Nell’articolo “Il Fotoelemento: Fotodiodo e Photogate” abbiamo visto come fotodiodi e photogate vengono naturalmente utilizzati come mezzo di conversione fotone/elettrone nella maggior parte delle camere commerciali, siano esse CCD o semplici DSLR. Il problema della scarsa dimensione della regione di svuotamento dei fotodiodi è stata recentemente risolta applicando delle microlenti. Queste sono in grado di convogliare gran parte della luce verso la regione fotosensibile del fotodiodo. Analogamente anche i photogate sono stati ottimizzati utilizzando elettrodi sempre più sottili oppure facendo incidere i fotoni dal lato opposto (si parla di sensori back-illuminated).
Supponendo di esporre il fotoelemento per un determinato periodo di tempo alla radiazione luminosa, noto come tempo di esposizione, quello che otterremo è una certa quantità di carica accumulata sulle armature del nostro “ipotetico” condensatore costituito dalla distribuzione di carica ai bordi della regione di svuotamento.
In un sensore abbiamo milioni di fotoelementi, ciascuno con la sua carica accumulata durante il tempo di esposizione. Come fare ora a processare tutti queste informazioni fondamentali per ricostruire l’immagine originale? Ci sono due strategie e quindi di sensori che prendono il nome di Charge Coupled Device (CCD) e Complementary Metal Oxide Semiconductor (CMOS).
CHARGE COUPLED DEVICE
Il CCD è un fotoelemento a cui vengono applicati due, tre o quattro elettrodi in polisilicio(si parla di CCD a due, tre o quattro fasi). Tali elettrodi servono per trasportare attraverso opportuni potenziali la carica elettrica depositata da una parte all’altra del fotoelemento, nonché da un fotoelemento all’altro.
E’ così possibile sequenzialmente spostare la carica accumulata da un pixel all’altro permettendo a questa di percorrere lunghe distanze con perdite che si riducono a meno dello 0.00001%. Difetti nel reticolo cristallino dei fotoelementi possono produrre perdite maggiori ed è per questo che i CCD sono molto sensibili ai danni da radiazione nucleare.
Il trasporto avviene seguendo linee verticali di fotoelementi (VCCD). L’ultima linea orizzontale di fotoelementi, grazie ad uno spessore metallico, è schermata dalla luce (HCCD). La carica di tutti i fotoelementi VCCD vicini all’HCCD viene trasferita a quest’ultimo che a sua volta la muoverà orizzontalmente verso l’output amplifer, un amplificatore che amplificherà il segnale di carica trasformandolo in un segnale analogico (tensione).
Attraverso questo schema alla fine i valori di carica di ciascun fotoelemento verrà trasformato in un segnale. Essendo la lettura sequenziale non è possibile leggere il valore di carica di un determinato fotoelemento senza leggere prima tutto il sensore. Abbiamo tre tipi di CCD a seconda di come il segnale venga inviato all’output amplifer:
- Full frame: è il sistema “classico” in cui i fotoelementi si comportano sia da luoghi di accumulo che da luoghi di trasporto. Proprio per questo motivo i sensori CCD di tipo Full frame devono essere ricoperti da un otturatore meccanico al termine della ripresa. Il vantaggio ottenuto è un aumento della superficie fotosensibile e della capacità di accumulo delle cariche.
- Interline transfer: in questo caso abbiamo che il fotoelemento non coincide con il luogo di trasporto della carica. In tale tipo di CCD ciascun fotoelemento viene duplicato: uno sarà l’elemento fotosensibile mentre l’altro, posto a lato, verrà opportunamente schermato dalla radiazione luminosa e servirà per il trasporto di carica. Alla fine dello scatto la carica accumulata viene così trasferita dal fotoelemento fotosensibile a quello schermato e quindi via via fino all’output amplifer. Questo permette di ridurre i tempi di attesa tra uno scatto e l’altro nonché la possibilità di fare a meno dell’otturatore meccanico. Il tutto purtroppo a scapito di una diminuzione della superficie fotosensibile.
