Cosa possiamo dire riguardo i pixel verdi e blu? Come influisce la modifica su questi tipi di pixel? La risposta è semplice e la trovate nella figura 1 dell’articolo “Efficienza Quantica”. La modifica Baader sostanzialmente non modifica l’efficienza quantica dei pixel verdi e blu. Questo si traduce nel non avere nessun tipo di guadagno in luminosità per oggetti di quel colore. Pertanto, riprendere nebulose come quella che circondano le Pleiadi o galassie come la Grande Galassia di Andromeda, con filtro originale o Baader, non comporta nessuna differenza.

Figura 2: Un confronto tra due immagini della nebulosa M8 ed M20 nel Sagittario riprese con una Canon EOS 500D originale (immagine di sinistra) e modificata (immagine di destra).




NGC 7635 – 10/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 314L+ B/W [6.45 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3/CS6

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (coma corrector)

Filtri (Filter):  Astronomik CCD Hα 13nm, Astronomik CCD RGB

Risoluzione (Resolution): 1391 x 1039 (originale/original), 1291 x 951 (finale/final)

Data (Date): 06-10/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): 5 x 900 sec bin 1×1 Hα (06/12/2012) a/at -17.0°C, 6 x 480 sec bin 1×1 R (10/12/2012) a/at -14.9°C, 4 x 480 sec bin 1×1 G (10/12/2012) a/at -14.9°C, 4 x 480 sec bin 1×1 B (10/12/2012) a/at -14.9°C.

Calibrazione (Calibration): 5 x 900 sec dark Hα (06/12/2012), 9 x 480 sec dark RGB (10/12/2012), 50 bias Hα (06/12/2012), 50 bias RGB (10/12/2012), 50 flat Hα (06/12/2012), 50 flat R (10/12/2012), 50 flat G (10/12/2012), 50 flat B (10/12/2012)

Fase lunare media (Average Moon phase): 42% (06/12/2012), 6% (10/12/2012)

Campionamento (Pixel scale): 660 sec / 374.66 pixel = 1.7616 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 750 mm

Note (note): LRGB (HαRGB)

NCG 7635 - 10/12/2012

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Efficienza Quantica

Nell’articolo Il fotoelemento: fotodiodo e photogateabbiamo visto come un fotone di lunghezza d’onda compresa tra 350 e 1100 nm ha una certa probabilità di venir “convertito” in elettroni liberi. Ovviamente quanto detto è un concetto generale che in questo post andremo ad approfondire più dettagliatamente. In primo luogo ricordiamo che il limite a bassa lunghezza d’onda è fissato dalla riflessione dei fotoni incidenti sul Silicio che compone il fotoelemento mentre quello ad alta lunghezza d’onda è fissato dall’energy gap del materiale. A lunghezze d’onda inferiori e superiori il Silicio diviene praticamente trasparente (riflettente) alla radiazione luminosa.

Nell’articolo E’ questione di elettroni abbiamo detto che se un fotone si trova nel range di lunghezze d’onda appropriato, questo verrà assorbito dal fotoelemento. Questo è vero se lo spessore del Silicio fosse infinito. Infatti un fotone di lunghezza d’onda λ ha una determinata probabilità P di essere assorbito da uno spessore d di Silicio. Per un fotoelemento, tale probabilità è generalmente inferiore al 100% e aumenta all’aumentare di d. Questo spiega perché i sensori retroilluminati (più spessi) sono anche quelli più sensibili alla radiazione luminosa.

Ora, P(λ) rappresenta veramente la probabilità che un fotone di lunghezza d’onda λ venga registrato dal nostro sensore, sia esso di tipo CCD o CMOS? Ovviamente no. Infatti P(λ) non tiene in considerazione la geometria del fotoelemento, la capacità di raccogliere la carica depositata e molti altri fattori. La grandezza fisica che raccoglie tutte queste informazioni è detta efficienza quantica QE. Ovviamente QE è funzione di λ e riflette complessivamente l’andamento di P(λ).

