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Juza Editor’s Pick – 15/11/2013

L’immagine della galassia M33 (NGC 598) ripresa il giorno 06/11/2013 da Sormano (clicca qui per maggiori dettagli) ha vinto lo “Juza Editor’s Pick” di oggi (15/11/2013). Grazie a tutti quanti hanno contribuito affinché ricevessi tale riconoscimento. Ricordiamo che come riportato sul sitowww.juzaphoto.com per Editor’s Pick si intendono: “Le migliori foto selezionate dalla redazione tra tutte le foto presenti su JuzaPhoto. Discutere e commentare grandi foto è un buon modo per imparare, migliorare e trovare ispirazione!

 

Visita gli altri due “Juza Editor’s Pick” assegnati ad ASTROtrezzi: Nebulosa Rosetta (09/04/2013) e Galassia del Triangolo (23/04/2013)




M33 (NGC 598) – 06/11/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 383L+ B/W [5.4 μm] @ -16.9°C

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presenti (not present)

Software (Software): Nebulosity + Adobe Photoshop CS3

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (Baader MPCC coma corrector)

Filtri (Filter): 2” Astronomik CCD L, R, G, B

Risoluzione (Resolution): 3362 x 2504 (originale/original), 3175 x 2400 (finale/final)

Data (Date): 07-10/11/2013

Luogo (Location): Sormano – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 3 x 600 sec bin 1×1 L (06/11/2013), 2 x 480 sec bin 2×2 R (06/11/2013), 2 x 420 sec bin 2×2 G (06/11/2013), 3 x 480 sec bin 2×2 B (06/11/2013)

Calibrazione (Calibration): 7 x 600 sec bin 1×1 dark (10/11/2013), 141 bias (10/11/2013), 40 flat (06/11/2013) L, 7 x 480 sec bin 2×2 dark (10/11/2013), 120 bias (10/11/2013), 30 flat (06/11/2013) R, 7 x 420 sec bin 2×2 dark (10/11/2013), 120 bias (10/11/2013), 33 flat (06/11/2013) G, 7 x 480 sec bin 2×2 dark (10/11/2013), 120 bias (10/11/2013), 35 flat (06/11/2013) B

Fase lunare media (Average Moon phase): 14.4% (06/11/2013)

Campionamento (Pixel scale):  2.9510652 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 750 mm

Note (note): Riportiamo l’immagine RGB, il canale di Luminanza e l’immagine finale. (We report RGB image, Luminance and the final LRGB result).

M33 (NGC 598) - 06/11/2013 | RGB

M33 (NGC 598) - 06/11/2013 | Luminanza

M33 (NGC 598) - 06/11/2013 | LRGB (immagine finale)




Il campionamento

Nel post Il potere risolutivo, abbiamo visto come la risoluzione delle nostre immagini astronomiche dipendano dalla qualità ottica dello strumento, dalla turbolenza atmosferica e dal limite di diffrazione stimato utilizzando il criterio di Rayleigh. In particolare la risoluzione complessiva θ di un telescopio sarà data dalla somma in quadratura di tutti questi contributi.

Ma non è tutto. L’immagine digitale è infatti costituita da un insieme discreto di punti (quadratini) noti come pixel e che non sono altro che la mappatura degli elementi fotosensibili presenti nel sensore (CMOS o CCD). Quindi, quando riprendiamo una fotografia digitale, trasformiamo quella che è un’immagine continua (l’immagine reale dell’oggetto) in un’immagine discreta (l’immagine visualizzata sullo schermo del nostro PC). Tale processo di discretizzazione obbedisce alle leggi della teoria dei segnali che definiscono il numero minimo di pixel necessari al fine di non perdere informazioni ovvero la risoluzione del nostro telescopio (campionamento). Questo è fissato dal criterio di Nyquist che stima come 3.33, il minimo numero di pixel necessari per coprire la FWHM (Full Width at Half Maximum) della risoluzione del nostro telescopio senza perdere informazioni sull’immagine (vedi Figura 1 e 2). Ricordiamo che FWHM è l’altezza a metà altezza di una distribuzione gaussiana ovvero 2.355 volta la deviazione standard σ.

Figura 1: Simulazione di due stelle separate tra loro dal limite di diffrazione di cui la prima posta nel punto di incrocio di quattro pixel. Si noti come in questo caso un campionamento di soli 2 pixel per FWHM sia sufficiente per risolvere le stelle.

Figura 2: simulazione delle stesse condizioni di Figura 1 dove la stella è stata spostata dall'incrocio tra quattro pixel al centro di un pixel. Come si vede in questo caso un campionamento di 2 pixel per FWHM non è più sufficiente per distinguere le due stelle. In generale quindi sono necessari almeno 3.33 pixel per FWHM per separare due stelle al limite di diffrazione (criterio di Nyquist).

Se ora supponiamo di possedere un telescopio otticamente corretto e di porci nelle condizioni di riprendere un oggetto celeste puntiforme in assenza di turbolenza atmosferica, allora la risoluzione complessiva del nostro strumento si ridurrà al limite di diffrazione α.

Data la FWHM associata alla risoluzione del nostro strumento allora è possibile stimare la dimensione massima dei pixel al fine di ottenere un buon campionamento dell’immagine ovvero FWHM/3.33. Se i pixel risultassero più grandi allora l’immagine risulterebbe sottocampionata ovvero perderemmo informazioni sull’oggetto mentre con pixel più piccoli otterremmo immagini di grandi dimensioni ma senza conseguente aumento di dettagli (immagine sovracampionata).

Proviamo quindi a stimare le dimensioni che deve possedere un elemento fotosensibile (pixel) per ottenere immagini ben campionate con un telescopio Newton da 150mm di diametro a f/5 per luce verde (dove solitamente si ha la massima efficienza quantica).

Innanzitutto dobbiamo calcolare la risoluzione lineare e non angolare dello strumento. Per fare questo basta solo moltiplicare α(rad) per la lunghezza focale F del telescopio espressa in micron (nel nostro caso F = 750000 μm). Il risultato per la luce verde risulta essere α(μm) = 3.33 μm. Questa però non è la FWHM ma la larghezza del primo anello del disco di Airy dal picco centrale. È possibile calcolare la deviazione standard della distribuzione gaussiana associata al disco di Airy come:

σ(μm) = 0.34493 α(μm)=1.15 μm

Prima di applicare il criterio di Nyquist è necessario calcolare la FWHM associata a σ(μm) ovvero:

FWHM = 2.355 σ(μm) = 2.70 μm

Quindi la dimensione massima dei pixel necessari per ottenere un buon campionamento dell’immagine è FWHM/3.33 = 0.81 μm. Si può quindi facilmente notare come tutti i pixel oggi in commercio offrano immagini sottocampionate.