- Frame transfer: in questo caso il fotoelemento coincide con il luogo di trasporto, ma il segnale di carica invece di essere inviato all’HCCD e quindi all’output amplifer viene “copiato” su un duplicato dell’intero sensore schermato però dalla radiazione luminosa. Questo al fine di diminuire i tempi di amplificazione, responsabili principali del tempo di elaborazione del segnale di carica dopo uno scatto di ripresa. A differenza dell’interline transfer il frame transfer ha una superficie fotosensibile maggiore a scapito però di un maggiore consumo di spazio e potenza elettrica assorbita.
Infine l’output amplifer trasformerà il segnale di carica in segnale di tensione amplificato. Questo verrà successivamente digitalizzato tramite un opportuno ADC. Per maggiori dettagli si faccia riferimento all’articolo “ADC: dal mondo analogico a quello digitale”.
COMPLEMENTARY METAL OXIDE SEMICONDUCTOR
Nel CMOS ogni elemento fotosensibile in Silicio (fotodiodo o photogate) è affiancato dal sistema di formazione e amplificazione del segnale di tensione con successiva digitalizzazione attraverso un opportuno ADC. Questo comporta la presenza di tre, quattro o cinque transistor oltre ad una seria di microcavi che connettono ciascun fotoelemento. A differenza del CCD, l’accesso è ad indirizzo e non sequenziale. Il vantaggio è la possibilità di accedere ad un determinato fotoelemento senza dover per forza “leggere” l’intero sensore. Esistono due tipi di CMOS legati non tanto al sistema di trasporto del segnale quanto al processo di amplificazione:
- Passive Pixel Sensor (PPS): è il sistema più semplice costituito da un solo amplificatore per colonna di fotoelementi. Questo permette di ridurre il numero di transistor a uno solo aumentando pertanto la superficie sensibile alla radiazione luminosa a scapito di un aumento del rumore a seguito della presenza di un maggior numero di cavi di collegamento (bus).
- Active Pixel Sensor (APS): è il tipo di CMOS più diffuso dove ogni fotoelemento è affiancato da un amplificatore. A differenza dei PPS il numero di bus è notevolmente ridotto anche se i transistor nel fotoelemento aumentano da uno fino ad un massimo di cinque.
Grazie alle basse tensioni di funzionamento i CMOS consumano fino a 10 volte meno dei CCD a scapito di un aumento del rumore termico. Per maggiori dettagli si legga l’articolo “Guida all’astrofotografia digitale”.
Oggi sensori con tecnologia CMOS sono utilizzati principalmente per le DSLR commerciali grazie ai bassi consumi (importanti per la trasportabilità della camera, riducendo il consumo di batterie) e prezzi di produzione. Anche le webcam economiche sfruttano spesso sensori di tipo CMOS generalmente più veloci dei CCD.
Sensori con tecnologia CCD sono invece i più diffusi nel mondo dell’astrofotografia digitale, grazie alla loro maggiore capacità di raccogliere e convertire la radiazione luminosa mantenendo basso il rumore (o se volete alto il rapporto segnale/rumore).
2 commenti
ADC: dal mondo analogico a quello digitale : ASTROtrezzi.it · Luglio 12, 2012 alle 10:30 am
[…] convertito in un segnale analogico di tensione e quindi amplificato (si veda l’articolo “La generazione del segnale: CCD e CMOS”). Tale segnale avrà un’ampiezza proporzionale al numero di elettroni prodotti in ciascun […]
Il Bias Frame : ASTROtrezzi.it · Gennaio 8, 2013 alle 10:58 pm
[…] vengono “svuotati” tutti nello stesso istante. Per maggiori informazioni si legga l’articolo “La Generazione del Segnale: CCD e CMOS”. Figura 4: master bias. Si osservi come la regione più bassa e vicina al HCCD sia più buia (minor […]