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Il fotoelemento: fotodiodo e photogate

Nell’articolo “È questione di elettroni” abbiamo visto come un fotone con energia superiore all’energy gap può produrre uno (o più) elettroni liberi in un semiconduttore. Nel caso particolare del Silicio abbiamo praticamente un rapporto uno ad uno tra fotoni incidenti ed elettroni liberati, almeno per quel che riguarda lo spettro visibile. In particolare la massima lunghezza d’onda “rivelabile” da un Silicio è quella associata ad un fotone di energia 1.12 eV, ovvero 1100 nm corrispondente al vicino infrarosso. Per quanto riguarda invece la minima lunghezza d’onda “rivelabile” il problema diviene più complesso dato che all’aumentare dell’energia del fotone entrano in gioco processi di perdita di energia che diminuiscono la possibilità di creare elettroni liberi. Per i raggi UV ad esempio l’energia necessaria per liberare un elettrone passa da 1.12 eV dell’energy gap a quasi 3.6 eV (valore assunto per fotoni ad alta energia come i raggi X o gamma molli). Dal punto di vista fenomenologico si usa dire pertanto che la lunghezza d’onda minima osservabile da un rivelatore al Silicio è pari a circa 350 nm.

Spesso ci si riferisce agli elettroni liberi come cariche elettriche. Tali cariche prodotte dalla conversione fotone/elettrone (noto come effetto fotoelettrico) dovranno essere successivamente trasportate in un luogo atto all’accumulo e alla conservazione delle stesse per periodi anche lunghi di tempo. Il tutto nel modo più efficiente possibile, ovvero senza che questi elettroni liberi vengano in qualche modo intrappolati nuovamente nel cristallo.

Per fare questo si utilizzano determinati tipi di semiconduttori detti drogati ovvero contaminati da atomi in grado di aumentare o inibire la conduzione del semiconduttore stesso. Si parla di semiconduttori drogati p se l’atomo contaminante inibisce il rilascio di elettroni liberi mentre si parla di semiconduttori drogati n se l’atomo contaminante fornisce elettroni liberi aumentando la conduzione. Si osservi infine come un atomo che inibisce la conduzione è assimilabile ad una buca in grado di catturare un elettrone libero.

Cosa succede se avviciniamo fisicamente due semiconduttori dello stesso tipo ma drogati in modo differenti (quella che prende il nome di giunzione p-n)? Come è possibile immaginare, gli elettroni in eccesso nel semiconduttore di tipo n saranno attratti dalle buche presenti nel semiconduttore di tipo p dando luogo ad un lento processo di diffusione. Tale processo terminerà con l’acquisto di un elettrone da parte dell’atomo contaminante p a scapito dell’atomo contaminante n. Questo significa che lentamente la parte di semiconduttore drogato p andrà a caricarsi negativamente (acquista elettroni) mentre la parte n positivamente (perde elettroni). Questa distribuzione di carica creerà un campo elettrico in capace di controbilanciare la diffusione e creare pertanto una condizione di equilibrio. Nella sottile regione tra i due semiconduttori p ed n non ci saranno elettroni liberi e quindi risulterà essere un perfetto isolante. Questa regione è nota come regione di svuotamento.

Supponiamo ora di applicare un potenziale positivo al semiconduttore drogato n e negativo al semiconduttore drogato p. Gli elettroni liberi nella regione n tenderanno ad andare verso l’elettrodo positivo così come gli elettroni del potenziale negativo andranno ad occupare le buche del semiconduttore di tipo p. A questo punto quindi elettroni e buche verranno sempre più allontanate dalla giunzione allargando la regione di svuotamento.

Perché è importante la regione di svuotamento? Perché in quella regione non ci sono elettroni liberi. Questo fatto è importantissimo per la conversione fotone/elettrone. Infatti riprendendo il problema originale da cui eravamo partiti, un elettrone prodotto dall’interazione del Silicio con un fotone (detto fotoelettrone) risulta indistinguibile dagli elettroni liberi naturalmente presenti nel semiconduttore. Se però tale fotoelettrone viene prodotto in una regione di svuotamento allora risulterà l’unico presente in quella zona, garantendone una corretta rivelazione. Inoltre bisogna notare come se l’elettrone libero viene prodotto in una zona ricca di buche allora la probabilità che sopravviva fino all’elettrodo è praticamente nulla.

