L’Astrofotografia è quel ramo della fotografia tradizionale che si occupa della ripresa di oggetti celesti: sia considerati singolarmente che ambientati. In un certo senso quindi i notturni possono essere considerati scatti astrofotografici così come albe e tramonti. In questa lezione vedremo di affrontare i concetti basi della fotografia ed in particolare gli aspetti che utilizzeremo in astrofotografia. Per molti fotografi professionisti questa parte del corso risulterà banale e forse noiosa ma come si dice repetita iuvant.

INTRODUZIONE

L’oggetto principe delle nostre riprese astronomiche sarà sicuramente la macchina fotografica. Questo strumento è in grado, attraverso un sistema di lenti detto obiettivo, di raccogliere e memorizzare l’immagine (più o meno ingrandita) di ciò che gli sta di fronte. Possiamo quindi dire che una macchina fotografica è costituita dall’obiettivo che “raccoglie” e “ricrea” l’immagine di ciò che vi si trova innanzi e un oggetto noto come corpo macchina che memorizza l’immagine “prodotta” dall’obiettivo. Vediamo quindi in particolare il funzionamento di queste due parti.

Obiettivo

Un obiettivo è un sistema di lenti in grado di raccogliere la luce ed inviarla in un punto ben preciso noto come fuoco. Quindi la luce riflessa o emessa dai corpi fisici reali (cioè gli oggetti che stanno di fronte all’obiettivo) viene raccolta e inviata in una piccola regione bidimensionale nota come piano focale. In Figura 1 è riportato il funzionamento di un obiettivo.

Figura1: Formazione dell’immagine della Luna ad opera di un obiettivo. In grigio è raffigurato il piano focale ovvero il piano bidimensionale dove si “forma” l’immagine.

La distanza tra la prima lente ed il piano focale è detta lunghezza focale o focale F (espressa in millimetri). Questo non è valido nel caso di sistemi complessi di lenti dove invece di lunghezza focale si parla di focale effettiva la quale può anche essere fisicamente inferiore alla distanza tra la prima lente ed il piano focale. Sia essa reale o effettiva, all’aumentare della focale diminuisce l’angolo di campo e quindi aumenta l’ingrandimento fornito dall’obiettivo. Una lunghezza focale pari a 50mm fornisce, su un piano focale di dimensioni 24 x 36 mm, un campo (e quindi un ingrandimento) pari a quello dell’occhio umano. Ovviamente se prendessimo, a parità di lunghezza focale, un piano focale più grande avremmo un campo inquadrato più ampio e quindi un ingrandimento minore di quello dato dall’occhio umano. Viceversa con un piano focale più piccolo avremmo un campo inquadrato più stretto e quindi un ingrandimento superiore. Obiettivi con focali minori di 50 mm vengono pertanto detti grandangoli, mentre obiettivi con focali maggiori di 50 mm teleobiettivi. Se il campo inquadrato dall’obiettivo è superiore a 180° (F < 16 mm) allora più che di grandangoli si parla di fish-eye dato che la visione prodotta è simile a quella data da un occhio di pesce. Se infine un obiettivo è in grado di cambiare la propria lunghezza focale allora si dice essere uno zoom (da cui il termine zoomare).

Galileo Galilei dimostrò che è possibile aumentare la qualità di un obiettivo inserendo nello spazio tra la lente principale ed il piano focale uno o più diaframmi. Questi non sono nient’altro che superfici con un buco al centro di diametro inferiore alla lente principale. Ancor oggi, dopo quattrocento anni, troviamo all’interno di ogni obiettivo fotografico un diaframma. Minore è il diametro del diaframma e maggiore è il miglioramento in termini di qualità ottica dell’obiettivo, visibile specialmente ai  bordi dell’immagine. Quindi con diametri piccoli (si parla di diaframma chiuso) avremo immagini nitide fino ai bordi mentre con diametri grandi (si parla di diaframma aperto) avremo immagini abbastanza nitide al centro e bordi completamente sfuocati. Nella fotografia tradizionale questi due estremi vengono sfruttati utilizzando diaframmi chiusi per soggetti ricchi di dettagli come i paesaggi e diaframmi aperti per i primi piani. In questi termini è facile sentirsi dire che diaframmi chiusi aumentano la profondità di campo. Quindi esistono obiettivi con diaframmi aperti ed altri con diaframmi chiusi? No. Tutti gli obiettivi fotografici sono dotati di un diaframma variabile, ovvero un diaframma il cui diametro del foro può essere cambiato dal fotografo (Figura 2).

Figura 2: il diaframma variabile di un obiettivo fotografico. A sinistra il diaframma è chiuso a f/32 (vedi testo) mentre a sinistra è completamente aperto.