L’efficienza quantica, per definizione, è riferita ad un singolo fotoelemento e quindi è un concetto generalizzabile ad un sensore a patto di considerare la risposta di ciascun pixel alla luce identica. Inoltre la risposta del Silicio alla luce dipende dalla temperatura dello stesso ed in particolare si ha una riduzione di QE al diminuire della temperatura di funzionamento. Quindi non è sempre detto che un Silicio funziona tanto meglio quanto raffreddato (si veda l’articolo “Il dark frame”).

Al fine di migliorare l’assorbimento della luce, solitamente viene posto uno strato antiriflesso di fronte al fotoelemento.

Nel caso delle DSLR è necessario prendere in considerazione anche la presenza dei filtri interposti nel cammino ottico. In particolare il filtro IR-cut posto di fronte al sensore e la matrice di filtri colorati RGB. Ecco quindi che rivenditori, come ad esempio Nikon o Canon, forniscono per ogni fotocamera digitale tre curve di efficienza quantica, una per ciascun filtro colorato.

In figura 1 riportiamo l’efficienza quantica dell’occhio umano, di un sensore CCD (Atik 314L+ monocromatica), di un sensore CMOS (Magzero MZ-5m) e di una reflex digitale (sensore CMOS Canon EOS 40D) con e senza modifica Baader.

Figura 1: confronto tra efficienze quantiche di diversi strumenti per la visione/ripresa notturna.




NGC 7635 – 06/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 314L+ B/W [6.45 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3/CS6

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (coma corrector)

Filtri (Filter):  Astronomik CCD Hα 13nm, Astronomik CCD SII 13nm, Astronomik CCD OIII 12nm

Risoluzione (Resolution): 1391 x 1039

Data (Date): 06/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): 5 x 900 sec bin 1×1 Hα, 1 x 1024 sec bin 1×1 SII, 1 x 1024 sec bin 1×1 OIII

Calibrazione (Calibration): 5 x 900 sec dark, 1 x 1024 sec dark, 50 bias, 50 flat x  Hα, 50 flat x SII, 50 flat x OIII

Fase lunare media (Average Moon phase): 42%

Campionamento (Pixel scale): 660 sec / 374.66 pixel = 1.7616 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 750 mm

Note (note): LRGB (HαSIIHαOIII)

NGC 7635 - 06/12/2012

NGC 7635 - 06/12/2012 (filtro/filter Hα)

NGC 7635 - 06/12/2012 (filtro/filter SII)

NGC 7635 - 06/12/2012 (filtro/filter OIII)




Giove – 03/12/2012

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher WidePhoto 200 mm f/4

Camera di acquisizione (Imaging camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): non presente (not present)

Camera di guida (Guiding camera): non presente (not present)

Riduttore di focale (Focal reducer): non presente (not present)

Software (Software): Registax6 + Adobe Photoshop CS6

Accessori (Accessories): Lente di Barlow TeleVue Powermate 5x (TeleVue Powermate 5x Barlow lens)

Filtri (Filter): non presente (not present)

Risoluzione (Resolution): 800 x 600

Data (Date): 03/12/2012

Luogo (Location): Briosco – MB, Italia (Italy)

Pose (Frames): somma di 500 frames

Calibrazione (Calibration): non presente (not present)

Fase lunare media (Average Moon phase): 76%

Campionamento (Pixel scale): 48.46 sec / 197 pixel = 0.24599 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 4360 mm

(clicca qui per scaricare l’immagine originale in formato TIFF – click here in order to download the TIFF file)

Giove - 03/12/2012




Archiviazione delle informazioni

Abbiamo visto in ADC dal mondo analogico a quello digitale” come il risultato finale della nostra ripresa astrofotografica, effettuata con sensori CCD o CMOS, sia una sequenza di segnali digitali in grado di fornire informazioni sul numero di fotoni che hanno inciso durante l’esposizione su ogni singolo fotoelemento a semiconduttore. Questi segnali digitali dovranno quindi essere ora memorizzati in maniera opportuna su un supporto informatico come una scheda di memoria (ce ne sono di diversi tipi tra cui le più diffuse sono le SD e CF) o il disco fisso di un computer (nel caso di scatto remoto). Come sappiamo il risultato di questa memorizzazione sarà un file.