Una volta prodotto il fotoelettrone nella regione di svuotamento, il potenziale applicato lo spingerà verso l’elettrodo producendo così un segnale di carica.

Schema di una giunzione p-n

Lo stesso risultato ottenuto con una giunzione p-n opportunamente alimentata (ci si riferisce come alimentazione inversa), può essere ottenuto con un solo semiconduttore drogato p o n ed un elettrodo in polisilicio carico positivamente e separato dal semiconduttore grazie ad una sottile superficie isolante (ossido di Silicio). Questo elettrodo attirerà a se gli eventuali elettroni liberi o riempirà le buche creando una regione di svuotamento. Un fotone che inciderà in tale regione di svuotamento produrrà un elettrone libero che verrà attratto all’elettrodo generando un segnale di carica. Questa struttura prende il nome di MOS (Metal Oxide Semiconductor).

Schema di un MOS

 

Una struttura in grado di convertire fotoni in elettroni è detto fotoelemento. A questo punto abbiamo due tipi di fotoelementi:

  • PHOTODIODE (fotodiodo): costituito da una giunzione p-n alimentata inversamente;
  • PHOTOGATE: costituito da un MOS.

Sia photodiode che photogate sono presenti nei sensori CCD e CMOS. Ma quali sono le differenze tra i due tipi di fotoelementi in termini di conversione fotone/elettrone? Le differenze si riassumono in una sola osservazione: l’elettrodo presente nel MOS può far assumere alla regione di svuotamento dimensioni molto maggiori di quelle che una giunzione p-n riesce a generare. Questo fa si che i photogate abbiano regioni sensibili alla luce molto più grandi rispetto ai fotodiodi. In termini operativi questo significa una maggiore capacità di raccogliere fotoni a parità di area. Questo pregio è anche un difetto in quanto l’elettrodo in polisilicio costituisce un elemento assorbente soprattutto per i fotoni a corta lunghezza d’onda (blu). Ad oggi le due tecnologie risultano in perfetta competizione.

Siano essi photodiode o photogate, i fotoelementi si comportano come condensatori. Infatti in entrambe i casi abbiamo delle distribuzioni di carica separate da un isolante (la regione di svuotamento). Il condensatore ha la funzione di accumulare le cariche nel tempo e quindi ecco che i fotoelementi oltre ad essere dei buoni convertitori fotone/elettrone sono anche dei buoni “accumulatori”. I photogate possono accumulare più carica dei fotodiodi date le sue maggiori dimensioni effettive.




È questione di elettroni

Nell’articolo Un Universo di fotoni, abbiamo visto come qualsiasi oggetto celeste, dalle stelle alle nebulose, può essere interpretato come una sorgente di fotoni. Scopo di uno strumento visivo, come gli occhi o le fotocamere, è quello di raccogliere questi fotoni di origine cosmica e ricostruire l’immagine della sorgente che li ha generati.

Per comprendere a fondo il processo di cattura dei fotoni è necessario comprendere come questi interagiscono con la materia.

Il termine materia è molto generico ed indica sostanzialmente tutto quanto ci circonda (luce esclusa).

Per quanto riguarda la rivelazione dei fotoni ci concentreremo particolarmente su quella classe di materiali noti come solidi trascurando di conseguenza i liquidi ed i gas.

Così come tutta la materia, anche i solidi sono costituiti da atomi ciascuno formato da un nucleo ed un certo numero di elettroni. A differenza del classico modello di “atomo libero”, nei solidi gli elettroni non appartengono ad un determinato nucleo atomico ma sono condivisi da tutti i nuclei disposti secondo quello che prende il nome di reticolo cristallino. Detto questo le caratteristiche elettriche di un solido saranno determinate dalla mobilità degli elettroni all’interno del solido. Se un solido dispone di numerosi elettroni liberi si dice essere un buon conduttore altrimenti si parla di isolante.

Esistono dei solidi dove naturalmente gli elettroni sono legati fortemente ai nuclei atomici ma con un piccolo apporto di energia dall’esterno è possibile renderne alcuni liberi trasformando quello che naturalmente era un isolante in un conduttore di elettricità. Questa classe di solidi prende il nome di semiconduttori.