Pertanto oggi nessun telescopio è praticamente in grado di raggiungere fotograficamente il relativo limite di diffrazione. Ovviamente la situazione “reale” è molto differente dato che la FWHM non è determinata unicamente dalla risoluzione teorica ma anche dalla qualità ottica dello strumento e dalla turbolenza atmosferica. È proprio quest’ultima in grado di aumentare la risoluzione complessiva dello strumento dai 3.33 μm forniti dal limite di diffrazione ai 11.41 μm complessivi (turbolenza media italiana pari a 3 arcsec). Malgrado questo in molti casi l’immagine risulta comunque sottocampionata.

Possiamo ora considerare il problema opposto, ovvero quale è la risoluzione efficace basata sul criterio di Nyquist associata ad un sensore con pixel di una certa dimensione d. A titolo d’esempio consideriamo una Canon EOS 500D dotata di pixel da d = 4.3 μm. Se consideriamo il criterio di Nyquist al fine di ottenere il massimo dal nostro strumento dobbiamo avere una risoluzione complessiva con FWHM associata pari a:

FWHM = 3.33 d = 14.32 μm

A questa, utilizzando le relazioni precedenti, possiamo associare una deviazione standard σ(μm) = 6.080 μm e quindi una risoluzione complessiva lineare pari a θ(μm) = 17.6275 μm.

Questa risoluzione complessiva lineare deve essere sempre superiore al limite di diffrazione. Nel caso fosse inferiore allora otterremmo immagini ben campionate ma senza dettagli aggiuntivi.

Al fine di calcolare la risoluzione complessiva angolare è necessario conoscere la focale dello strumento utilizzato che nel nostro caso è F = 750000 μm. Quindi:

 θ(rad) = θ(μm) / F(μm) = 2.3e-5 rad = 4.85 arcsec

come si vede questo valore è ben superiore ai 0.92 arcsec forniti dal limite di diffrazione.

Quindi un telescopio Newton da 150mm di diametro e 750mm di focale fornirà con una Canon EOS 500D buone immagini di oggetti con dimensioni angolari pari ad almeno 4.85 arcsec. È possibile osservare come la turbolenza atmosferica non influenzi immagini riprese a questa lunghezza focale (Figura 3).

Figura 3: un sistema di stelle doppie separate dal limite di diffrazione di un Newton 150mm f/5 riprese con una Canon EOS500D. E' possibile osservare come indipendentemente dalla turbolenza atmosferica (seeing) non è mai possibile raggiungere a focale nativa il limite di diffrazione.

 È possibile però utilizzare lenti addizionali (di Barlow) in grado di aumentare la focale del nostro telescopio mantenendone ovviamente invariato il diametro. Calcoliamo quindi la focale massima associata al nostro telescopio in grado di fornire una risoluzione pari al limite di diffrazione. Quindi:

F(μm) = θ(μm)/α(rad) =  17.6275 μm / 4.4e-6 rad = 3’968’716 μm

corrispondente ad una lunghezza focale F(mm) pari a 3969 mm che si può ottenere applicando una lente di Barlow 5x.

Riassumendo, nel nostro caso utilizzando il telescopio Newton a fuoco diretto con una Canon EOS 500D otterremo immagini sottocampionate con risoluzione angolare efficace pari a 4.85 arcsec.

Applicando al medesimo telescopio una lente di Barlow 5x avremo un’immagine ben campionata con risoluzione angolare efficace pari al limite di diffrazione (0.92 arcsec). Ovviamente sarà impossibile praticamente raggiungere tale risoluzione a causa della turbolenza atmosferica. Nel caso in esame le lunghezze focali utili in condizioni di turbolenza atmosferica saranno:

  • perfetta calma atmosferica (0.4 arcsec): 3637 mm – Barlow 5x
  • calma atmosferica (1 arcsec): 2681 mm – Barlow 4x
  • condizioni atmosferiche standard (3 arcsec): 1159 mm – Barlow 1.5x
  • elevata turbolenza atmosferica (5 arcsec): 715 mm

Si può facilmente notare come in condizioni di elevata turbolenza atmosferica l’utilizzo di lenti di Barlow con questo strumento è sostanzialmente inutile. È possibile rifare i calcoli riportati in questo post per qualsiasi telescopio e sensore di ripresa. Le dimensioni dei pixel espressi in micron sono riportati in numerosi siti di fotografia (astronomica e non). Ricordiamo inoltre che il sovracampionamento non comporta nessuna perdita di informazioni e quindi è favorito al sottocampionamento. Il sottocampionamento invece può essere utile nel caso di oggetti molto deboli. Infatti dato che il numero di fotoni emessi dagli oggetti celesti è costante, si ottiene un migliore rapporto segnale/rumore aumentando il numero di fotoni per pixel ovvero le dimensioni del pixel stesso.

Infine, nel caso di eccessivo sovracampionamento è possibile, nel caso di CCD astronomiche, unire più pixel. Questo processo noto come binning permette di accorpare più pixel che lavorano in sinergia come fossero un solo elemento fotosensibile. Allo stesso tempo prestate attenzione ad utilizzare binning elevato quando non necessario ottenendo un eccessivo sottocampionamento. In tal caso oggetti di piccole dimensioni angolari come galassie o sistemi stellari multipli si ridurranno a semplici puntini (pixel) luminosi privi di struttura.




Wallpaper – Nebulosa di Orione

La nebulosa di Orione (M42) è una nebulosa diffusa, distante 1270 A.L. dal Sole, visibile nella costellazione di Orione. Al suo interno si nascondono dischi protoplanetari rendendo M42 una vera e propria incubatrice stellare. All’interno della nebulosa è presente un piccolo ammasso aperto noto come “trapezio”. L’immagine è stata ripresa con una reflex digitale modificata dai cieli parzialmente inquinati della Brianza (Sormano) utilizzando la tecnica HDR. Questa permette di registrare in una sola foto sia le luminose parti centrali della nebulosa che le deboli regioni periferiche. Maggiori dettagli sono disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/?p=595. Nell’immagine è visibile anche la nebulosa M43.

Riportiamo di seguito gli sfondi della nebulosa proboscide d’elefante per i modelli di SmartPhone più diffusi.