In astrofotografia digitale abbiamo molteplici formati in grado di memorizzare i file contenenti le informazioni della ripresa. In questo post analizzeremo i file più diffusi.

RAW

Con la parola RAW (grezzo) si indicano i file memorizzati dalle fotocamere digitali in grado di contenere tutte le informazioni in uscita dall’ADC. Dato che ogni casa produttrice ha un sistema diverso di acquisizione e conversione del segnale analogico in digitale, esistono molteplici file RAW, ciascuno con la sua estensione proprietaria. Ad esempio Canon utilizza il formato CRW (Canon RaW) con estensione CR2 mentre Nikon utilizza il formato NEF (Nikon Electronic Format) con estensione omonima.

I file RAW sono importantissimi per l’astrofotografia, dato che contengono le informazioni “originali” del sensore, prima che il processore della camera demosaicizzi l’immagine come descritto in “Costruire un’immagine a colori”. Il processo di demosaicizzazione include un peggioramento della qualità dell’immagine e dovrebbe venire applicato solo una volta che tutti i parametri di ripresa (bilanciamento del bianco, contrasto, …) sono stati opportunamente corretti. Questi parametri vengono corretti automaticamente dal processore. Ma se volessimo correggerli noi? In questo caso solo il file RAW ci permette di accedere alle informazioni necessari.

Ovviamente utilizzando i file RAW si rende necessario una “demosaicizzazione” a mano, oggi automatizzata da software di post produzione come Adobe Camera Raw (plug-in di Photoshop) o IRIS. Questi software sono in grado di leggere gran parte dei formati RAW proprietari oggi presenti sul mercato.

Data l’enorme mole di informazioni contenute nel file RAW, questi occupano molto spazio su disco, aumentando di conseguenza il tempo di salvataggio. Mentre quest’ultimo problema è risolubile solo aumentando la velocità dell’elettronica della camera e dei supporti di archiviazione, la riduzione dello spazio su disco è possibile utilizzando software di compressione.

Come si può ben capire il RAW non è un file immagine ma un file di dati. Una volta modificati opportunamente i parametri di ripresa il software di post produzione procede con la demosaicizzazione generando un’immagine a colore. Questa dovrà essere salvata in un file di tipo immagine. Quindi riassumendo, ad ogni file RAW corrisponde un file immagine. Nelle prossime sezioni vediamo quali sono i file immagini più diffusi in astrofotografia.

TIFF (8 o 16 bit/canale, compresso), PIC e BMP

L’immagine a colori fornita dal file RAW ha un gamma tonale dettata dal numero di bit dell’ADC come illustrato nel post “ADC: dal mondo analogico a quello digitale”. Questa non è ovviamente visualizzabile dato che molto spesso è superiore alla gamma tonale dell’occhio umano pari ad 8bit. Quello che succede è che la gamma tonale viene compressa dal numero di bit dell’ADC a 8bit. Questa “compressione” però è solo visuale, l’immagine che fuoriesce da un file RAW contiene infatti tutta la gamma tonale originale. In questo modo se tagliate parte dell’istogramma dell’immagine ottenuta a partire da un file RAW non perderete in quantità, dato che avrete un numero di toni sovrabbondante rispetto a quelli che può vedere l’occhio umano.

Il formato immagine in grado di memorizzare tutta la gamma tonale originale fornita dal file RAW sono il PIC ed il TIFF a 16 bit/canale. Al momento, dato che il numero di bit (per canale RGGB) fornito dagli ADC di DSLR e CCD è generalmente inferiore o uguale a 16bit, il TIFF a 16 bit/canale ed il PIC risultano essere formati appropriati.

È però possibile salvare l’immagine prodotta dal file RAW in un formato ad 8bit. In questo caso la visualizzazione compressa si trasforma in vera è propria riduzione del numero di bit e quindi della gamma tonale. Esempi sono i formati TIFF a 8bit/canale o BMP.

Perché salvare un’immagine in formato TIFF a 8bit/canale o BMP quando esistono formati come il TIFF a 16bit/canale o PIC? La ragione è ovviamente di natura pratica: diminuire lo spazio occupato dai file su disco.