L’apporto di energia necessario per rendere un elettrone libero è detta energy gap ed è diversa da semiconduttore a semiconduttore. Nel caso del Silicio questa vale, a temperatura ambiente, 1.12 eV.

Cosa succede ora se un fotone urta un blocco di semiconduttore? L’energia del fotone verrà trasferita ad uno degli elettroni presenti nel mezzo e se questa sarà superiore all’energy gap del solido, renderà tale elettrone libero.

L’importanza della “conversione” di fotoni in elettroni è legata principalmente all’impossibilità attuale di confinare la luce. In particolare il duetto luce visibile – Silicio si è rivelato chiave nella conversione fotone-elettrone. Infatti per fotoni con l’energia della luce visibile (1.7 – 3.1 eV) c’è praticamente una relazione uno ad uno tra fotoni incidenti ed elettroni liberi generati. La logica di base della fotografia digitale è quindi quella di convertire il numero di fotoni incidenti sul sensore in elettroni che, opportunamente manipolati, genereranno un segnale digitale in grado di riprodurre su un opportuno schermo la distribuzione dei fotoni originali. Ulteriore vantaggio della fotografia digitale è che il segnale digitale può essere duplicato e quindi memorizzato su un opportuno supporto (come un CD, un DVD o un HD).

L'astrofotografia digitale riassunta in uno schema.




Sorgenti di luce

Abbiamo visto in “Un Universo di fotoni come la luce può essere descritta in termini di onde elettromagnetiche o fotoni. In questo documento ci occuperemo invece della caratterizzazione delle sorgenti di luce. Se puntiamo un telescopio verso il cielo ci rendiamo subito conto che sono solo due le sorgenti di luce dell’Universo alla portata dei nostri occhi, CCD o reflex digitali: stelle e nebulose (ad esclusioni di quelle oscure). La terza sorgente di luce, le galassie, sono in realtà una elegantissima miscela delle altre due.

Sebbene possano sembrare sorgenti identiche di luce ad occhio nudo, stelle e nebulose sono molto differenti. Le prime presentano uno spettro continuo mentre le seconde uno spettro discreto o di emissione. Questo significa che mentre le stelle emettono onde elettromagnetiche con valori continui di λ, il cui valore più probabile determina il colore della stella, le nebulose emettono solo un insieme discreto di lunghezze d’onda.

Se osservata attraverso un reticolo di diffrazione la nebulosa M42 mostra uno spettro discreto (emissione) dove le linee principali sono la Hα (656 nm) e la OIII (501 nm). Le stelle invece hanno uno spettro continuo come mostrato nel visibile in figura.

Tale differenza ha origine nel modo in cui stelle e nebulose generano la luce come descritto dalle tre leggi di Kirchhoff:

  • Un gas o un solido incandescente ad alta pressione produce uno spettro continuo,
  • Un gas incandescente a bassa pressione produce uno spettro di emissione,
  • Uno spettro continuo osservato attraverso un gas a bassa densità e a bassa temperatura produce uno spettro di assorbimento.

In questa sezione di Astrofotografia Digitale trascureremo la terza legge di Kirchhoff che, malgrado sia fondamentale in ambito spettroscopico, non gioca un ruolo essenziale nella comprensione del funzionamento di sensori a semiconduttori quali CMOS e CCD. Per maggiori dettagli riguardo la caratterizzazione di spettri continui, di emissione ed assorbimento rimandiamo alla sezione Spettroscopia Astronomica di ASTROtrezzi.




Un Universo di fotoni

I successi ottenuti dalle teorie ondulatorie della luce, culminate con la formulazione dell’Elettrodinamica Classica, portarono gli scienziati dell’Ottocento a ritenere praticamente chiuso il secolare problema della natura della luce.

La luce che ci arriva dalle stelle è quindi rappresentata da un insieme di onde dette elettromagnetiche che dopo, aver viaggiato nello spazio interstellare vuoto, vengono raccolte dai nostri telescopi. Ciascuna onda elettromagnetica ha una determinata lunghezza d’onda λ e l’insieme di tutte queste onde costituisce quella che noi chiamiamo luce bianca. In particolare l’intervallo di lunghezze d’onda comprese tra 400 e 700 nm costituisce quella parte di luce visibile con i nostri occhi nota appunto come luce visibile. Ovviamente quest’ultima è solo una piccola parte di tutte le lunghezze d’onda che costituiscono la luce, la cui totalità prende il nome di spettro elettromagnetico.