 

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Apple iPhone4

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Samsung Galaxy S3

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Wallpaper – Ammasso Aperto delle Pleiadi

L’ammasso aperto delle Pleiadi (M45) è un agglomerato di stelle lontane 450 A.L. dal Sole formatosi circa 100 milioni di anni fa. Ancor oggi sono visibili i resti della nebulosità diffusa da cui le stelle dell’ammasso hanno avuto origine. M45 è visibile facilmente ad occhio nudo tanto da divenire il simbolo della casa automobilistica Subaru (in giapponese Pleiadi). Le Pleiadi sono costituite da circa 1000 stelle di colore blu di cui sino a 7 visibili ad occhio nudo. L’immagine è stata ripresa con una reflex non modificata dai cieli bui del Passo Mortirolo. Maggiori dettagli sono disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/?p=544.

Riportiamo di seguito gli sfondi della galassia di Andromda per i modelli di monitor per PC più diffusi. Per trovare il vostro modello di monitor fate il rapporto tra il lato maggiore ed il minore della risoluzione che utilizzate normalmente. Dovreste ottenere uno dei seguenti risultati dove in parentesi è riportato il tipo di monitor da selezionare: 1.25 (5:4), 1.33 (4:3), 1.50 (3:2), 1.60 (16:10), 1.66 (5:3), 1.77 (16:9). Nel dubbio consigliamo di scaricare il modello di monitor 4:3.

 

Immagine Logo Immagine NO Logo Monitor

3:2

4:3

5:3

5:4

16:9

16:10




Wallpaper – Galassia di Andromeda

La galassia di Andromeda (M31) è l’oggetto celeste più lontano da Terra (2.5 milioni di anni luce) visibile ad occhio nudo. Si tratta di una galassia a spirale visibile nella costellazione di Andromeda contenente circa 1000 miliardi di stelle, una quantità molto superiore a quella della nostra galassia: la Via Lattea. L’immagine qui riportata è stata ripresa con una reflex digitale non modificata dai cieli bui del Passo del Mortirolo (BS). Maggiori dettagli sono disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/?p=515. Nell’immagine sono visibili anche le due galassie nane M32 e M110 ultimo oggetto del catalogo Messier.

Riportiamo di seguito gli sfondi della galassia di Andromda per i modelli di monitor per PC più diffusi. Per trovare il vostro modello di monitor fate il rapporto tra il lato maggiore ed il minore della risoluzione che utilizzate normalmente. Dovreste ottenere uno dei seguenti risultati dove in parentesi è riportato il tipo di monitor da selezionare: 1.25 (5:4), 1.33 (4:3), 1.50 (3:2), 1.60 (16:10), 1.66 (5:3), 1.77 (16:9). Nel dubbio consigliamo di scaricare il modello di monitor 4:3.

 

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3:2

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Wallpaper – Nebulosa proboscide d’elefante

La nebulosa proboscide d’elefante (VdB142) è una nebulosa oscura distante circa 3000 A.L. dal Sole, visibile nella costellazione del Cefeo. Questa fa parte del complesso nebulare più ampio noto come IC1396. L’immagine è stata ripresa da cieli suburbani utilizzando filtri a banda stretta (SII,Hα,OIII). Questa tecnica consente di riprendere oggetti deboli anche in presenza di inquinamento luminoso. Maggiori dettagli sono disponibili all’indirizzo https://www.astrotrezzi.it/?p=3696. Riportiamo di seguito gli sfondi della nebulosa proboscide d’elefante per i modelli di SmartPhone più diffusi.

 

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Il potere risolutivo

Sovente gli astrofili visualisti fanno a gara nel risolvere stelle doppie molto strette. Ovvero cercare di separare due stelline, preferibilmente di uguale luminosità, a distanza apparente (o reale) reciproca molto ridotta. Così come in passato si utilizzavano le stelle doppie per testare la bontà della propria vista, oggi gli astrofili utilizzando stelle doppie strette per testare la qualità dei propri telescopi. La separazione minima θ tra due stelle, misurata in secondi d’arco, osservabile al vostro telescopio è detto potere risolutivo raggiunta dal vostro telescopio. Questo significa che voi riuscirete ad osservare al telescopio particolari ed oggetti di dimensioni angolari superiori a θ. E’ possibile conoscere a priori il valore del potere risolutivo? Purtroppo no dato che dipende dalla turbolenza atmosferica (seeing), dalla qualità ottica del vostro telescopio e dal limite di diffrazione. Il primo parametro infatti è difficilmente quantificabile a priori e dipende dal giorno e dal luogo di osservazione. Anche il secondo spesso non è quantificabile dato che ormai i telescopi sono prodotti industriali spesso diversi l’uno dall’altro. L’unico parametro quantificabile poiché dipende unicamente dalla natura stessa della luce è il limite di diffrazione. Se quindi ipotiziamo di avere ottiche perfette ed un cielo privo di turbolenza atmosferica, allora il potere risolutivo sarà determinato unicamente dal limite di diffrazione. Questo è quello che spesso prende il nome di potere risolutivo teorico o con abuso di notazione potere risolutivo.

Prima di determinare matematicamente θ ricordiamo che la diffrazione è un fenomeno fisico che si manifesta quando un’onda incontra un ostacolo sul proprio cammino. Questo diventa tanto più importante tanto più le dimensioni dell’ostacolo si avvicinano alla lunghezza d’onda λ dell’onda incidente. Nel caso in esame l’onda incidente è rappresentata dall’onda (piana in prima approssimazione) elettromagnetica emessa dalla stella, mentre l’ostacolo è l’ottica. Quello che succede è che l’onda elettromagnetica arrivando a ridosso del nostro telescopio si “spacca”. Un “pezzo” sta fuori dal telescopio ed un “pezzo” entra nel telescopio in perfetta analogia con quanto succede quando le onde del mare entrano in un molo. Sulla base delle teorie dell’elettromagnetismo la componente dell’onda che entra nel telescopio si comporta come una sovrapposizione di numerose onde sferiche che iterferiscono tra loro dando luogo all’immagine di diffrazione. Nel caso dei telescopi caratterizzati tutti dall’avere un’apertura circolare, l’immagine di diffrazione di una sorgente puntiforme posta all’infinito (una stella) è rappresentata da anelli concentrici luminosi detti disco di Airy. L’anello centrale (punto) è solitamente molto più luminoso dei secondari ed è quello che costituisce l’immagine della stella che osserviamo al telescopio (vedi Figura 1).

Figura1: immagine di diffrazione generata da una sorgente puntiforme. Sono ben visibili gli anelli luminosi intorno all'immagine della stella.