In passato questo avveniva manualmente, oggi invece l’apertura del diaframma è controllata elettronicamente. A questo punto uno potrebbe chiedersi quale è l’unità di misura del diaframma. In ambito fotografico il diaframma si indica con f/ e si misura in numeri adimensionali definiti come il rapporto tra la lunghezza focale F dell’obiettivo (reale o effettiva) ed il diametro del diaframma espresso in mm. Quindi un obiettivo di 200 mm di focale e diametro del foro del diaframma pari a 20 mm  avrà un valore di diaframma pari a:

f/ = 200 mm / 20 mm = 10

pertanto si dirà che l’obiettivo “lavora ad f 10″ o “è chiuso a f 10″ ovvero l’obiettivo ha al suo interno un diaframma con diametro pari ad un decimo della lunghezza focale. L’apertura massima del diaframma determina il minimo valore di diaframma e normalmente è inciso sull’obiettivo (ghiera esterna alla lente principale, vedi Figura 3).

Figura 3: specifiche di un obiettivo fotografico. Nell’esempio: zoom con focale variabile da 70mm a 300mm. Diaframma a tutta apertura pari a f/4 se utilizzato a 70mm di focale, f/5.6 se utilizzato a 300mm.

Corpo macchina

Importante tanto quanto l’obiettivo è il corpo macchina, ovvero il sistema in grado di memorizzare l’immagine “costruita” dall’obiettivo sul piano focale. Per far questo è necessario un sistema che sia in grado di trasformare la luce che colpisce il piano focale in un’immagine stampata, la fotografia appunto. Per fare questo in passato si utilizzavano le pellicole fotografiche, ovvero delle pellicole che esposte alla radiazione luminosa, sono in grado di memorizzane le caratteristiche principali (luminosità e colore). Oggi queste sono state sostituite dai sensori a semiconduttori. Questi permettono di trasformare il segnale luminoso (luminosità e colore) in un segnale elettronico digitale ovvero il linguaggio dei computer. Ecco quindi che con i sensori a semiconduttori le immagini, ancor prima di essere stampate, passano attraverso un computer con tutti i vantaggi che ne consegue (copia e archiviazione delle immagini, elaborazione, condivisione, …). I corpi macchina o macchine fotografiche dotate di sensore a semiconduttore vengono dette digitali. Il sensore a semiconduttore deve quindi essere posto sul piano focale e le sue dimensioni, al fine di ottenere l’ingrandimento (campo inquadrato) corretto, devono essere 24 x 36 mm. Fotocamere digitali di questo tipo sono dette full frame. Per motivi produttivi e di limitazione dei costi, le maggiori case fotografiche hanno preferito costruire sensori di dimensioni più piccole oggi tra i più diffusi sul mercato. Queste fotocamere digitali sono dette a formato ridotto ed il più diffuso è noto come APS-C (per Canon è 22.2 x 14.8 mm, per Nikon 23.6 x 15.7 mm). Dato che la dimensione dei sensori a formato ridotto è inferiore allo “standard” 24 x 36 mm, il campo inquadrato da un 50mm e quindi l’ingrandimento è superiore a quello dell’occhio umano. Questo effetto è noto come effetto crop (per maggiori informazioni https://www.astrotrezzi.it/?p=3887) e fa si che a parità di obiettivo una full frame fornisca un campo più ampio (quindi un ingrandimento minore) di una camera a formato ridotto.

Il piano focale di un obiettivo non è però fissato, ma varia a seconda della distanza dell’oggetto inquadrato. Quindi al fine di poter riprendere oggetti e paesaggi a distanze qualsiasi è necessario spostare il sensore oppure, come avviene in tutti gli obiettivi fotografici si sposta la lente principale. Questa procedura è nota come messa a fuoco e può avvenire manualmente ruotando una ghiera (manual focus) o elettronicamente (auto-focus). Se l’obiettivo è particolarmente veloce nella messa a fuoco si parla di sistemi ultrasonici di messa a fuoco.

Al fine di visionare il soggetto inquadrato e quindi la bontà della messa a fuoco è possibile utilizzare o il mirino oppure, nei modelli di camere più recenti, lo schermo LCD (questo metodo è detto LiveView). Il fatto di poter utilizzare l’obiettivo di ripresa per visionare un’anteprima di quella che sarà la nostra fotografia definisce questa classe di corpi macchina come reflex o, in modo più completo single-lens reflex. Oggi il termine “reflex” ha perso il suo significato e sempre più spesso è utilizzato per indicare la classe di fotocamere digitali dotate di specchietto movibile e obiettivo interscambiabile. Le reflex digitali vengono, specialmente nel mondo angolofono indicate con la sigla DSLR ovvero Digital Single Lens Reflex.