L’arcobaleno è un fenomeno naturale dove la luce proveniente dal Sole viene scomposta in tutte le sue componenti mostrando ai nostri occhi la parte di luce visibile dello spettro elettromagnetico.

Lo spettro elettromagnetico, ovvero la scomposizione della luce bianca nelle sue componenti “colorate”, è ben visibile in un arcobaleno.

Qui sotto riportiamo la classificazione delle onde in funzione della loro λ:

  • Onde radio: > 1’000’000’000 nm
  • Microonde: 1’000’000 – 1’000’000’000 nm
  • Infrarossi: 700 – 1’000’000 nm
  • Luce visibile: 400 – 700 nm
  • Ultravioletto: 100 – 400 nm
  • Raggi X: 0.001 – 100 nm
  • Raggi γ: < 0.001 nm

In questo e nei futuri articoli considereremo solamente la luce visibile ed il vicino infrarosso/ultravioletto, uniche radiazioni in grado di essere rivelate dai sensori CMOS e CCD commerciali.

Alla luce di quanto detto le stelle sono quindi sorgenti di onde elettromagnetiche. La visione ondulatoria della luce venne però messa in dubbio all’inizio del Novecento quando una teoria appena nata, la Meccanica Quantistica, prevedeva che la luce presentasse sia aspetti di natura ondulatoria così come descritti dall’Elettrodinamica Classica, sia aspetti di natura corpuscolare. Come è possibile che la luce si comporti in modi talmente differenti? Questo non è chiaro e prende il nome di dualismo onda corpuscolo: la luce è sia onda che particella (nota come fotone).

La visione quantomeccanica dei “fenomeni luminosi” pare quindi mettere d’accordo tutti ma nello stesso tempo apre una voragine filosofica sulla natura ultima della luce.

Il dualismo onda corpuscolo si riflette ovviamente anche sulla nostra visione dell’Universo che quindi ora è duplice. Le stelle sono pertanto sia delle sorgenti di onde elettromagnetiche che delle generatrici di fotoni.

Quando la luce di una stella raggiunge lo specchio primario del vostro telescopio può pertanto essere riflessa come un’onda del mare che sbatte sul molo oppure, in chiave corpuscolare, i fotoni che la costituiscono possono rimbalzare sulla superficie del vostro specchio come palline da ping pong.

In questo caso entrambe le descrizioni vengono a coincidere. Non sempre è così. Infatti l’interferenza tra due onde elettromagnetiche è descrivibile solo in termini ondulatori, mentre l’effetto fotoelettrico alla basa della rivelazione della luce da parte di sensori CMOS e CCD è descrivibile solo in termini corpuscolari.

Ma se ciascuna onda elettromagnetica può essere caratterizzata da una lunghezza d’onda λ, come possiamo caratterizzare il fotone? La domanda può essere riformulata nel seguente modo: cosa caratterizza una particella in moto? La risposta è la massa e la velocità, ovvero in una parola: l’energia. Ogni fotone può avere un’energia che i fisici esprimono con un’unità di misura detta elettronvolt (eV). Qui sotto riportiamo la classificazione dei fotoni in funzione delle loro energie E:

  • Onde radio: < 0.00000124 eV
  • Microonde: 0.00000124 eV – 0.00124 eV
  • Infrarossi: 0.00124 – 1.7 eV
  • Luce visibile: 1.7 – 3.1 eV
  • Ultravioletto: 3.1 – 12.4 eV
  • Raggi X: 12.4 – 1’240’000 eV
  • Raggi γ: > 1’240’000 eV

Come potete vedere quindi l’Astrofotografia Digitale si occupa della rivelazione di fotoni con energia dell’ordine di qualche eV.