Cosa succede se ora abbiamo due stelle identiche molto vicine? Queste, rappresentate ciascuna dal proprio disco di Airy, andranno via via a sovrapporsi al diminuire della separazione angolare. Arriveremo ad un punto in cui le due stelle non sono più “separabili” ovvero non riusciamo più a distinguere separatamente i due dischi di Airy (vedi Figura 2). Tale distanza angolare sarà proprio il potere risolutivo teorico o limite di diffrazione. Si può dimostrare matematicamente che tale punto corrisponde alla distanza dal punto centrale del disco di Airy del primo anello di diffrazione (criterio di Rayleigh). Ecco quindi che abbiamo un modo per quantificare il potere risolutivo (teorico) del nostro telescopio.

Figura 2: immagine di diffrazione generata da due sorgenti puntiformi. A sinistra quando sono lontane tra loro, a destra al limite di diffrazione.

Il limite di diffrazione e quindi il potere risolutivo teorico α dipenderà dalle dimensioni dell’ostacolo, ovvero dall’apertura del telescopio D, e dalla lunghezza d’onda della luce incidente λ. Mettendo tutto in formule:

α(rad) = 1.22 λ(nm)/D(nm)

per la luce visibile λ varia tra 380 e 760 nm. Un valore indicativo di 550nm risulta spesso più che adeguato dato che è la parte dello spettro elettromagnetico dove l’occhio umano e le reflex digitali sono più sensibili. D deve essere espresso in nm e quindi se voi conoscete il diametro del vostro telescopio in mm questo andrà moltiplicato per 1’000’000. Il risultato ottenuto sarà in radianti. Per trasformarlo in secondi d’arco dovrete moltiplicare il risultato ottenuto per 206’265. Come vedete il potere risolutivo teorico aumenta all’aumentare della lunghezza d’onda ed al diminuire del diametro del telescopio.

Purtroppo il termine “potere risolutivo” può generare giustamente confusione. Infatti se aumenta il potere risolutivo uno immagina che aumenta la capacità del telescopio di risolvere oggetti di piccole dimensioni. Ebbene è il contrario, un aumento del potere risolutivo significa un aumento dell’angolo minimo risolvibile attraverso il nostro telescopio e quindi un peggioramento della qualità della vostra ottica. Telescopi con bassi valori di potere risolutivo sono quindi migliori di telescopi con alto valore di potere risolutivo. Molto spesso quindi potrete leggere o sentir parlare di aumento del potere risolutivo con il diametro del telescopio ovviamente sbagliato dal punto di vista formale.

A titolo di esempio, un telescopio Newton 150mm avrà un potere risolutivo teorico pari a:

  • Rosso (700 nm): 1.17 arcsec
  • Verde (546.1 nm): 0.92 arcsec
  • Blu (455.8 nm): 0.76 arcsec

Come detto in precenza a questo bisognerà aggiungere il contributo dovuto alla qualità dell’ottica. Questo è difficilmente valutabile ed è inferiore al limite di diffrazione solitamente per ottiche con rapporti focali f/ superiori a 8. Il contributo invece dovuto al seeing è solitamente compreso tra circa 0.4 arcsec (La Palma) ed i 2-3 arcsec o superiori nel caso di forte turbolenza atmosferica. E’ quindi facile notare come il limite di diffrazione possa talvolta non essere dominante nel calcolo del potere risolutivo di un telescopio.




Il fattore di crop

L’avvento della tecnologia digitale ha sicuramente rivoluzionato il mondo dell’astrofotografia agevolando praticamente tutte le fasi di ripresa del cielo stellato. Non tutti però si sono abituati ai nuovi concetti introdotti da questo nuovo tipo di tecnologia. Tra questi quello che sicuramente ha generato maggior confusione nel mondo dell’astrofotografia e della fotografia in generale è sicuramente il fattore di crop. Infatti sovente si sente dire anche da “esperti” fotografi che il loro obiettivo è un 300 mm, ma essendo la loro fotocamera una Canon APS-C allora questo diventa un 480 mm. Questa frase ovviamente è sbagliata ed in questo post cercheremo di capire perché.

Partiamo iniziando con il dire che la lunghezza focale di un obiettivo (fisso o fissata ad un determinato valore nel caso degli zoom) non può cambiare e per un telescopio rifrattore coincide con la distanza tra la lente ed il piano focale, ovvero dove viene focalizzata l’immagine. Quindi un obiettivo 300 mm sarà e rimarrà sempre un 300 mm.

Figura 1: A sinistra il paese di Varenna (LC) ripreso con una full frame (equivalente). A destra lo stesso paesaggio con una APS-C

Se però osserviamo la Figura 1 ci rendiamo subito conto che utilizzando il medesimo obiettivo otterremo risultati diversi nel caso si usasse una Canon EOS con sensore full frame o APS-C. L’immagine ripresa con sensore APS-C appare più ingrandita, come se si fosse utilizzato un obiettivo di lunghezza focale superiore. Prima di comprendere come ciò sia possibile dobbiamo comprendere il significato delle parole full frame e APS-C. Questo si potrebbe facilmente riassumere in: “dimensione del sensore”. Infatti i sensori full frame sono quelli le cui dimensioni del CMOS sono equivalenti a quelli del tradizionale negativo a 35 mm ovvero 24 x 36 mm. I sensori APS-C sono invece più piccoli e nel caso di sensori Canon hanno dimensioni 14.8 x 22 mm.

L’apparente ingrandimento mostrato in Figura 1 è quindi unicamente dovuto alle dimensioni del sensore utilizzato. Perché? Cerchiamo di capirlo insieme. Per fare ciò partiamo da un semplice esempio. Vogliamo riprendere la nebulosa proboscide d’elefante utilizzando due fotocamere, una con sensore full frame ed una con sensore di dimensioni ridotte (non necessariamente APS-C). La luce emessa dalla nebulosa e quindi la sua immagine, dopo aver viaggiato per anni nello spazio interstellare, raggiunge il nostro telescopio o obiettivo fotografico e viene “ricostruita” su quello che abbiamo detto essere il piano focale. Ora se potessimo mettere un foglio di carta all’altezza del piano focale vedremmo l’immagine della nebulosa rappresentata perfettamente all’interno di un riquadro circolare. Perché circolare? Perché le lenti del telescopio sono di forma circolare. A questo punto sostituiamo il nostro foglio di carta con il sensore della fotocamera digitale. Ovviamente questo deve essere più piccolo dell’immagine circolare, altrimenti vedremmo la cornice nella nostra immagine (Figura 2). Tutti i telescopi e gli obiettivi fotografici sono pensati per avere un’immagine al piano focale più grande di un sensore APS-C o full frame.

Figura 2: A sinistra le dimensioni dei due sensori rapportati all'immagine generata dal telescopio / obiettivo sul piano focale. In alto a destra l'immagine ripresa dal sensore full frame, in basso a destra quella ripresa da un sensore APS-C o comunque da un sensore di dimensioni più piccole del full frame.