In astrofotografia digitale, la pratica più utilizzata è quella di salvare l’immagine generata dal file RAW in TIFF a 16bit/canale o PIC ed effettuare la cosmetica su questi tipi di file. In questo modo sfrutteremo al meglio il segnale fornito dall’ADC della nostra fotocamera digitale. Una volta applicate tutte le modifiche sarà possibile salvare l’immagine in formato TIFF a 8bit/canale o BMP ottenendo un file di dimensioni inferiori e di facile trasportabilità. La riduzione della gamma tonale non comporterà perdite alla qualità dell’immagine. Ovviamente una volta convertita in immagine ad 8bit/canale non sarà possibile apportare altre modifiche di cosmetica all’immagine a meno di non voler perdere dettagli o introdurre artefatti (come la posterizzazione, vedi il post “Istogramma e stretching dinamico: come ottenere il massimo dalla dinamica del nostro sensore”).

È possibile inoltre comprimere i file TIFF in modo che questi occupino meno spazio su disco, senza perdere nessuna informazione. Tale formato si chiama, con molta fantasia, TIFF compresso.

JPEG

Il formato JPEG è sicuramente il formato immagine più diffuso, principalmente grazie alle ridotte dimensioni che questo occupa su disco. La gamma tonale che questo file riesce a memorizzare è di soli 8bit/canale, quindi del tutto simile ad un TIFF 8bit/canale o ad un BMP. Perché allora il formato JPEG occupa meno spazio addirittura di un TIFF compresso?

Anche le immagini JPEG sono compresse, ma utilizzano metodi lossy ovvero che durante la compressione perdono informazioni. Questo processo distruttivo per l’immagine permette al JPEG di occupare dimensioni anche molto ridotte. La perdita di qualità dell’immagine a seguito della compressione viene caratterizzata da una grandezza nota come fattore di compressione.

L’utilizzo di immagini JPEG è vivamente sconsigliato in astrofotografia. È comunque possibile salvare una compia dell’immagine finale ad 8bit o 16bit non compressa in JPEG al fine di una sua distribuzione sul web. In tal caso, per mantenerne la qualità si consiglia di utilizzare un fattore di compressione minimo.

Alcune DSLR permettono il salvataggio RAW + JPEG, utile per visualizzare velocemente le informazioni contenute nel file RAW

Ricordiamo infine che le fotocamere digitali, se non indicato diversamente, salvano le immagini su scheda (o disco nel caso di controllo remoto) in formato JPEG. Lo sviluppo RAW in JPEG ovvero la demosaicizzazione, bilanciamento del bianco e compressione, vengono effettuati dal microprocessore della DSLR (DIGIC per fotocamere Canon). Questo perché il tempo di processo sommato a quello di memorizzazione del formato JPEG su scheda è decisamente più veloce del solo salvataggio del file RAW. Ovviamente scattando in JPEG il file RAW (sempre prodotto) rimane in memoria e viene subito cancellato dopo il processo di “sviluppo” in JPEG.

FITS

Il formato FITS è molto diffusi in Astronomia e recentemente è divenuto uno standard per CCD astronomici amatoriali. Come il file RAW, questo formato contiene tutte le informazioni relative al sensore CCD precedenti al processo di demosaicizzazione.

Oltre all’immagine il file FITS può contenere molteplici informazioni e questo ne giustifica l’utilizzo in ambito scientifico professionale. Altro vantaggio che diventerà importante in futuro con le nuove generazioni di ADC, è che il formato FITS permette di salvare immagini a 32bit/canale.

File FITS possono essere interpretati da software come FITS Liberator (Plug-in di Photoshop) o IRIS.

Concludendo quindi abbiamo scoperto come ottenere il massimo dalle nostre immagini digitali ed in particolare è stata illustrata una procedura che a partire dal file RAW ci permette di costruire immagini corrette a 16bit o superiore. Queste possono essere a loro volta modificate grazie ai programmi di post produzione come Photoshop ed infine salvate in formati compressi come il “comodo” JPEG.

Il file RAW, così come l’immagine a 16bit (o superiore) devono venire archiviate, perché contengono tutte le informazioni sullo scatto. I file JPEG invece possono essere utili per un’eventuale pubblicazione sul web o per inviare le fotografie tramite mail.