Concludiamo questa introduzione ricordando che il pixel, è l’elemento più piccolo di un sensore a semiconduttore. Maggiore è il numero di pixel e maggiore è la qualità con cui il sensore memorizza l’immagine focalizzata dall’obiettivo sul piano focale. Dato che i sensori moderni sono dotati di milioni di pixel, più che di pixel si preferisce parlare di Megapixel (indicato con Mpixel) dove 1 Mpixel = 1’000’000 pixel. Una visione di insieme di una DSLR è mostrato in Figura 4, dove sono indicate le varie parti descritte in questo capitolo.

Figura 4: A) sono indicate le varie parti di una DSLR. B) la posizione dello specchietto movibile. Questo permette di deviare la luce che arriva dall’obiettivo o in direzione del mirino (come in figura) oppure del sensore a semiconduttore (alzandosi).

LO SCATTO FOTOGRAFICO

Ora che abbiamo imparato quali sono le varie parti e funzioni di una reflex digitale, vediamo ora come avviene la procedura di scatto e quindi la sequenza di operazioni che ci porterà ad avere la nostra fotografia. Quanto riportato in questo paragrafo è solo una descrizione concettuale. La descrizione operativa sarà presente nelle prossime lezioni del corso. Prima di tutto è necessario montare l’obiettivo al corpo macchina. Scegliamo un obiettivo con la focale adatta al soggetto da riprendere. Cambiamo il diaframma a seconda che vogliamo solo il soggetto a fuoco (diaframma aperto) o tutto il campo a fuoco (diaframma chiuso). Mettiamo a fuoco il soggetto utilizzando la ghiera di messa a fuoco o elettronicamente nel caso di auto-focus. Per verificare la corretta messa a fuoco visioniamo l’immagine utilizzando o il mirino o lo schermo LCD in modalità live-view. Pigiamo il tasto di scatto. Questo solleverà lo specchietto movibile mandando la luce focalizzata dall’obiettivo non più nel mirino ma sul sensore a semiconduttore. Questo rimarrà esposto alla luce per un tempo detto tempo di esposizione, al termine del quale lo specchietto movibile riscenderà impedendo così alla luce di illuminare ulteriormente il sensore. A questo punto l’elettronica presente nel corpo macchina trasformerà il segnale elettrico generato dall’elemento a semiconduttore in un file leggibile da un PC e che verrà scritto nella scheda di memoria presente nella camera. Questa può essere principalmente di due modelli: SD o CF (vedi Figura 5). I file immagazzinati nella scheda di memoria saranno poi trasferiti al PC tramite cavo USB o lettore di schede e quindi pronti per essere elaborati al computer e successivamente stampanti.

Figura 5: a sinistra una scheda di memoria SD, a destra un CF.

ESERCIZIO

Per poter accedere alla seconda lezione del corso, è necessario svolgere il seguente (semplice) esercizio: “Indicare in un file di testo le caratteristiche principali di tutti i vostri obiettivi e corpi macchina”. Questo servirà a voi per verificare se avete capito perfettamente i concetti illustrati in questa lezione, costruendovi inoltre un database con le caratteristiche della vostra strumentazione. Quest’ultima sarà utilissima in seguito quando dovremo fare qualche conticino o scegliere le impostazioni da utilizzare. I vostri dati serviranno inoltre come profilo personale dello studente utilissimo al fine di una valutazione oggettiva nelle prossime fasi del corso. Riportiamo a titolo di esempio quello che dovreste indicare nel file di testo da inviare all’indirizzo corso@astrotrezzi.it .

Obiettivo

  • Modello: Canon Zoom Lens EF-S 55-250 mm IS II
  • Focale: zoom da 55 mm a 250 mm
  • Diaframma (tutta apertura): da f/4 a 55 mm a f/5.6 a 250 mm
  • Stabilizzatore? Si
  • Autofocus? Si

Corpo Macchina

  • Modello: Canon EOS 40D
  • Tipo (Full Frame/ Formato Ridotto): Formato Ridotto (Canon APS-C)
  • Numero di pixel: 10.1 Mpixel
  • Dimensioni sensore: 3888 x 2592 pixel , 22.2 x 14.8 mm
  • Dimensioni pixel: 5.7 x 5.7 μm (quadrati) si possono ottenere dividendo la dimensione in mm del sensore per il relativo numero di pixel.
  • Reflex? Si

Le informazioni su obiettivi e corpi macchina sono reperibili su internet oppure sulla confezione della camera. Per maggiori informazioni e dubbi scrivete all’indirizzo corso@astrotrezzi.it .

 

 

 

 

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