A questo punto non ci resta che scattare la nostra foto. Il risultato dello scatto è mostrato in Figura 2 a destra. A parità di dimensioni del pixel avremo nel caso di una full frame (sensore grande) un’immagine grande, mentre con un sensore APS-C (sensore piccolo) un’immagine piccola. Se immaginiamo di avere una fotocamera con sensore full frame (dimensioni 24 x 36 mm) da 3186 x 4779 pixel, allora l’immagine ripresa con il sensore APS-C (dimensioni 14.8 x 22 mm) avrà dimensioni in pixel  1965 x 2920. Questo ipotizzando che le dimensioni dei pixel siano uguali nelle due fotocamere (nel nostro esempio 24 mm / 3186 pixel = 7.5 micron). Cosa succede però se ora le due fotocamere hanno dimensioni dei pixel differenti? Ovvero ad esempio il sensore full frame ha dimensione dei pixel pari al doppio della APS-C? In questo caso le due immagini riprese precedentemente avranno la stessa dimensione in pixel come mostrato in Figura 3.

Figura 3: A sinistra l'immagine della nebulosa proboscide d'elefante ripresa con una camera full frame con pixel da 7.5 micron mentre a destra con una APS-C con pixel da 3.75 micron.

Quindi possiamo riassumere il nostro discorso dicendo che utilizzando un sensore APS-C con pixel piccoli otterremmo un’immagine di dimensioni analoghe a quella realizzata con una full frame dotata di pixel grandi. Figura 3 mostra che, come conclusione delle nostre argomentazioni, l’immagine della nebulosa proboscide d’elefante risulta più ingrandita nel caso di sensori APS-C rispetto a full frame. Questo fattore di ingrandimento si chiama fattore di crop. In realtà però è sbagliato definirlo ingrandimento. La terminologia corretta sarebbe: sensori di piccole dimensioni riprendono un campo più piccolo di sensori full-frame, dove per campo intendiamo la frazione di immagine sul piano focale coperta dal sensore. Un sensore APS-C Canon copre ad esempio un campo (24mm/14.8mm = 1.6 e 36mm/22mm = 1.6)  1.6 volte più piccolo di un sensore full frame e pertanto è come se l’immagine fosse 1.6 volte più grande.

Siamo quindi giunti al punto del grande fraintendimento: avere un’immagine che apparentemente è 1.6 volte più grande non significa aver ingrandito l’immagine sul piano focale di 1.6 volte ovvero aver aumentato la focale del telescopio. Quindi è vero che un’immagine ripresa da un sensore full frame con un obiettivo da 480 mm di focale offre lo stesso ingrandimento di una camera APS-C con un obiettivo da 300 mm ma le due ottiche danno immagini differenti sul piano focale e quindi sono differenti. E come si manifesta questa differenza? Ovviamente nella qualità dell’immagine. Un’immagine ripresa con una full frame e obiettivo 480mm è sicuramente di qualità superiore rispetto ad un’immagine ripresa con sensore APS-C e obiettivo 300mm. Questo perché se la full frame riprende un’immagine effettivamente grande, la APS-C riprende un’immagine solo apparentemente grande.

Riassumendo: l’ingrandimento ottenuto in una ripresa astrofotografica dipende da due fattori, lunghezza focale del telescopio e dimensione del sensore. Quindi uno stesso telescopio può fornire immagini con ingrandimenti differenti!!! Nei vostri scatti ricordatevi pertanto di indicare sempre la lunghezza focale di ripresa e il tipo di sensore utilizzato (dimensione del pixel in micron e del sensore in mm).




C/2012 S1 (ISON) – 17/10/2013

Telescopio o obiettivo di acquisizione (Imaging telescope or lens): Newton SkyWatcher BlackDiamond 150 mm f/5

Camera di acquisizione (Imaging camera): CCD Atik 383L+ B/W [5.4 μm]

Montatura (Mount): SkyWatcher NEQ6

Telescopio o obiettivo di guida (Guiding telescope or lens): Rifrattore ED (ED reftactor) Tecnosky Carbon Fiber 80mm f/7

Camera di guida (Guiding camera): Magzero MZ-5m B/W [5.2 μm]

Riduttore di focale (Focal reducer): non presenti (not present)

Software (Software): IRIS + Adobe Photoshop CS3

Accessori (Accessories): correttore di coma Baader MPCC (Baader MPCC coma corrector)

Filtri (Filter): Astronomik CCD L

Risoluzione (Resolution): 1681 x 1268 (originale/original), 1696 x 1301 (finale/final)

Data (Date): 17/10/2013

Luogo (Location): Inverigo – CO, Italia (Italy)

Pose (Frames): 7 x 480 sec bin 2×2 L

Calibrazione (Calibration): 10 x 480 sec bin 2×2 dark, 90 bias, 50 flat

Fase lunare media (Average Moon phase): 95.9%

Campionamento (Pixel scale):  2.9510652 arcsec/pixel

Focale equivalente (Equivalent focal lenght): 758 mm

Note (note): Riportiamo l’immagine originale della cometa ed in colori invertiti. Dall’immagine è stato possibile ottenere una stima della dimensione della coda superiore a 395.47 pixel ovvero 19.45 arcmin  (original and inverted pictures have been reported).

C/2012 S1 (ISON) - 17/10/2013

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APPENDICE B: Software e app per l’astrofotografia digitale

In questa appendice riportiamo l’elenco dei software più diffusi nel mondo dell’astronomia e dell’astrofotografia digitale. Con * sono indicati i programmi consigliati dall’autore:

 

 

 

 

PLANETARI E MAPPE ASTRONOMICHE

Stellarium* www.stellarium.org

Perseus www.perseus.it

SkyChart www.ap-i.net/skychart

The Sky X* http://www.bisque.com/sc/

Starry Night astronomy.starrynight.com 

Virtual Moon Sky Atlas* www.ap-i.net/avl

 

STAR-TRAILS E ELABORAZIONE DELLE IMMAGINI ASTRONOMICHE

Star Trails* www.startrails.de/html/software.html

IRIS* www.astrosurf.com/buil/us/iris/iris.htm

Deep Sky Stacker deepskystacker.free.fr 

MaximDL* www.cyanogen.com

PixInsight* pixinsight.com

AstroArt www.msb-astroart.com

Nebulosity www.stark-labs.com/nebulosity.html

Adobe Photoshop* http://www.adobe.com/it/products/photoshop.html

GIMP www.gimp.org

 