Giove – 20/11/2012

Briosco (MB), 20/11/2012 – Giove

Telescopio di ripresa: Riflettore Newton SkyWatcher Black Diamond 150 mm f/5

Montatura: Equatoriale alla tedesca, SkyWatcher NEQ6

Camera di ripresa: MagZero MZ-5m B/W, Celestron NexImage colori, Imaging Source DBK31.AU03 colori.

Elaborazione e note: Immagine ripresa con MagZero MZ-5m – Somma di due immagini, ciascuna somma di 500 frame effettuata con Registax6. Elaborazione finale con Photoshop. Immagine ripresa con Celestron NexImage – Somma di 500 frame effettuata con Registax6. Elaborazione finale con Photoshop. Immagine ripresa con Imaging Source DBK31.AU03 – Somma di 1000 frame effettuata con Registax6. Elaborazione finale con Photoshop.

Giove - 20/11/2012 ripreso con camera MagZero MZ-5m

Giove - 20/11/2012 ripreso con camera Celestron NexImage

Giove - 20/11/2012 ripreso con camera Imaging Source DBK31.AU03




M33 (NGC 598) – 07/11/2012

Sormano (CO), 07/11/2012 – M33

Somma di 16 immagini da 195 secondi 800 ISO + 45 bias + 12 dark + 45 flat effettuata con IRIS + Photoshop

Telescopio di guida: Rifrattore ED 80 mm f/7 + Camera Magzero MZ-5m. Software controllo PhD guiding.

Telescopio di ripresa: Newton 150 mm SkyWatcher Black Diamond f/5 + correttore di coma + Camera Canon EOS 500D modificata. Software controllo Canon Utility.

M33 (NGC 598)

presentiamo anche una seconda elaborazione effettuata utilizzando la tecnica del Layered Contrast Stretching

M33 applicando il metodo Layered Contrast Stretching




IC 1396 – 05/11/2012

Briosco (MB), 05/11/2012 – IC1396
Composizione LRGB [HαHαSIIOIII] effettuata con IRIS + Photoshop dove:

  • L: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 1 x 1 effettuata con IRIS.
  • R: Filtro Astronomik Hα 13nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 1 x 1 effettuata con IRIS.
  • G: Filtro Astronomik SII 13nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 2 x 2 effettuata con IRIS.
  • B: Filtro Astronomik OIII 12nm. Somma di 3 immagini da 1200 secondi bin 2 x 2 effettuata con IRIS.

Telescopio di guida: Rifrattore ED 80 mm f/7 Tecnosky Carbon Fiber + Camera Magzero MZ-5m.
Obiettivo di ripresa: Newton 150 mm f/5 SkyWatcher Black Diamond + Correttore di Coma Baader + filtro Astronomik +  CCD Atik 314L+ B/W.

L’immagine è stata pensata come un primo test del nuovo Newton 150 mm f/5 Black Diamond. Purtroppo l’umidità si è depositata sulle ottiche durante la notte rovinando completamente la posa.

IC 1396 - 05/11/2012




Realizzare un Mosaico Lunare/Solare con una webcam

Su internet spesso si trovano immagini del disco lunare riprese con reflex digitali e obiettivi costosissimi. In questo articolo vedremo come con un telescopio economico (anche inferiore alle 500 euro) ed una webcam astronomica (da 150 euro circa) sia possibile fare delle riprese lunari con dettagli superficiali impressionanti, ben superiori a quelli ottenibili con una qualsiasi reflex digitale.
Partiamo dallo scoprire quali sono i due concetti che stanno alla base di questa tecnica che d’ora in poi chiameremo del “mosaico lunare/solare”.