Nell’anno 1900, un fisico tedesco di nome Max Planck, formulò una legge in grado di associare ad un fotone di energia E la corrispettiva lunghezza d’onda λ ovvero un ponte tra il mondo corpuscolare e quello ondulatorio. La legge di Planck è data da:

E = hc/λ

Dove h è una costante nota come costante di Planck e c è la velocità della luce nel vuoto. In unità di misura “comode” per l’astrofotografia digitale il prodotto hc è uguale a circa 1240 eV nm.

Per un astrofilo a questo punto la pioggia non è solo fenomeno di sventura ma, se si tratta di pioggia di fotoni e non d’acqua, può essere un piacere per occhi, CCD e fotocamere digitali.




IC 1318 – 26/06/2012

Briosco (MB), 26/06/2012 – IC1318

Telescopio guida: Newton SW 200 mm f/4 + camera Magzero MZ-5m. Inseguimento con PhD guiding ad 1s.
Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Carbon Fiber TS 80 mm f/7 + spianatore di campo 0.8x + filtro Astronomik H-alfa 13 nm + Canon EOS 500D Modificata Baader. Controllo Canon EOS Utility.
Somma di 8 pose da 7 minuti (totale 56 minuti) ad 800 ISO + 32 bias + 5 dark + 31 flat effettuata con IRIS. Estrazione del canale rosso effettuata con Nebulosity2. Elaborazione finale Photoshop CS2/CS3.

IC1318 - 26/06/2012




M82 (NGC 3034) – 06/03/2011

Sormano (CO), 06/03/2011 – M82

Telescopio di guida: Newton 150 mm f/5 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 2s con PHD Guiding.
Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + 0.8x spianatore/riduttore + Canon EOS 500D. Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 10 pose da 10 minuti a 200 ISO + 3 dark + 30 bias + 26 flat (Geoptik flat generator). Elaborazione IRIS + Photoshop CS5

 

M82 (NGC 3034) - 06/03/2011

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M81.




M65 (NGC 3623) – 25/02/2012

Passo San Marco (BG), 25/02/2012 – M65

Telescopio di guida: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 1s con PHD Guiding.
Telescopio di ripresa: Newton SkyWatcher WidePhoto 200 mm f/4 + correttore di coma + Canon EOS 500D modificata. Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 9 scatti da 8 minuti a 400 ISO (1.12 h) + 53 bias + 9 dark + 54 Flat
Eleborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS3.

M65 (NGC 3623) - 25/02/2012

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M66.




M20 (NGC 6514) – 17/06/2012

Passo del Mortirolo (BS), 17/06/2012 – M20

Telescopio di guida: Newton SkyWatcher 200 mm f/4 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 1s con PHD Guiding.
Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore 0.8x + Canon EOS 500D modificata (e raffreddata ad aria). Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 6 scatti da 8 minuti a 400 ISO (48 min) + 40 bias + 5 dark + 49 flat
Eleborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3

M20 (NGC 6514) - 17/06/2012

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M8.




M20 (NGC 6514) – 03/07/2011

Passo del Mortirolo (BS), 03/07/2011 – M20

Telescopio di guida: Newton 150 mm f/5 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 2s con PHD Guiding.
Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore 0.8x + Canon EOS 500D. Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 20 pose da 3 minuti a 800 ISO + 20 dark + 40 bias + 39 flat (Geoptik flat generator + 2 stop). Elaborazione IRIS + Photoshop CS2

 

M20 (NGC 6514) - 03/07/2011

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M8.




M20 (NGC 6514) – 09/07/2010

Passo del Giovà (PV), 09/07/2010 – M20

Somma di 9 immagini da 4 minuti di posa a 640 ISO effettuato con zoom 300 mm Canon, fotocamera Canon EOS 40D.

 

 

 

M20 (NGC 6514) - 09/07/2010

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M8.




M18 (NGC 6613) – 16/06/2012

Passo del Mortirolo (BS), 16/06/2012 – M18

Telescopio di guida: Newton SkyWatcher 200 mm f/4 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 1s con PHD Guiding.

Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore 0.8x + Canon EOS 500D modificata. Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 7 scatti da 8 minuti a 400 ISO (56 min) + 40 bias + 5 dark + 49 flat
Eleborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3

M18 (NGC 6613) - 16/06/2012

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M17.




M43 (NGC 1982) – 25/12/2011

Sormano (CO), 25-26-27/12/2011 – M43

Telescopio di guida: Newton SkyWatcher 150 mm f/5 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 2s con PHD Guiding.

Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore 0.8x + Canon EOS 500D modificata. Controllo EOS utility.

Dati di ripresa: HDR delle seguenti immagini:
8 scatti da 1020 secondi a 400 ISO + 55 bias + 4 dark + 55 Flat
7 scatti da 408 secondi a 400 ISO + 65 bias + 4 dark
8 scatti da 204 secondi a 400 ISO + 4 dark
10 scatti da 68 secondi a 400 ISO + 4 dark
2 scatti da 34 secondi a 400 ISO + 4 dark
10 scatti da 34 secondi a 200 ISO + 4 dark + 5 bias
10 scatti da 34 secondi a 100 ISO + 4 dark + 5 bias
10 scatti da 17 secondi a 100 ISO + 4 dark
10 scatti da 9 secondi a 100 ISO + 4 dark
TOTALE TEMPO ESPOSIZIONE: 14336 secondi (4.00 h)
Eleborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3

M43 (NGC 1982) - 25/12/2011

Immagine ottenuta dal crop dell’immagine di M42.




M8 (NGC 6523) – 17/06/2012

Passo del Mortirolo (BS), 17/06/2012 – M8

Telescopio di guida: Newton SkyWatcher 200 mm f/4 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 1s con PHD Guiding.
Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore 0.8x + Canon EOS 500D modificata (e raffreddata ad aria). Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 6 scatti da 8 minuti a 400 ISO (48 min) + 40 bias + 5 dark + 49 flat
Eleborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3

M8 (NGC 6523) - 17/06/2012




M17 (NGC 6618) – 16/06/2012

Passo del Mortirolo (BS), 16/06/2012 – M17

Telescopio di guida: Newton SkyWatcher 200 mm f/4 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 1s con PHD Guiding.

Telescopio di ripresa: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore 0.8x + Canon EOS 500D modificata. Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 7 scatti da 8 minuti a 400 ISO (56 min) + 40 bias + 5 dark + 49 flat
Eleborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3

 

M17 (NGC 6618) - 16/06/2012




M27 (NGC 6853) – 15/06/2012

Passo del Mortirolo (BS), 15/06/2012 – M27

Telescopio di guida: Rifrattore ED Tecnosky carbon fiber 80 mm f/7 + MagZero MZ-5m. Controllo ogni 2s con PHD Guiding.
Telescopio di ripresa: Newton SkyWatcher WidePhoto 200 mm f/4 + correttore di coma + Canon EOS 500D modificata. Controllo EOS utility.
Dati di ripresa: 1 scatto da 8.5 minuti a 400 ISO + 35 bias + 5 dark + 32 flat
Elaborazione effettuata con IRIS + Photoshop CS2/CS3

 

M27 (NGC 6853) - 15/06/2012




NGC 2246 – 06/02/2011

Sormano (CO), 06/02/2011 – NGC 2246

Guida: MagZero MZ-5m al fuoco diretto di un Newton Skywatcher 150 mm f/5.
Ripresa: Canon EOS 500D non modificata al fuoco diretto di un rifrattore ED Tecnosky Carbon Fiber 80 mm f/7 + riduttore/spianatore di campo 0.8x + filtro UHC-E da due pollici.
Montatura: Skywatcher NEQ6 + GPS.
Dati di ripresa: 9 frame da 600 secondi a 800 ISO. 3 dark frame, 21 flat frame (Geoptik flat field generator), 20 bias frame. Elaborazione effettuata con IRIS + DSS + Photoshop CS5. (Clicca qui per l’immagine originale in formato JPG)

NGC 2246 - 06/02/2011




NGC 4565 – 04/05/2011

Briosco (MB), 04/05/2011 – NGC 4565

Immagine ripresa con il rifrattore ED TS carbon fiber 80 mm f/7 + riduttore spianatore 0.8x. Camera Canon EOS 500D.

 

 

 

NGC 4565 - 04/05/2011




NGC 2903 – 06/03/2011

Briosco (MB), 06/03/2011 – NGC 2903

Immagine ripresa da Briosco con Newton 150 mm f/5 e camera Canon EOS 40D.

 

 

 

NGC 2903 - 06/03/2011