ACQUISIZIONE ED ELABORAZIONE IMMAGINI DA WEBCAM

wxAstroCapture* arnholm.org/astro/software/wxAstroCapture/

K3CCD www.pk3.org/K3CCDTools

Registax* www.astronomie.be/registax/

 

SISTEMA AUTOGUIDA

PhD Guiding www.stark-labs.com/phdguiding.html

 




APPENDICE A: Costellazioni e oggetti celesti visibili da cieli urbani e suburbani

Gli oggetti celesti più luminosi del cielo boreale siano essi ammassi stellari, nebulose o galassie, sono raccolti in un catalogo noto come “catalogo Messier”. Questo fu compilato dall’astronomo francese Charles Messier e pubblicato nel 1774. Gli oggetti di tale catalogo sono identificati con la lettera M seguita da un numero compreso tra uno e 110. Alcuni oggetti non presenti nel catalogo Messier, ma in altri come quello di Barnard (B), Collinder (C), Index Catalogue (IC) o New General Catalogue (NGC), sono tuttavia ottimi soggetti fotografici. Di seguito riportiamo la lista delle costellazioni e degli oggetti celesti più belli dal punto di vista astrofotografico (focali a medio campo esclusi gli ammassi globulari, galassie e nebulose planetarie).

Costellazione Visibilità ad occhio nudo da cieli urbani e suburbani (A visibile con estrema facilità – E invisibile) Oggetti Celesti
Orsa Minore C  
Drago C  
Giraffa D  
Cefeo C Nebulosa Proboscide d’Elefante (IC 1396), Nebulosa Iride (NGC 7023)
Cassiopea A Nebulosa Cuore (IC 1805), Nebulosa Anima (IC 1848), Nebulosa Pacman (NGC 281)
Orsa Maggiore A M101, M81, M82
Lucertola D  
Pegaso C M15
Cavallino D  
Cigno B Nebulosa Nord America (NGC7000), Nebulosa Bozzolo (IC 5146) Nebulosa Velo (NGC 6979, NGC 6960, NGC 6992, NGC 6995), Regione di Gamma Cygni, C399, Nebulosa Crescente (NGC 6888)
Lira B Nebulosa Anulare della Lira (M57)
Volpetta D Nebulosa Manubrio (M27)
Freccia C M71
Delfino C  
Aquila B  
Ercole C Ammasso Globulare dell’Ercole (M13)
Corona Boreale B  
Serpente B Nebulosa Aquila (M16), M5
Ofiuco C Regione Nebulare di Rho Ophiuchi
Boote A  
Cani da Caccia C  
Chioma di Berenice C Ammassi di Galassie
Vergine B Ammassi di Galassie
Leone Minore D  
Leone A  
Cancro D Ammasso del Presepe (M44)
Lince D  
Gemelli B M35
Cane Minore B  
Auriga A IC 405, IC410, M36, M37, M38
Toro A Pleiadi (M45)
Perseo B Nebulosa California (NGC 1499), Doppio Ammasso (NGC 884, NGC 869)
Andromeda C Galassia di Andromeda (M31)
Triangolo D Galassia del Triangolo (M33)
Ariete E  
Pesci E  
Acquario E Nebulosa Elica (NGC 7293)
Capricorno D  
Sagittario A Nebulosa Laguna (M8), Nebulosa Trifida (M20), Nebulosa Omega (M17), M24, M22
Scudo C Nube dello Scudo, M11
Corona Australe E  
Scorpione A M4, M6, M7
Bilancia E  
Corvo D  
Idra E  
Cratere D  
Sestante E  
Unicorno E Nebulosa Rosetta (NGC 2244), Nebulosa Cono (NGC 2264)
Cane Maggiore A  
Lepre C  
Orione A Nebulosa di Orione (M42, M43), Nebulosa Testa di Cavallo (B33), M78, Anello di Barnard, Nebulosa Testa di Scimmia (NGC 2175)
Eridano E Nebulosa Testa di Strega (IC 2118)
Balena E  

In grassetto le costellazioni attraversate dalla Via Lattea.




Altro che reflex! Luna e pianeti con la webcam

Nel capitolo 3 abbiamo visto come, una volta sottratte tutte le sorgenti di rumore, la qualità dell’immagine finale dipende unicamente dal numero di light frame acquisiti. Infatti il rumore casuale presente nell’immagine diminuisce come la radice quadrata del numero di scatti effettuati. Questo fatto non è applicabile unicamente alle riprese di oggetti quali galassie, amassi stellari e nebulose ma anche nel caso i cui il soggetto sia la Luna, il Sole o i pianeti. I pianeti, così come i particolari superficiali di Luna e Sole hanno però dimensioni apparenti molto piccole e pertanto richiedono l’utilizzo di lunghe focali. All’aumentare della focale e quindi dell’ingrandimento utilizzato comincia a diventare evidente il fenomeno della turbolenza atmosferica o seeing. Questa consiste nella deformazione dell’immagine dell’oggetto a seguito di un continuo rimescolarsi di aria calda e fredda in atmosfera. L’effetto globale è simile all’osservare un oggetto posto prospetticamente sopra una sorgente di calore come un fuoco od un calorifero. Le condizioni di seeing migliori si ottengono in assenza di vento e pertanto si consiglia di effettuare le proprie riprese astrofotografiche in tali condizioni. Fortunatamente il seeing è un fenomeno anch’esso statistico ed a media nulla. Pertanto mediando molti light frame è possibile ridurre l’effetto dovuto al seeing. L’immagine finale subisce un ulteriore miglioramento se escludiamo dalla media i light frame più deformati (vedi Figura 4.5).

Figura 4.5: A sinistra il singolo fotogramma (light frame) soggetto a turbolenza atmosferica. A destra l’immagine finale, media di 500 light frame.

Quindi le condizioni chiave per una buona ripresa di pianeti, Luna e Sole è quella di avere lunghe focali e molti light frame. In passato questo era possibile unicamente tramite la ripresa di più scatti effettuati con il metodo del fuoco indiretto. Per ottenere lunghe focali non è però strettamente necessario utilizzare lenti addizionali, basta concentrare il maggior numero di pixel nell’unità di area illuminata dall’immagine del pianeta o del particolare lunare/solare. In questo modo l’utilizzo di sensori piccoli può portare come effetto globale un aumento dell’ingrandimento fornito dal telescopio. Questo fatto è ben noto a chi utilizza sensori per reflex con formato APS-C in grado di fornire maggiori ingrandimenti rispetto a quelli Full-Frame di maggiori dimensioni (un fattore 1.6x per esempio nel caso di Canon EOS).

Abbiamo quindi bisogno di una fotocamera dotata di un sensore di piccole dimensioni ed alto numero di pixel con cui effettuare il maggior numero di light frame. Ma perché una fotocamera?