RUMORE
Se puntate un 600 mm da 10’000 euro con rispettiva Canon EOS 1D Mark III DS da 6’200 euro (solo corpo) sul disco lunare e scattate, quello che otterrete è un singolo scatto del disco lunare da 21 Mpixel.
Non spaventatevi dei costi o dei fantastici 21 Mpixel, ma focalizzatevi sulla parola singolo scatto. Pensateci bene! Malgrado siamo di fronte ad una Canon EOS 1D Mark III DS, questa presenterà del rumore elettronico che andrà a disturbare la qualità della nostra immagine. La tecnica di riduzione del rumore può essere effettuata riprendendo multipli scatti e calibrando come descritto per l’astrofotografia deep sky nell’articolo “Guida all’astrofotografia digitale”. Ma quanti scatti possiamo effettuare… tanti: 10, 50, 100 … dipende dalla vostra pazienza.
Immaginate però ora di avere un piccolo sensore CCD, molto più sensibile alla luce e con rumore elettronico inferiore ai CMOS presenti nelle reflex digitali. Supponete anche che questo sensore sia in grado di riprendere dei video (AVI, RAW, …) con un numero di frame per secondo (frame rate) molto elevato, tipo 30 fps.

Esempio di webcam astronomica (una Philips SPC900NC modificata) applicata ad un telescopio.

Un video non è che una successione di immagini (frame) montati sequenzialmente uno dopo l’altro. Il programma Registax6, di cui in seguito riportiamo una guida all’utilizzo, permette di “smontare” i video AVI in singoli frame.
Con un frame rate di 30 fps, avrete 300 immagini in soli 10 secondi di video. A questo punto potrete utilizzare questi frame per effettuare somme e calibrazioni riducendo così ulteriormente il rumore elettronico.
Secondo voi quanto ci mettereste a scattare 1800 immagini in RAW con la vostra Canon EOS 1D Mark III DS? Con una webcam astronomica (dotata di CCD) vi basterà un solo minuto! Inoltre l’immagine finale sarà meno rumorosa data l’elevata qualità dei sensori CCD.

DIMENSIONE DELL’IMMAGINE
A questo punto però il fotografo malizioso potrebbe dire: “Ma io ho 24 Mpixel”, mentre tu con la tua CCD astronomica hai una risoluzione 640 x 480 pari a 0.3 Mpixel. Per rispondere alla provocazione possiamo sfruttare la tecnica del mosaico. Infatti il nostro fotografo ha un teleobiettivo da 600 mm. Se noi utilizziamo un sensore piccolo (quindi con fattore di amplificazione dell’immagine grande) con una lente moltiplicatrice e un telescopio di media focale, come quelli economici che trovate in un qualsiasi negozio di ottica, allora potrete riprendere la Luna a “pezzi” con una focale lunghissima e poi unire il tutto con la tecnica del mosaico (vedi guida). Con una webcam, alcuni astrofili sono riusciti ad ottenere un’immagine del disco lunare da 87.4 Mpixel!!! Ricordiamo inoltre che un qualsiasi telescopio, anche i più economici, hanno qualità ottica e diametro ben superiore a qualsiasi teleobiettivo in commercio.
Ovvio che per fare un buon mosaico è necessaria una buona dose di pazienza.

SEEING
Ed ecco infine uno dei problemi che solo una webcam può risolvere: il seeing. La luce che ci arriva dalla Luna, prima di arrivare nella nostra reflex, passa attraverso l’atmosfera terrestre. Oltre ad alterarne i colori, le differenze di temperatura tra gli strati più o meno densi dell’atmosfera terrestre, generano dei moti che si traducono in un effetto tipo “sfocatura” dell’immagine. Questo effetto prende il nome di “turbolenza atmosferica” o “seeing”. Effettuando un singolo scatto al disco lunare, quello che otterrete è un “surgelamento” del seeing, ovvero registrerete l’immagine così come in quello scatto è stata deformata / sfocata dal seeing. Se invece sommate molti frame estratti da un video, come avviene nelle webcam, allora il seeing risulterà “mediato”, ed essendo un fenomeno prevalentemente casuale, diminuirà come per magia all’aumentare del numero di frame utilizzati.