Alcune webcam dotate di sensore CCD soddisfano tutte le caratteristiche fin qui richieste. Infatti un video in formato AVI (ossia senza compressione) può essere visto come una sequenza di immagini, nel nostro caso di light frame. Possiamo quindi realizzare un video di un particolare dettaglio lunare/solare o pianeta, dopodiché ci saranno software in grado di “smontare” il video trasformandolo in una sequenza di light frame da calibrare e mediare al fine di ottenere l’immagine finale.

Non vi resta quindi che acquistare una webcam dotata di sensore CCD su internet e collegarla, senza obiettivo, al fuoco diretto del vostro telescopio. I risultati saranno stupefacenti!

Per chi non se la sentisse di modificare una webcam esistono sul mercato molte camere astronomiche dotate di sensori CCD o CMOS studiate appositamente per le riprese planetarie (e ovviamente lunari/solari). I costi sono ovviamente superiori alle normali webcam disponibili sul mercato.

 




Riprendere la Luna con uno smartphone o cellulare

Il metodo afocale sta ottenendo un notevole sviluppo negli Stati Uniti dove è possibile trovare in commercio dei supporti per smartphone in grado di vincolare il vostro cellulare all’oculare del telescopio. In questo modo è possibile fare delle bellissime riprese della Luna anche utilizzando il vostro cellulare. Purtroppo al momento questi supporti non sono venduti in Italia e quindi l’unica possibilità di riprendere la Luna dal nostro paese è quella di appoggiare delicatamente il vostro smartphone all’oculare del telescopio. Il risultato finale sarà sbalorditivo e semplicissimo da ottenere. Inoltre recentemente sono stati sviluppati una serie di App per smartphone in grado di aiutarvi nella ricerca di oggetti in cielo oltre che nello stazionamento del vostro telescopio (vedi appendice B). È molto probabile un futuro sviluppo di questa applicazioni che permetteranno il controllo della vostra strumentazione astrofotografica direttamente da cellulare. Non ci resta che aspettare buttando di continuo un occhio tra le novità presenti nei vari App store.




Collegare una reflex al telescopio

Dopo aver mosso i primi passi nel mondo della “vera” astrofotografia digitale grazie alla tecnica della ripresa in parallelo, in questo paragrafo vedremo quali altri metodi esistono al fine di riprendere la volta celeste ed in particolare gli oggetti del profondo cielo: nebulose, ammassi stellari e galassie.

Se siete stanchi di ottenere fotografie a media e corta focale, ovvero inferiore ai 300mm, e volete andare oltre alla ricerca di oggetti di dimensioni apparenti molto piccole come galassie, nebulose planetarie e ammassi globulari è arrivato allora il momento di sfruttare il vostro telescopio. Purtroppo, come avrete imparato nel capitolo 3.4 per utilizzare lunghe focali è necessario dotarsi di un sistema di guida, sia esso manuale o automatico. Nel caso di oggetti del profondo cielo la guida deve inoltre essere precisa e quindi è necessario dotarsi di montature di buona se non ottima qualità.

Il setup per la riprese di oggetti del profondo cielo consiste quindi ora di un telescopio di ripresa e di uno di guida montati su un’ottima montatura, preferibilmente di tipo equatoriale, con sufficiente capacità di carico. A questo bisognerà aggiungere la fotocamera digitale dotata di telecomando o di cavo USB per il controllo remoto da PC.

Tre sono i metodi utili per la ripresa a lunghe focali: il metodo afocale, il metodo del fuoco diretto ed il metodo del fuoco indiretto.

Il primo (Figura 4.1) consiste nell’appoggiare la fotocamera dotata di obiettivo all’oculare del telescopio e quindi premere l’otturatore. Dato che questa ripresa è sotto tutti gli effetti a mano libera, funziona in maniera egregia solo con la Luna ed il Sole, ovvero oggetti molto luminosi. Se si vogliono riprendere oggetti del profondo cielo allora è necessario utilizzare appositi supporti in grado di vincolare la reflex all’oculare. Con il metodo afocale si ottengono buoni risultati in termini di ingrandimento anche se la qualità ottica lascia molto a desiderare dato che dipende dall’oculare utilizzato, spesso soggetto ad aberrazioni di vario genere, oltre che ad una pesante vignettatura, e dall’obiettivo installato sulla fotocamera. Un vantaggio è la possibilità di effettuare riprese del profondo cielo anche con fotocamere dotate di posa M ma non necessariamente reflex, dato che l’obiettivo non deve essere rimosso.

Figura 4.1: setup in configurazione “astrofotografia afocale”.

Il metodo del fuoco diretto (Figura 4.2) consiste invece nell’utilizzo del telescopio come vero e proprio obiettivo fotografico. Questo può essere realizzato grazie a specifici anelli adattatori, detti anelli T, che permettono di fissare la reflex al telescopio attraverso l’alloggiamento porta oculari. Un telescopio di focale  e rapporto focale  sarà quindi equivalente ad un obiettivo a focale e diaframma fissi. Nel caso della ripresa a fuoco diretto con telescopi non catadiottrici, l’utilizzo di spianatori di campo e correttori di coma è d’obbligo.

Figura 4.2: setup in configurazione “astrofotografia a fuoco diretto”.

Infine il metodo della riprese al fuoco indiretto (Figura 4.3) consiste nell’interporre un oculare tra il telescopio e la reflex non dotata di obiettivo. Questo può essere fatto attraverso l’anello T congiunto ad un apposito supporto per oculari. In questo modo la focale del telescopio viene aumentata notevolmente così come il rapporto focale dello strumento. A differenza del metodo afocale, in questo caso i difetti ottici dipendono unicamente dall’oculare utilizzato dato che la fotocamera non è dotata di obiettivo.

Un tempo il metodo della ripresa a fuoco indiretto era molto diffuso nel mondo dell’astrofotografia dato che era l’unico in grado di fornire le focali sufficienti per la ripresa di Luna, Sole e pianeti. Oggi, vedremo nel paragrafo 4.3 sono state sviluppate tecniche digitali alternative in grado di ottenere risultati di gran lunga superiori a quelli ottenibili con la tecnica del fuoco indiretto. Malgrado ciò, questa tecnica è ancor oggi utile per la ripresa di satelliti naturali poco luminosi come le lune di Urano e Nettuno nonché sistemi stellari multipli.

Figura 4.3: setup in configurazione “astrofotografia a fuoco indiretto”.

Supposto ora di aver scelto quale metodo è più adatto all’oggetto del profondo cielo che vogliamo riprendere, quali devono essere le impostazioni della nostra fotocamera digitale? Ipotizzando che la vostra montatura sia in grado di inseguire correttamente la focale utilizzata, allora impostate un valore di ISO compresi tra 400 e 1600. Il diaframma in questo caso è determinato dal telescopio utilizzato. Nel caso del metodo afocale ricordatevi di aprire tutto il diaframma dell’obiettivo montato sulla vostra reflex. Il tempo di esposizione dipende invece dalla qualità del cielo. Esponete il più a lungo possibile mantenendo buono il rapporto segnale/rumore. Questo si traduce nell’osservare lo scatto dell’oggetto ripreso a tempi di esposizione via via più lunghi finché il numero di stelle non va ad aumentare a differenza del fondo cielo che diventa via via più brillante. Non preoccupatevi se il cielo diventa chiaro, questo verrà corretto in fase di post produzione.  L’importante è che si mantenga buono lo stacco tra l’oggetto del profondo cielo e il fondo cielo. Per maggiori informazioni si faccia riferimento alla Figura 4.4.

Figura 4.4: A sinistra un light frame, così come registrato dalla fotocamera al termine dell’esposizione. A destra la stessa immagine al termine del processo di post produzione.

Ricordatevi che ISO alti non significano alto rumore dato che questo viene eliminato mediando più light frame. ISO alti significa minor dinamica e quindi maggiore difficoltà nell’ottenere una vasta gamma cromatica, come ad esempio il colore delle stelle. In caso in cui durante la ripresa siano presenti raffiche di vento consigliamo quindi l’utilizzo di alti ISO in modo tale da abbassare i tempi di esposizione ottenendo immagini ben inseguite.

 




L’ASTROFOTOGRAFIA CON IL TELESCOPIO

Eccoci quindi all’ultimo capitolo del libro. A questo punto saranno sopravvissuti solo quanti, dopo aver sperimentato la fotografia su cavalletto fotografico e con la tecnica della ripresa in parallelo vogliono spingersi verso l’infinitamente lontano e quindi in termini fotografici l’infinitamente piccolo e poco luminoso. Per fare questo sarà necessario impiegare lunghe focali e quindi l’utilizzo di telescopi astronomici dedicati. La lunghezza focale può raggiungere livelli record per un normale fotografo se si vogliono riprendere i particolari solari, lunari o i planetari. Vedremo come per queste ultime riprese sarà vantaggioso utilizzare mezzi inconsueti come webcam o smartphone.




Reflex da gara

Le fotocamere digitali generalmente hanno montato di fronte al sensore un filtro IR-CUT al fine di rendere le immagini diurne più nitide eliminando la fastidiosa radiazione infrarossa. Facendo questo però si rende la reflex poco sensibile anche alla radiazione rossa e del vicino infrarosso. Queste lunghezze d’onda sono proprio quelle di interesse per l’astrofotografia dato che è lì che le nebulose emettono luce.

Pertanto i possessori di fotocamere digitali sono limitati alla ripresa di oggetti blu-verdi come galassie e ammassi stellari. Ovviamente il problema può essere superato sostituendo il filtro originale con uno più sensibile al rosso (detta “modifica Baader”, dalla ditta produttrice di tali filtri) o in grado di far passare tutta la radiazione luminosa (modifica “full spectrum”). Queste modifiche possono essere effettuate da se o in centri specializzati a patto di perdere in molti casi la garanzia sul prodotto e la funzione auto-focus (vedi Figura 3.10).

Per ovviare a questi imprevisti la ditta Canon ha prodotto due fotocamere, la Canon EOS 20Da e Canon EOS 60Da, che montano di default un filtro più sensibile al rosso. In questo modo è possibile non rinunciare ne alla garanzia ne alla funzione auto-focus, utilissima per le riprese diurne. Il tutto ovviamente ad un costo superiore dei modelli Da rispetto ai classici modelli D di casa Canon.

Figura 3.10: A sinistra una CCD astronomica ATIK 383L+. A destra una Canon EOS 500D con sistema di raffreddamento ad aria e “modifica Baader”.

Ma la modifica del filtro è solo un primo passo per l’astrofotografo esigente che vuole ridurre al minimo il fastidioso rumore termico. Proprio per questo sono state studiate ventole di raffreddamento e cool box in grado di abbassare la temperatura della fotocamera di alcuni (importanti) gradi Celsius. Ma raffreddare una fotocamera per raffreddare il sensore non è sicuramente il metodo più efficace. Ecco quindi che la ditta CentralDS modifica le fotocamere digitali applicando una cella di Peltier proprio sul sensore. Questa tecnologia permette di diminuire la temperatura del sensore di ben quaranta gradi rispetto alla temperatura esterna con un abbattimento quasi totale del rumore termico.

Tutte queste modifiche permettono di ottenere reflex digitali sempre più simili ai CCD astronomici, ovvero sensori specifici per l’astronomia mantenuti a temperatura costante e a bassissimi livelli di rumore elettronico (vedi Figura 3.10). Seppur più rumorose delle CCD astronomiche, le reflex modificate e raffreddate montano sensori con un maggior numero di pixel e costi notevolmente inferiori.

 




Riprendere le comete

In questo capitolo abbiamo affrontato la ripresa di oggetti del profondo cielo, ovvero tutti gli astri celesti ad esclusione di Luna, Sole e pianeti. Tra questi ci sono le comete che seppur appartengono al Sistema Solare, vengono spesso indicati come oggetti del cielo profondo. Le tecniche di ripresa delle comete sono infatti del tutto identiche a quelle utilizzate per riprendere stelle e nebulose, con una differenza: le comete si muovono rispetto alle stelle fisse. Questo fa si che se utilizziamo una montatura di tipo equatoriale otterremo immagini della cometa mossa. Se invece guidiamo inseguendo la cometa otterremo le stelle mosse. L’unica possibilità è quindi quella di fare scatti con tempi di esposizione sufficientemente brevi da non avvertire il moto della cometa rispetto alle stelle fisse. Per ottenere una buona ripresa è quindi consigliabile aprire il più possibile il diaframma e alzare gli ISO.

Per le comete risulta quindi impossibile, in linea di principio, effettuare la media di più light frame a patto di non ottenere stelle o cometa mosse (vedi Figura 3.9).

Figura 3.9: Cometa Garradd che ha varcato i cieli italiani tra il 2011 ed il 2012. L’immagine è una somma di light frame eseguiti seguendo la cometa; le stelle risultato pertanto mosse.

Tuttavia esistono software in grado, a partire da più light frame, di effettuare una ripresa calibrata in cui stelle e cometa non appaiono mosse (vedi appendice B).