Concludendo, la ripresa del disco lunare e dei suoi particolari con DSLR e teleobiettivi costosi non ha passato, presente e probabilmente neppure futuro. Oggi abbiamo reflex in grado di effettuare video AVI in formato HD ma purtroppo non esiste ancora nessun software in grado di elaborare una mole così eccessiva di dati. Infine l’utilizzo di telescopi è sicuramente consigliato rispetto anche ai più costosi obiettivi dato che sono sistemi otticamente più semplici e spesso di qualità superiore. Una guida su come elaborare un video AVI al fine di ottenere l’immagine media e su come effettuare un mosaico lunare è riportata qui. Il software utilizzato è Registax6. Per scaricarlo basta seguire il link riportato in ASTROlink.




Tecniche di ripresa del cielo notturno

Il neofita spesso crede che l’unico modo per riprendere gli oggetti celesti sia collegare la propria reflex digitale al telescopio tramite “qualche” anello adattatore. In realtà questo è vero solo in parte. Esistono numerose configurazioni del proprio setup astronomico a seconda del campo visivo che l’astrofotografo vuole inquadrare. I metodi che affronteremo in questo post sono: ripresa a fuoco diretto, ripresa in parallelo, ripresa in proiezione di oculare e metodo afocale. Prima di affrontare però una descrizione dettagliata di questi, è corretto ricordare che è possibile riprendere il cielo anche senza l’ausilio di montature, fissando la propria camera ad un normale cavalletto fotografico. Per maggiori informazioni sulle possibilità che questo metodo offre si legga l’articolo “L’Astrofotografia di tutti i giorni”.

Ripresa a fuoco diretto e in proiezione d’oculare

Configurazione per riprese a fuoco diretto

La ripresa a fuoco diretto è la tecnica più “intuitiva” in cui, tramite un anello adattatore noto come anello T2, si collega al fuoco diretto del telescopio la propria fotocamera digitale. Ma cos’è il fuoco diretto?
Tutti i raggi di luce che incidono sul sistema ottico che costituisce il nostro telescopio (lenti e/o specchi) vengono focalizzati in un punto (piano) detto fuoco diretto del telescopio. Se però in prossimità del fuoco mettiamo un ulteriore sistema ottico, come un oculare, in grado di modificare l’ingrandimento fornito dal telescopio, allora questo modificherà il punto (piano) di fuoco che andrà a trovarsi in una posizione differente detta fuoco indiretto.
Se si pone la fotocamera digitale in concomitanza del fuoco indiretto è possibile riprendere l’oggetto celeste sfruttando l’ingrandimento fornito dall’oculare. Questa tecnica è detta ripresa a fuoco indiretto o in proiezione d’oculare.

Configurazione per riprese in proiezione d'oculare

Quando una reflex è collegata al fuoco diretto del telescopio la focale del sistema, così come il suo rapporto, è quella del telescopio. Nel caso invece di ripresa in proiezione d’oculare invece la focale equivalente sarà:
dove F è la focale del telescopio, Dp è la distanza tra l’oculare ed il sensore CMOS/CCD e Fo è la focale dell’oculare utilizzato per la proiezione. Da questa si evince il rapporto focale:
La ripresa a fuoco diretto è quella utilizzata per la ripresa di oggetti deep-sky mentre quella in proiezione d’oculare risulta adatta per la ripresa di stelle doppie e pianeti.

Ripresa in parallelo
Ma è strettamente necessario utilizzare un telescopio per riprendere il cielo notturno? In realtà no. È infatti possibile montare una fotocamera digitale equipaggiata di zoom, teleobiettivo o grandangolo in parallelo al telescopio, come mostrato in figura. Questo permette di aumentare il campo fornendo un ingrandimento adatto per la ripresa di grandi complessi nebulari, ammassi stellari o la Via Lattea stessa.

Configurazione per riprese in parallelo

Questo metodo è il più semplice, spesso alla portata del neofita. Il telescopio su cui è montato l’obiettivo può essere inoltre utilizzato come telescopio di guida, ovvero un sistema in grado di controllare che la montatura insegua bene il cielo mentre la camera è in ripresa.
In questa configurazione la lunghezza focale così come il rapporto, è quella dell’obiettivo montato in parallelo.

Metodo afocale
Questo metodo è quello più intuitivo e consiste nell’appoggiare una fotocamera digitale dotata di zoom direttamente all’oculare del proprio telescopio. In questo caso lo zoom rifocalizza sul sensore quanto verrebbe focalizzato normalmente sulla retina appoggiando l’occhio all’oculare, applicando inoltre un ulteriore fattore di ingrandimento. Dati i lunghi tempi di esposizione è spesso consigliato l’utilizzo di un supporto per la camera come quello mostrato in figura.

Configurazione per riprese con il metodo afocale

Questa tecnica è particolarmente adatta per la ripresa di stelle doppie e pianeti. Inoltre, data la configurazione del setup permette di utilizzare per riprese astrofotografiche anche telescopi dotati di fuoco interno come alcuni Newton o i telescopi solari LUNT PST.
In questo caso la focale equivalente del sistema è data da:dove Fm è la focale dell’obiettivo utilizzato, F la focale del telescopio e Fo la focale dell’obiettivo utilizzato. Il rapporto focale è invece definito come:

N.B.: tutte le focali indicate fanno riferimento ad un sensore FULL FRAME. Per calcolare la focale nel caso di sensori APS-C è necessario moltiplicare per il fattore di correzione (ad esempio 1.6 nel caso di Canon EOS 500D).




Corso di Astronomia alla Riserva Lago di Piano

ASTROtrezzi terrà un corso di Astronomia alla Riserva Lago di Piano. Questo si articolerà in tre lezioni di cui una pratica:

10 Novembre – ASTROfisica [SERATA CONFERMATA]
20.30 – Conferenza dal titolo “l’Universo a portata di mano”
In questa serata sarà possibile viaggiare nel tempo e nello spazio alla scoperta dell’Universo così come lo conosciamo oggi. Scopo della prima lezione è preparare il pubblico all’osservazione “pratica” del cielo notturno, oggetto della seconda serata.

DISPENSA DELLA CONFERENZA

Aurora Boreale da Sormano (CO) - Immagine GRUPPO AMICI DEL CIELO, tutti i diritti sono riservati

24 Novembre – ASTROfotografia [SERATA IN SOSTITUZIONE AD ASTRONOMIA]

20.30 – Conferenza dal titolo “Astrofotografia”
Ora che avete imparato ad orientarvi nell’immensità della volta celeste non volete scattare una foto ricordo? In questa conferenza vedremo come sia possibile riprendere il cielo utilizzando strumenti di vario genere: dal cellulare ai moderni CCD astronomici.

UNA SEMPLICE GUIDA ALL’ASTROFOTOGRAFIA DIGITALE LA TROVATE QUI, OPPURE LEGGETE IL LIBRO DI L. COMOLLI LA CUI RECENSIONE E’ RIPORTATA QUI. Ai neofiti suggeriamo anche gli articoli  L’Astrofotografia di tutti i giorni” e “Scegliere la propria strumentazione astrofotografica”.

08 Dicembre – ASTROnomia [SERATA CONFERMATA (EX 01 DICEMBRE 2012)]
20.30 – Osservazione del cielo stellato (vestirsi adeguatamente)
Vi siete mai chiesti come fanno gli astrofili a trovare galassie e nebulose nella vastità del cielo notturno? Con questo corso di Astronomia pratica all’aperto scoprirete come sia semplice orientarsi tra stelle e pianeti. Portate pure le vostre mappe del cielo e ottiche di vario genere (binocoli, cannocchiali o telescopi). Insieme scopriremo come sia semplice utilizzarle!

RIPORTIAMO DI SEGUITO LE FANTASTICHE IMMAGINI ASTRONOMICHE RIPRESE DA MOIRA CAPELLI AL TERMINE DEL CORSO DI ASTRONOMIA (fotocamera Canon EOS 60D a fuoco diretto di un telescopio Newton 150mm f/5)

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LA SERATA ASTRONOMIA SI TERRÀ IL GIORNO SABATO 08 DICEMBRE 2012 INDIPENDENTEMENTE DALLE CONDIZIONI METEO

PER ISCRIVERSI AL CORSO O MAGGIORI INFORMAZIONI: Quota di partecipazione 10.00 € per tutto il corso. Casa della riserva 0344/74961 oppure riservalagopiano@cmalpilepontine.itwww.facebook.com/riservalagodipianowww.facebook.com/volontarilagodipiano .